Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26520 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26520 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/03/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nato a Tempio Pausania il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Sassari il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/03/2023 della Corte d’appello di Cagliari, Sezione Distaccata di Sassari visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi; udito, per i ricorrenti, l’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 14 marzo 2023, la Corte di appello di Cagliari, Sezione Distaccata di Sassari, pronunciando in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Tempi Pausania, per quanto di
interesse in questa sede, ha: 1) confermato la dichiarazione di penale responsabilità di NOME COGNOME e di NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, contestato al capo B, e commesso il 27 dicembre 2013; 2) dichiarato, nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME l’estinzione per prescrizione del reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, contestato al capo A, e commesso il 27 dicembre 2012, nonché dei reati di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, contestati ai capi C e D, commessi fino alla data del 30 agosto 2012; 3) rideterminato, riducendole, le pene nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME.
In particolare, la Corte d’appello ha dichiarato la colpevolezza di NOME COGNOME e di NOME COGNOME perché, in concorso tra loro, nella qualità di legali rappresentanti ed amministratori della “RAGIONE_SOCIALE“, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, avrebbero indicato nella dichiarazione relativa a dette imposte per l’anno 2012, presentata il 27 dicembre 2013, elementi passivi fittizi, avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti emesse da essi medesimi, quali legali rappresentanti ed amministratori della società semplice “RAGIONE_SOCIALE“, così da occultare redditi di impresa per 905.620,00 euro, comportanti un’indebita detrazione IVA per 90.562,00 euro.
Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe NOME COGNOME e NOME COGNOME, con un unico atto sottoscritto dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, articolando quattro motivi, preceduti da una premessa.
2.1. Nella premessa, si rappresenta che la vicenda deve essere esaminata in considerazione dei rapporti tra più società facenti capo alla famiglia COGNOME.
Si evidenzia che: a) la società semplice “RAGIONE_SOCIALE“, utilizzando in comodato terreni di proprietà dei componenti della famiglia COGNOME, produce uve da vino e le cede alla società “RAGIONE_SOCIALE“, la quale, a sua volta, mediante queste uve, produce vini “Capichera” e li commercializza; b) la società semplice gode di un regime tributario di favore, a norma dell’art. 32 d.P.R. n. 917 del 1986, in forza del quale la tassazione è operata sulla base del reddito medio ordinario (si sottolinea che il regime di favore è stato ripetutamente ritenuto legittimo dalla Corte costituzionale; si citano Corte cost., sent. n. 48 del 1961; Corte cost., sent., n. 1 del 1965; Corte cost., sent., n. 197 del 1975; Corte cost., sent. n. 482 del 1987); c) le fatture emesse dalla società semplice “RAGIONE_SOCIALE“, e rilasciate alla società “RAGIONE_SOCIALE“, sono state regolarmente ed integralmente pagate tramite bonifici bancari.
Si segnala che il punto su cui si incentra l’accusa attiene al prezzo riportato nelle fatture di vendita dell’uva, ritenuto superiore a quello “medio ordinario” sulla base di un’assertiva individuazione di un diverso “valore di mercato” RAGIONE_SOCIALE cessioni.
2.2. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 2 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000 e 10-bis legge n. 212 del 2000, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, essendo invece configurabile una fattispecie di abuso del diritto.
Si deduce che la sentenza impugnata erroneamente ritiene illegittime le operazioni di vendita dell’uva dalla “RAGIONE_SOCIALE” alla “RAGIONE_SOCIALE“, asserendo che le stesse sarebbero state effettuate «per un prezzo molto superiore a quello di mercato».
Si premette che la Corte d’appello, dopo aver riconosciuto la legittimità dell’operazione di scorporo della società “RAGIONE_SOCIALE” dalla società semplice “RAGIONE_SOCIALE“, in quanto misura rimessa alla discrezionalità organizzativa e gestionale RAGIONE_SOCIALE attività di impresa, afferma che le cessioni dell’uva da vino sarebbero state effettuate «per un prezzo molto superiore a quello di mercato» al fine di massimizzare gli utili dell’impresa agricola e di far esporre costi maggiori alla società in nome collettivo, così da poter beneficiare di un regime tributario di maggior favore.
Si osserva che la sentenza impugnata ritiene il prezzo praticato per la compravendita RAGIONE_SOCIALE uve «molto superiore a quello di mercato» sulla base RAGIONE_SOCIALE valutazioni di un funzionario dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, senza tener conto RAGIONE_SOCIALE osservazioni dei consulenti della difesa. Si aggiunge che la contabilità societaria è regolare e che i pagamenti sono stati integralmente effettuati con bonifici bancari.
