Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14947 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14947 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/01/2024
SENTENZA
Nel procedimento a carico di
COGNOME NOME NOME a RAVENNA il DATA_NASCITA
avverso la ORDINANZA del 05/10/2023 del GUP RAVENNA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Procuratore Generale, in persona del AVV_NOTAIO COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza impugnata, il Giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Ravenna ha disposto la restituzione degli atti al Pubblico Ministero per lo svolgimento di indagini integra ai sensi dell’art. 421-bis cod. proc.pen., da effettuarsi nel termine di sei mesi, nel procedime a carico di NOME COGNOME, imputato di concorso in plurimi fatti di bancarotta.
Il ricorso per cassazione del COGNOME, con il ministero del difensore di fiducia, avvocato NOME COGNOME, denuncia l’abnormità del provvedimento impugNOME, sia sotto il profilo funzionale che strutturale.
2.1. In primo luogo, ci si duole della indebita restituzione degli atti al Pubblico Minis non consentita dall’art. 421-bis cod. proc. pen., e dell’omessa fissazione della nuova data udienza preliminare, da cui sarebbe derivata una stasi processuale.
2.2. L’abnormità strutturale del provvedimento è denunciata in relazione alla non pertinenza e non rilevanza delle indagini disposte rispetto alle imputazioni contestate e alla lu della regola di giudizio alla quale deve attenersi il G.U.P., della possibilità o meno di formu una ragionevole previsione di condanna. In realtà, il GUP ha disposto indagini su fatti nuov rispetto alle imputazioni, così attribuendosi poteri riservati al P.M., in tal modo incorrendo denunciata abnormità strutturale, in quanto provvedimento assunto al di fuori dello schema legale e per finalità diverse da quelle proprie della norma applicata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non è fondato.
Con l’impugnazione in esame, il ricorrente si duole della decisione adottata dal giudice contestandone i presupposti e le ragioni di merito.
Il tema dell’abnormità dei provvedimenti ha formato oggetto di numerose pronunce delle Sezioni Unite, che hanno fatto riferimento a tale tipo di patologia, pur non specificamen individuata e definita dal codice di rito.
In sostanza, tale categoria processuale è stata creata dalla giurisprudenza di legittimità p consentire di rimuovere un provvedimento non inquadrabile nel sistema o che si pone di impedimento allo sviluppo processuale, ma essa presenta indubbi caratteri di eccezionalità, in relazione alla deroga che viene attuata al principio di tassatività delle nullità e dei mez impugnazione (Sez. Un. n. 25957 del 26/03/2009 Cc., dep. 22/06/2009, rv. 243590).
2.1. Costituisce jus receptum, nella giurisprudenza di questa Corte, che è affetto da tale vizio non solo il provvedimento che, per la singolarità e la stranezza del contenuto, risulti avu dall’intero ordinamento processuale (c.d. abnormità strutturale) ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi conse e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite(c.d abnormità funziona determinando la stasi del processo e la impossibilità di proseguirlo (Sez. Un. 12/02/1998, COGNOME, Rv. 209603; Sez. U n. 26 del 2000, COGNOME; Sez. U. 20712/2007, P.M. c. RAGIONE_SOCIALE; Sez. U. n. 25957 del 26/03/2009, COGNOME, Rv. 243590; Sez. U, n. 33 del 22/11/2000, COGNOME,
Rv. 217244; Sez. U, n. 19289 del 25/02/2004, COGNOME, Rv. 227355, Sez. U, n. 22909 del 31/05/2005, COGNOME, in motivazione; Sez. U, n. 34536 del 11/07/2001, COGNOME, Rv. 219587).
2.2. In tale quadro, è venuta in rilievo l’ipotesi della c.d. regressione anomala d procedimento ad una fase anteriore, nonostante la valida instaurazione del rapporto processuale fra le parti necessarie, e si è rilevato che la stessa costituisce sinto dell’abnormità dell’atto (Sez. U, n. 19 del 18/06/1993, COGNOME, Rv. 194061; Sez. U, n. 8 del 24/03/1995, COGNOME, in motivazione; Sez. U, n. 10 del 09/07/1997, COGNOME, Rv. 208220; Sez. Un., n. 4 del 31/01/2001, COGNOME, in motivazione; Sez. U. n. 22807 del 29/05/2002, COGNOME, Rv. 221999, che fa riferimento, in particolare, all’ipotesi dell’indebita restituzione degli P.M. per il rinnovo della citazione).
