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Reato di calunnia: i limiti della denuncia secondo la CC

La Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la condanna per il reato di calunnia e diffamazione a carico di due coniugi. La Corte ha chiarito che, per configurare la calunnia, l’accusa deve essere specifica e supportata da dolo, ovvero dalla certa consapevolezza dell’innocenza dell’accusato. Inoltre, ha stabilito che la denuncia a un ordine professionale, se basata su fatti veri o ritenuti tali e non offensiva, rientra nel legittimo esercizio del diritto di critica e non costituisce diffamazione.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato di Calunnia: Quando una Denuncia Diventa Reato? L’Analisi della Cassazione

In una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha affrontato il delicato confine tra il legittimo esercizio del diritto di denuncia e il reato di calunnia. La pronuncia offre spunti fondamentali per comprendere quando un’accusa, anche se infondata, possa sfociare in una condanna penale per chi la formula. Il caso riguardava due coniugi condannati in appello per calunnia e diffamazione nei confronti di un notaio, ma la Suprema Corte ha ribaltato completamente il verdetto.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da una serie di denunce presentate da due coniugi contro un professionista. In particolare, le accuse che hanno resistito fino al giudizio di legittimità erano tre:

1. Prima denuncia per calunnia: La moglie aveva denunciato il notaio in relazione a un articolo pubblicato su un quotidiano locale, ritenendone falso il contenuto.
2. Seconda denuncia per calunnia: Il marito aveva sporto denuncia per presunti atti persecutori, descrivendo episodi di molestie come l’accumulo di volantini pubblicitari e frasi canzonatorie da parte del notaio.
3. Denuncia per diffamazione: Entrambi i coniugi avevano presentato un esposto al Consiglio Notarile, lamentando che il professionista avesse depositato documenti non pertinenti in una causa civile per screditarli e affermando che “da anni il notaio perseguita la nostra famiglia con comportamenti al vaglio della magistratura”.

La Corte d’Appello aveva confermato la responsabilità penale dei coniugi per queste accuse, pur assolvendoli da altre imputazioni. I due, tuttavia, hanno proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto integralmente i ricorsi, annullando la sentenza di condanna senza rinvio “perché i fatti non sussistono”. Questa formula indica una piena assoluzione, ritenendo che le condotte contestate non integrassero gli estremi dei reati di calunnia e diffamazione.

Le motivazioni: i confini del reato di calunnia e della diffamazione

La Corte ha smontato l’impianto accusatorio analizzando separatamente ogni addebito e fornendo principi di diritto cruciali.

Analisi della prima denuncia e il reato di calunnia

Riguardo alla denuncia della moglie per l’articolo di giornale, la Cassazione ha evidenziato due criticità fondamentali per configurare il reato di calunnia:

* Genericità dell’accusa: La denuncia non specificava quale parte dell’articolo fosse ritenuta falsa. Affinché un’accusa possa dare il via a un’azione penale (e quindi essere potenzialmente calunniosa), deve contenere elementi sufficienti e specifici. Un’accusa vaga, che non permette di comprendere chiaramente il fatto-reato attribuito, non integra la calunnia.
Mancanza di prova del dolo: Il dolo nella calunnia richiede la certezza da parte del denunciante che l’accusato sia innocente. La Corte d’Appello aveva dedotto il dolo dal fatto che la denunciante sapesse che l’autore dell’articolo non fosse il notaio. Tuttavia, la Cassazione ha ritenuto questa motivazione illogica, poiché la denuncia verteva sulla presunta falsità del contenuto* dell’articolo, non sulla sua paternità. Mancava quindi la prova certa che la donna avesse agito con la sicura consapevolezza di accusare un innocente.

Analisi della seconda denuncia: la rilevanza degli elementi di contorno

Anche la denuncia del marito è stata ritenuta non calunniosa. La Corte d’Appello aveva isolato alcuni episodi marginali (i volantini, le frasi di scherno) per fondare la condanna, dopo aver escluso la calunniosità del nucleo centrale della denuncia (la divulgazione di una sentenza di patteggiamento).

La Cassazione ha criticato questa “frammentazione” dell’accusa, spiegando che tali elementi di contorno, una volta slegati dal fatto principale, perdono la loro rilevanza penale e non sono sufficienti, da soli, a integrare un’accusa di atti persecutori. Denunciare un insieme di fatti, alcuni veri e altri falsi o non provati, non costituisce automaticamente calunnia se gli elementi non veritieri sono secondari e inidonei a configurare un reato autonomo.

L’esposto al Consiglio Notarile: il diritto di critica

Infine, per quanto riguarda l’esposto all’ordine professionale, la Corte ha stabilito che rientrava nel legittimo esercizio del diritto di critica (art. 51 c.p.). La frase incriminata (“sono anni che il notaio […] perseguita la nostra famiglia con comportamenti che sono al vaglio della magistratura penale”) non era diffamatoria perché:

* Era contestualizzata: La frase era inserita in un esposto che denunciava un comportamento deontologicamente scorretto (la produzione di documenti non pertinenti in giudizio), che era un fatto vero.
* Non era offensiva in sé: Riferire che determinati comportamenti erano “al vaglio della magistratura” era una constatazione fattuale, poiché erano state effettivamente presentate delle denunce, a prescindere dal loro esito.

La Corte ha ricordato che una denuncia a un ordine professionale è legittima se i fatti esposti sono veri o ritenuti tali (anche erroneamente) dal denunciante, purché non si travalichi in offese gratuite.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce principi fondamentali a tutela del cittadino che si rivolge alla giustizia. Per aversi il reato di calunnia, non è sufficiente che un’accusa si riveli infondata; è necessaria la prova rigorosa che il denunciante abbia agito con la certezza assoluta dell’innocenza dell’accusato. Inoltre, le accuse devono essere sufficientemente specifiche e non vaghe. Infine, la segnalazione di presunte scorrettezze a un ordine professionale, se fatta in termini continenti e basata su fatti concreti, costituisce un legittimo esercizio del diritto di critica, scriminato dall’ordinamento.

Quando una denuncia si trasforma nel reato di calunnia?
Una denuncia integra il reato di calunnia solo quando chi la presenta accusa di un reato una persona che sa con certezza essere innocente. Non basta un semplice dubbio o un’errata valutazione dei fatti. Inoltre, l’accusa deve contenere gli elementi essenziali di un fatto-reato e non essere generica.

Denunciare fatti secondari non veri all’interno di una querela più ampia è sempre calunnia?
No. Secondo la Corte, se gli elementi non veritieri sono secondari e di contorno rispetto al nucleo principale della denuncia (già ritenuto non calunnioso), e se isolatamente considerati perdono la loro rilevanza penale, non si configura il reato di calunnia. La valutazione non deve frammentare artificialmente il contenuto della denuncia.

Presentare un esposto a un Ordine professionale lamentando il comportamento di un iscritto è diffamazione?
Non necessariamente. Se l’esposto è finalizzato a segnalare comportamenti deontologicamente scorretti, si basa su fatti veri o ritenuti tali in buona fede, e non utilizza espressioni gratuitamente offensive, rientra nell’esercizio del diritto di critica (art. 51 c.p.) e non costituisce diffamazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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