Si richiama, poi, la giurisprudenza civile di legittimità, secondo cui: a) non integra la fattispecie dell’abuso del diritto, ma costituisce legittimo risparmi d’imposta, la scelta del contribuente che, tra più operazioni volte ad assicurare di una finalità economica, sceglie quella che consente il trattamento fiscalmente meno oneroso, sempre che questo non si traduca in un risparmio di imposta illecito; b) non è in contrasto con una norma AVV_NOTAIO antielusiva il comportamento attraverso il quale il soggetto passivo di imposta abbia pianificato e ottimizzato la sua attività aziendale perseguendo un risparmio di imposta unitamente ad un reale obiettivo economico; c) ai fini della configurabilità di una pratica elusiva, anche secondo l’ordinamento dell’Unione Europea, è necessario un elemento soggettivo, e precisamente che lo scopo essenziale RAGIONE_SOCIALE operazioni controverse sia quello di conseguire un risparmio di imposta, mentre le ragioni economiche dell’operazione negoziale risultano meramente marginali o teoriche, e comunque irrilevanti rispetto alla finalità di ottenere un indebito vantaggio fiscale (si cita, in particola Sez. 5 civ., n. 3910 del 09/02/2023).
Si conclude che la pretesa divergenza tra la realtà commerciale e la sua rappresentazione documentale è basata su una presunzione, e non tiene conto del regime di favore tributario per l’agricoltura: al più, potrebbe trattarsi di una ipotes di abuso del diritto o di elusione fiscale, penalmente irrilevante a norma dell’art. 10-bis legge n. 212 del 2000.
2.3. Con il secondo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, non essendo corretto il riferimento al c.d. transfer pricing interno.
Si deduce che la sentenza impugnata nega apoditticamente che l’Erario abbia ipotizzato la figura del c.d. transfer pricing, sebbene il ricorso a questo metodo di accertamento, espressamente vietato dall’art. 2, comma 5, d.lgs. n. 147 del 2015, come conferma anche la giurisprudenza tributaria (si citano Sez. 5 civ., n. 16948 del 2019 e Sez. 5 civ., n. 22879 del 2017), sia stato in qualche modo ammesso dal funzionario dell’RAGIONE_SOCIALE sentito a dibattimento, ed esplicitamente riconosciuto nelle controdeduzioni depositate il 6 febbraio 2017 dall’RAGIONE_SOCIALE nel giudizio davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Sassari. Si osserva che la conferma dell’impiego del metodo del c.d. transfer pricing interno, come già esposto nell’atto di appello, è individuabile nel riferimento alla discrasia tra i prezzi praticati tra le società della famiglia RAGIONE_SOCIALE e quelli ordinariamente applicati tra imprese indipendenti sul mercato.
2.4. Con il terzo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, non essendo corretto il riferimento alla “antieconomicità dell’operazione”, anche alla luce del disposto degli artt. 9, comma 3, d.P.R. n. 917 del 1986, 2, comma 5, d.lgs. n. 147 del 2015, e 10-bis legge n. 212 del 2000.
Si deduce che la sentenza impugnata, per supportare le conclusioni dell’Amministrazione finanziaria in ordine alla illiceità RAGIONE_SOCIALE cessioni di uva indicat nelle fatture che si assumono false, ha richiamato il concetto di “antieconomicità dell’operazione”. Si premette che questo concetto non era mai stato evocato nelle precedenti fasi del procedimento e del processo, e, quindi, già per questa ragione, il suo impiego dovrebbe ritenersi precluso. Si osserva, poi, che la procedura di cui all’art. 9, comma 3, d.P.R. n. 917 del 1986, la quale consente il ricorso a listini e mercuriali per individuare il “valore normale” di un bene, non poteva essere applicata, in quanto l’Amministrazione finanziaria ha proceduto ad accertamento a norma dell’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973, incompatibile con l’applicazione dell’art. 9, comma 3, cit. Si segnala, ancora, che il riferimento alla “antieconomicità dell’operazione” implica comunque l’applicazione della disciplina in tema di abuso del diritto e di elusione fiscale di cui all’art. 10-bis legge n. 212 del 2000 (si citano
Sez. 5 civ., n. 16948 del 25/06/2019, e Sez. 5 civ., n. 16366 del 30/07/2020), e, quindi, l’irrilevanza penale del fatto.
2.5. Con il quarto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc, pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, per travisamento RAGIONE_SOCIALE prove.
Si deduce che la sentenza impugnata ha illegittimamente declassato e sminuito la portata RAGIONE_SOCIALE deposizioni dei consulenti e testi della difesa ed illegittimamente sopravvalutato le dichiarazioni del funzionario dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. Si sottolinea che, ad esempio, della deposizione del consulente tecnico professor COGNOME è stata richiamata una sola frase, omettendo di considerare l’intera relazione dallo stesso redatta e depositata agli atti. Si osserva, in sintes che la Corte d’appello si è rimessa integralmente alle valutazioni espresse da un funzionario dell’RAGIONE_SOCIALE, senza confrontarle effettivamente con quelle formulate dai consulenti indicati dalla difesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono fondati per le ragioni di seguito precisate.