Per lo più, la regressione indebita è stata considerata quale fenomeno rappresentativo dell’alterato funzionamento del procedimento e, dunque, inquadrata all’interno dell’abnormità funzionale, peraltro, sul presupposto che costituisca il risultato di attività che si esplica ogni ragionevole limite, al di là dei casi consentiti e delle ipotesi previste, pur essend astratto, manifestazione di un potere legittimo, venendo, in questo caso, stravolto il prof funzionale (così anche la sentenza ‘COGNOME‘, cit. ).
Nondimeno, la citata sentenza ‘COGNOME‘, nel dar rilievo alla regressione anomala, ne segnala il suo porsi fuori del sistema, il che la colloca su un piano interferente anche con l’abnormi strutturale.
Anche la sentenza ‘RAGIONE_SOCIALE‘ ha affrontato il tema della regressione anomala. In tal significativa pronuncia le Sezioni Unite, muovendo dal rilievo che la fase dell’udienz preliminare deve assicurare il consolidamento dell’imputazione, e valorizzando le indicazioni al riguardo fornite dalla Corte costituzionale (Corte cost., sent. n. 88 del 1994; n. 265 del 199 131 del 1995 e 384 del 2006), hanno rilevato che il potere di controllo demandato al giudice è esercitato oltre ogni limite, dando luogo ad un profilo di abnormità, nel caso di restituzi degli atti ex abrupto, senza previa attivazione del rimedio correttivo, e si è sottolineato che ogni indebita regressione costituisce un serio vulnus all’ordo processus, inteso come sequenza logico-cronologica ordinata di atti, in spregio dei valori costituzionali dell’efficienza ragionevole durata del processo.
Una così netta affermazione, volta a correlare regressione indebita e abnormità in ragione dell’alterazione della ordinata sequenza procedimentale, muove dal riferimento ad un potere riconosciuto ma esercitato oltre i limiti, ciò che, secondo la consolidata sistematica, espres dalle plurime sentenze richiamate, dovrebbe ricondursi ad un profilo di abnormità funzionale, produttiva di quell’anomalo effetto.
La giurisprudenza successiva (in particolare Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, COGNOME, Rv. 243590) ha delineato una nozione di abnormità, sì inserita nel solco ormai consolidato, ma, per altro verso, volta a ridimensionare la possibilità di riconoscere automaticamente valor sintomatico alla regressione del procedimento. Si è sottolineato come l’abnormità si traduca in uno sviamento della funzione giurisdizionale, che si colloca al di là del perimetro entro il qu
è riconosciuta dall’ordinamento, tanto nel caso di atto strutturalmente eccentrico, quanto nell’ipotesi di atto normativamente discipliNOME ma utilizzato al di fuori dell’area che ne indivi la funzione e la ragion d’essere, poiché ciò che rileva, ai fini dell’abnormità dell’atto, è l’esis o meno del potere di adottarlo. Così, l’abnormità strutturale e quella funzionale sono riconducibili a un fenomeno unitario, per cui se è riconoscibile l’attribuzione in ord all’adottabilità di un atto, gli eventuali vizi possono essere solo quelli previsti dalla le prescindere dal fatto che ne derivi la regressione del procedimento, diversamente dovendosi ravvisare l’abnormità e l’esigenza di rimozione.
Nel ribadire la rilevanza dell’abnormità funzionale, implicante una crisi di funzionamento del processo per stasi o indebita regressione, si è sottolineato come il sistema sia ispirato d principio di non regressione, come riconosciuto anche dalla Corte costituzionale (Corte cost., sent. n. 236 del 2005). Ma, nel contempo, si è rimarcata la necessità di un inquadramento rigoroso di un istituto che ha caratteri di eccezionalità. Si è, dunque, escluso che la nozio possa essere riferita a situazioni di mera illegittimità, considerate altrimenti non inquadrabi non rimediabili; è stato sottolineato il limite logico costituito dai vizi innocui in sopravvenuta irrilevanza dell’anomalia, in quanto sia stato esercitato un potere non spettante, che tuttavia non abbia determiNOME alcuna anomalia in ragione di attività propulsive legittime; per stigmatizzare la necessità di un adeguato inquadramento della nozione, si è segnalato che l’abnormità è prevista quale illecito disciplinare del magistrato nel caso di adozione provvedimento non previsto da norme vigenti.
