Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 17347 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 17347 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/03/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nata a ERICE il DATA_NASCITA COGNOME NOME nata a TRAPANI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/11/2021 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME
Ricorso trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23, comma 8, D.L. n.137/2020 e del successivo art. 8 D.L. 198/2022
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME e NOME, a mezzo del difensore di fiducia, ricorrono avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo del 10/11/2021, che ha confermato la condanna loro inflitta dal Tribunale di Trapani alla pena della multa, per il reato di invasione di terreni o edifici di cui agli artt. 110, 633 e 639 bis cod. pen. (“accertato in Erice il 10 marzo 2018 con permanenza”).
Con un unico motivo la difesa lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in ordine al mancato lconoscimento dei presupposti per l’applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.
Espone la Difesa che la Corte territoriale, nel rigettare il motivo di appello, ha ritenuto fondato il dissenso espresso dal pubblico ministero – e condiviso dal Tribunale – alla richiesta di applicazione della pena formulata dalla difesa in sede di atti preliminari al dibattimento e reiterata in sede di conclusioni del giudizio primo grado, sul rilievo che la pena della sola multa indicata nella richiesta non è congrua ai fatti accertati, né conforme alla pena prevista per il reato contestato, nella formulazione successiva all’entrata in vigore della legge n. 132 del 2018, applicabile al caso di specie stante la natura permanente del reato.
A parere della difesa, invece, il delitto di invasione di terreni o edifici di c all’art. 633 cod. pen., doveva ritenersi, in ragione della data di accertamento indicata nell’imputazione (“accertato il 10 marzo 2018”), consumato nell’alveo della disciplina anteriore all’introduzione della legge che ne ha aggravato il trattamento sanzionatorio prevedendo l’applicazione congiunta e non più alternativa della pena detentiva e di quella pecuniaria. Di talché, consentita e congrua doveva ritenersi la richiesta di applicazione della pena della sola multa avanzata e, dunque, illegittimo il dissenso espresso dal pubblico ministero e successivamente condiviso dal Tribunale.
Peraltro, se si aveva riguardo alla sentenza del Tribunale, emerge che lo stesso giudice – al pari del pubblico ministero di udienza che aveva chiesto infliggersi la sola pena della multa – ha escluso la permanenza del reato, tenuto conto che ha inflitto agli imputati la sola pena pecuniaria, richiamando la disposizione nella formulazione vigente all’epoca di accertamento del fatto, facendo espresso riferimento all’applicazione della pena della multa alternativa a quella della reclusione.
La preclusione all’accesso al rito alternativo aveva recato agli imputati un pregiudizio consistito nell’impossibilità di fruire degli effetti vantaggiosi ricollega alla sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. (non menzione nel casellario giudiziale, esenzione dal pagamento delle spese processuali, estinzione
del reato in anni cinque, ecc.). Per tale ragione la Corte di merito avrebbe dovuto fare luogo all’applicazione della pena così come richiesta.
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, con requisitoria del 9/03/2024, ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
Con nota del 15/05/2024, la difesa delle imputate nel ribadire l’esistenza dell’interesse a ricorrere, ha insistito per l’accoglimento dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi vanno dichiarati inammissibili, essendo il motivo dedotto manifestamente infondato.
Correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto giustificato il dissenso del Pubblico ministero alla richiesta di applicazione della pena avanzata dall’imputato negli atti preliminari al dibattimento. È stato evidenziato che, in presenza di un reato permanente, quale quello di invasione di terreni o edifici di cui all’art. 633 cod. pen., e di una contestazione in forma “aperta” non seguita da alcuna modifica dell’imputazione, era applicabile al caso di specie il nuovo testo dell’art. 633 cod. pen. come modificato dall’art. 30, comma 1, del d.l. 4 ottobre 2018 n. 113, convertito con modificazioni dalla I. 10 dicembre 2018 n. 132, che prevede l’applicazione congiunta della pena detentiva e di quella pecuniaria, con conseguente preclusione all’applicazione della sola pena della multa oggetto della richiesta avanzata dalla difesa.
Peraltro, va evidenziato che, nel caso di reato permanente, la delimitazione del fatto contestato sotto il profilo della sua durata nel tempo dipende dalle indicazioni contenute nel capo d’accusa, nel senso che l’individuazione della sola data di inizio o di accertamento della condotta comporta la pertinenza dell’addebito al tempo intercorrente fino alla sentenza di primo grado (Sez. 2, n. 29657 del 27/03/2019; Sez. 2, n. 40771 del 19/07/2018). Difatti il reato ex art. 633 cod. pen. ha natura permanete qualora l’occupazione abusiva si protragga nel tempo e non si esaurisca in una momentanea invasione (Sez. 4, n. 201:32 del 08/05/2016, conforme sul punto Sez. 1, n. 17265 del 08/04/2008, Rv. 239628 – 01).
Nel caso di specie la condotta è stata realizzata al fine di soddisfare esigenze abitative che hanno notoriamente natura continuativa, essendo state contestate ed accertate dai verbalizzanti esigenze di tal fatta, con la conseguenza che la condotta ha in sé il carattere della continuità. Pertanto, non si è al cospetto di alcuna inversione dell’onere della prova, in quanto è la natura stessa della condotta illecita, per come accertata, che sul piano sostanziale ne rivela il suo perdurante disvalore fino all’indicato limite processuale costituito dalla sentenza di primo grado.
Né tali conclusioni risultano smentite dalla sentenza di primo grado, per come prospettato dalla difesa in ragione del fatto che quel giudice ha inflitto la sola pena pecuniaria, facendo riferimento alla pena stabilita dall’art. 633 cod. pen. nella versione antecedente alla modifica normativa. Dalla lettura della motivazione non risulta che la condotta illecita sia cessata prima della pronunzia di condanna di primo grado, mediante l’allontanamento volontario degli imputati ovvero a seguito di sgombero coatto, ovvero che la pena della sola multa inflitta sia ascrivibile al riconoscimento dell’ingiustificato dissenso espresso ab origine dal pubblico ministero, quanto piuttosto ascriversi ad un error iuris del Tribunale, per come si ricava anche dall’ulteriore errore in cui quel giudice è incorso nel calcolare la diminuzione per le riconosciute attenuanti generiche, applicata nella misura illegale di due terzi anziché di un terzo.
In conclusione, nulla aggiungendo di decisivo la nota di udienza depositata dalla difesa, i ricorsi debbono essere dichiarati inammissibili, condannandosi le ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa per le ammende, così determinata in ragione dei profili di inammissibilità rilevati (Corte cost., 1 giugno 2000 n. 186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 28/03/2024