Il fatto, per come ricostruito in modo convergente dalle sentenze di merito, non è sussumibile nella fattispecie, contestata e ritenuta, di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti ex art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000.
Il fatto per il quale è stata pronunciata condanna attiene alla indicazione nella dichiarazione relativa alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto per l’anno 2012 della società “RAGIONE_SOCIALE“, produttrice e venditrice di vini di pregio, presentata dai due attuali ricorrenti, qua amministratori della stessa, di due fatture attestanti costi ritenuti fittizi, perché tutto fuori mercato, concernenti l’acquisto di uve dalla società semplice “RAGIONE_SOCIALE COGNOME“, così da procurare alla società “RAGIONE_SOCIALE” una indebita detrazione di IVA pari a 90.562,00 euro.
3.1. Precisamente, secondo quanto ricostruito dai Giudici di merito, la società “RAGIONE_SOCIALE“, nell’anno 2012, ha utilizzato due fatture per l’acquisto di uva, emesse dalla società semplice “RAGIONE_SOCIALE“, per l’importo complessivo di 1.247.640,00 euro, corrispondendo un prezzo pari a 4,00 o 5,00 euro per ogni kg. di uva, quando il prezzo medio di uve di qualità omogenea è pari a 1,35 euro per kg.
L’applicazione dei prezzi indicati nelle due precisate fatture ha consentito di ridurre gli utili della società “RAGIONE_SOCIALE“, e di massimizzare gli utili della società semplice “RAGIONE_SOCIALE“, così da conseguire un complessivo risparmio fiscale derivante dal diverso regime fiscale previsto per le due società. Questo perché gli utili della società “RAGIONE_SOCIALE“, siccome impresa commerciale, sono sottoposti al regime di tassazione ordinaria, mentre gli utili della società semplice “RAGIONE_SOCIALE“, siccome impresa agricola, sono sottoposti ad un regime di tassazione agevolata.
La diversa distribuzione degli utili tra le due società, peraltro, non avrebbe procurato conseguenze negative ai titolari RAGIONE_SOCIALE stesse, perché attraverso un particolare meccanismo di movimentazioni finanziarie, tutti i fratelli COGNOME, ivi compresi i soci della società “RAGIONE_SOCIALE“, gravata dei precisati costi fuori mercato, erano ammessi a partecipare alla distribuzione degli utili della società semplice “RAGIONE_SOCIALE“.
3.2. Tuttavia, risulta incontestato che la società “RAGIONE_SOCIALE” ha corrisposto le somme indicate nelle due fatture ritenute relative ad operazioni inesistenti alla società semplice “RAGIONE_SOCIALE“, e, in cambio di tali somme, ha ricevuto uve per la vinificazione.
In particolare, il fatto dell’avvenuto pagamento RAGIONE_SOCIALE somme indicate nelle due precisate fatture – come di quelle indicate nelle fatture emesse all’anno 2011, e per il quale è stata pronunciata sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione – è espressamente riconosciuto sia dalla sentenza di primo grado, sia dalla sentenza di appello (cfr. spec. pag. 25).
Ciò posto, deve escludersi che le due fatture utilizzate nella dichiarazione della società “RAGIONE_SOCIALE” per l’anno 2012, e ritenute mendaci, possano essere ritenute «fatture o altri documenti per operazioni inesistenti».
4.1. A norma dell’art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 74 del 2000, ai fini del medesimo testo normativo, «per “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatori analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valor aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi».
Ora, deve escludersi che gli acquisti di beni effettivamente utilizzati per l’attività di impresa compiuti a prezzi incongrui, ma effettivamente corrisposti, costituiscano operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte, ovvero
operazioni che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale.
Invero, gli acquisti effettuati in riferimento a beni utilizzati per l’attivi impresa non possono ritenersi costituire «operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte» solo perché i prezzi corrisposti sono superiori, eventualmente anche di moltissimo, a quelli di mercato. Nell’ipotesi descritta, infatti, si è verifica una operazione di compravendita di “quei beni” per “quel prezzo”.
Allo stesso modo, gli acquisti effettuati in riferimento a beni utilizzati pe l’attività di impresa costituiscono «operazioni L.] che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale» solo perché i prezzi corrisposti sono superiori, eventualmente anche di moltissimo, a quelli di mercato.
Nell’ipotesi descritta, infatti, i corrispettivi sono stati indicati nella mis effettivamente versata; né, d’altro canto, viene in rilievo l’indicazione dell’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale.