In tale prospettiva, nel rapporto tra giudice e pubblico ministero si è delimitata l’abnormit strutturale in termini di «esercizio da parte del giudice di un potere non attribuit dall’ordinamento (carenza di potere in astratto) ovvero di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale, nel senso di esercizio di un potere previs dall’ordinamento, ma in una situazione legale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge, cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di oltre ogni ragionevo limite (carenza di potere in concreto)». L’abnormità funzionale, ravvisabile nei casi di stasi d procedimento e di impossibilità di proseguirlo, è stata riferita all’ipotesi in cui il provvedi giudiziario imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo, rilevabile nel successivo corso del procedimento o del processo: solo in tali limiti il pubbli ministero può ricorrere, lamentando che il conformarsi minerebbe la regolarità del processo; altrimenti, è tenuto ad ottemperare, in un sistema che non ammette la possibilità di conflitto in caso di contrasto tra pubblico ministero e giudice, senza che possa dirsi di per sé caratterizzante dell’abnormità l’effetto della regressione del processo ad una fase precedente.
Le sentenze successive, anche quando hanno ribadito la consolidata nozione di abnormità e fatto riferimento alla distinzione tra abnormità strutturale e funzionale (Sez. U, n. 40984 d 20/03/2018, COGNOME, Rv. 273581; Sez. U, n. 4319 del 28/11/2013, dep. 2014, L., Rv. 257786), non hanno comunque inteso smentire le conclusioni della sentenza COGNOME o l’hanno espressamente condivisa, in una prospettiva di delimitazione della nozione di atto abnorme
(Sez. U. n. 10728 del 16/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282807; Sez. U. n. 20569 del 18/01/2018, COGNOME, Rv. 272715). Inoltre, è stato sottolineato che l’impugnazione avverso un atto abnorme deve essere comunque sorretta da un interesse del ricorrente alla rimozione del concreto pregiudizio derivante da quell’atto (sul punto, specificamente, la sentenza COGNOME).
Tirando le fila, ai fini dell’individuazione dell’atto abnorme, si richiede, in negativo, che si tratti di atto adottato semplicemente in violazione di norme processuali e, in positivo, c l’atto stesso si caratterizzi per contenuti talmente atipici, da renderlo estraneo all’ordinamen processuale ovvero che, pur espressione di una legittima potestà processuale, esso sia adottato al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, tanto da determinare una stasi del proces la impossibilità di proseguirlo ovvero la sua inammissibile regressione ad una fase processuale ormai esaurita (così, Sez. U, n. 17 del 10/12/1997, COGNOME, Rv. 209603; Sez. U, n. 26 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 215094; Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, COGNOME, Rv. 243590). In entrambi i casi, la ritualità del processo può essere ripristinata solo mediante la rimozione de provvedimento abnorme. Per questo, si giustifica la diretta ricorribilità per cassazione de provvedimento abnorme.
Calando tali principi nel caso in esame, si osserva che, già dalla lettura del ricorso, è evide come non venga in rilievo alcun profilo di abnormità dell’atto impugNOME, che, al contrario, pienamente sussumibile nell’alternativa decisoria del giudice dell’udienza preliminare, il qual ha adottato legittimamente un provvedimento di integrazione delle indagini ai sensi dell’art. 42 bis cod. proc. pen.
Non è possibile, quindi, ritenere che, come prospettato dal ricorrente, l’ordinanza impugnata sia affetta dal vizio di abnormità. Non si riscontra né l’uno né l’altro dei due as dell’abnormità, perché il provvedimento impugNOME rientra, strutturalmente, nei poteri del giudice, e, dunque, non si colloca al di fuori degli schemi paradigmatici del sistema processuale trattandosi, appunto, di un esito fisiologico tipico dell’attività del Giudice dell’udienza prelim di fronte alla richiesta di rinvio a giudizio formulata dal Pubblico Ministero; neppure p affermarsi che dal provvedimento impugNOME derivi una stasi del procedimento.