L’ipotesi di acquisti effettuati in riferimento a beni utilizzati per l’attivi impresa per prezzi superiori a quelli di mercato, poi, è del tutto estranea all’ulteriore fattispecie normativa indicata dall’art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. 74 del 2000, ossia quella concernente «fatture che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi».
4.2. Le conclusioni esposte, peraltro, sono state già raggiunte nella giurisprudenza di legittimità (cfr., in particolare, Sez. 3, n. 1996 del 25/10/2007, dep. 2008, Figura, Rv. 238547 – 01, ma anche, indirettamente, in ragione della definizione accolta di fatture per operazioni inesistenti, Sez. 3, n. 1998 del 15/11/2019, dep. 2020, Moiseev, Rv. 278378 – 01, e Sez. 3, n. 28352 del 21/05/2013, Custodi, Rv. 256675 – 01).
In particolare, si è precisato che «oggetto della sanzione di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, tenuto conto dello speciale coefficiente di insidiosità che si connette all’utilizzazione della falsa fattura» e che, però, «iversa è l’ipotes in cui si contesti la congruità dell’operazione che è stata realmente effettuata e pagata, che – a giudizio del Collegio – resta al di fuori RAGIONE_SOCIALE previsioni dell’art. 2» (così Sez. 3, n. 1996 del 25/10/2007, dep. 2008, cit., la quale, in applicazione del principio, ha annullato con rinvio la sentenza impugnata «risultando in conclusione oscuro se si sia trattato – quanto alle fatture concretamente prese in considerazione – di sovrafatturazione quantitativa ovvero se si siano ritenute incongrue operazioni pur realmente pagate»).
4.3. Appare utile precisare, per chiarezza, che le fattura emesse in relazione ad una operazione nella quale i beni o i servizi indicati corrispondono a quelli ceduti o forniti e il prezzo è sì incongruo, ma effettivamente corrisposto, non sono in
alcun modo riconducibili alle figure della “inesistenza relativa” e della “sovrafatturazione”, come puntualmente definite dalla giurisprudenza.
Precisamente, l’ipotesi di “inesistenza relativa” si verifica quando l’operazione vi sia stata, ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura, mentre l’ipo di sovrafatturazione, definita anche “sovrafatturazione qualitativa”, si caratterizza per l’indicazione in fattura di un importo superiore a quello effettivamente corrisposto (cfr., specificamente, Sez. 3, n. 28352 del 21/05/2013, cit., e Sez. 3, n. 1998 del 15/11/2019, dep. 2020, cit.).
Per le caratteristiche appena descritte, le fatture emesse nei casi di “inesistenza relativa” dell’operazione e di “sovrafatturazione” danno luogo ad una «divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale», e, proprio per questa ragione, rientrano nell’ambito RAGIONE_SOCIALE “fatture per operazioni inesistenti”, di cui all’art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 74 del 2000 (yds., p questo rilievo: Sez. 3, n. 1998 del 15/11/2019, dep. 2020, cit.; Sez. 3, n. 28352 del 21/05/2013, cit.; Sez. 3, n. 1996 del 25/10/2007, dep. 2008, cit.).
Le fatture relative ad operazioni nelle quali i beni o i servizi indicat corrispondono a quelli ceduti o forniti e il prezzo è sì incongruo, ma effettivamente versato, invece, descrivono in modo corrispondente alla realtà l’operazione eseguita, e, quindi, non implicano alcuna divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale.
Escluso che le due fatture utilizzate nella dichiarazione della società “RAGIONE_SOCIALE” per l’anno 2012, e ritenute mendaci dai Giudici di merito, possano essere qualificate «fatture o altri documenti per operazioni inesistenti», non è in alcun modo configurabile la fattispecie di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000.
L’art. 2 d.lgs. cit., infatti, prevede l’utilizzo in dichiarazione di «fatture o documenti per operazioni inesistenti» come specifico elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice.
Di conseguenza, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto contestato non sussiste.
Appare opportuno precisare, però, che l’acquisto di beni effettivamente utilizzati per l’attività di impresa a prezzi incongrui non sempre e necessariamente costituisce condotta penalmente irrilevante. Per affermare la rilevanza penale di tale condotta, tuttavia, occorrerebbe valutare se siano configurabili altre fattispecie tipiche di reato. E nella specie, un approfondimento di tal genere è del tutto inammissibile sia per l’esigenza di rispettare il principio di correlazione tr accusa e sentenza, sia perché richiederebbe la formulazione di ipotesi ricostruttive e di accertamenti fattuali del tutto esorbitanti rispetto al giudizio di legittimità.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. Così deciso il 14/03/2024.