3.1. Il Collegio si riconosce nel principio di diritto secondo cui “Il giudice dell’udienza preliminare è chiamato ad una valutazione di effettiva consistenza del materiale probatorio posto a fondamento dell’accusa, eventualmente avvalendosi dei suoi poteri di integrazione delle indagini, e, ove ritenga sussistere tale necessaria condizione minima, deve disporre il rinvio giudizio dell’imputato, salvo che vi siano concrete ragioni per ritenere che il materia individuato, o ragionevolmente acquisibile in dibattimento, non consenta in alcun modo di provare la sua colpevolezza.” (Sez. 6, n. 33763 del 30/04/2015 – dep. 30/07/2015, P.M. in proc. COGNOME e altri, Rv. 264427).
3.2. Per la chiarezza delle argomentazioni esposte in siffatto arresto è opportuno trascrivere, seppur parzialmente, nei suoi punti più rilevanti, la motivazione. Ha, in quella occasion osservato la Corte che «con la disciplina introdotta dal 1999, risulta che la regola di giudizio dell udienza preliminare non è più (se lo è mai stata) limitata alla verifica superficiale che no
siano ostacoli al rinvio a giudizio; consiste, invece, nel valutare innanzitutto la esistenza d corpo indiziario da qualificare come “serio” e, poi ed in aggiunta, nella valutazione di una ser prospettiva di un risultato positivo per l’accusa nel dibattimento. Laddove si ammettesse il rinv a giudizio in assenza di un minimum probatorio, si consentirebbe la sotto posizione al processo al di fuori di qualsiasi verifica della necessità di una tale compressione dei diritti della pe imputata.
Già a fronte della iniziale formulazione dell’art. 425 c.p.p. si riteneva che comunque no potesse darsi lettura diversa da quella per la quale, in sede di decisione sulla richiesta di ri a giudizio, era prevista una valutazione di merito.
Va, quindi, considerato come il comma aggiunto nel 1999 allo stesso art. 425 cit., soprattutto se letto rispetto al “diritto vivente” sul quale si andava ad innestare, era ed è test nell’ampliare l’ambito di valutazione del giudice per l’udienza preliminare richiedendo la esistenz di un minimo probatorio: “il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostene l’accusa in giudizio”.
Tale disposizione è stata introdotta al chiaro fine di ampliare l’ambito di intervento del g rispetto ad una interpretazione che, si è detto, già riteneva che ai fini della emissione del decr ex art. 429 c.p.p. fosse necessario apprezzare una “consistenza” dell’ipotesi di accusa. Quindi, ragionevolmente, salvo considerare la norma pleonastica, deve ritenersi che quella riforma imponesse un sindacato più attento del gup.»
Più avanti si considerava «come il sistema riformato appaia presupporre sostanzialmente la “completezza” delle indagini; tale regola risulterebbe dalla lettura dell’art. 421 bis c “ordinanza per la integrazione delle indagini”. Va quindi considerato che, nella introduzione d nuovi e forti poteri del giudice per l’udienza preliminare, quello di procedere alla raccolta di p nel corso della udienza ex art. 422 c.p.p. è potere che può essere esercitato solo al fine d giungere al proscioglimento mentre un tale limite, invece, non è stato posto alla ordinanza per la integrazione delle indagini. La possibilità di integrare le indagini è, ragionevolmente, un in della necessità di acquisire un quadro probatorio minimo per il rinvio a giudizio. La necessità completamento delle indagini ha ragione d’essere solo se, a fronte di elementi a carico insufficienti, il giudice sia tenuto al proscioglimento. Se non fosse necessario ottenere tale quad probatorio minimo non vi sarebbe necessità della integrazione delle indagini: il giudice potrebbe rinviare a giudizio per il possibile sviluppo dibattimentale; ed anzi, proprio nel caso d possibilità di integrazione delle indagini, sarebbe innegabile la esistenza di uno spazio per u ulteriore sviluppo probatorio e, quindi, non vi sarebbe ragione di ritardare il rinvio a giudizi
Il potere di integrazione introdotto con l’art. 421 bis c.p., invece, appare finalizzato, lad sia in concreto possibile, al completamento della acquisizione in caso di mancanza di un quadro probatorio minimo per giustificare il giudizio( ). Il ruolo del gup non è certamente quell verificare l’innocenza (se non evidente) o la colpevolezza, bensì quello di individuazione di un minima probabilità di colpevolezza, condizione che giustifica la sottoposizione al processo, e la
assenza di ragioni per ritenere che l’accusa non sia suscettibile di essere definitivamente provata in dibattimento. Va peraltro rammentato come tale situazione si collochi in un contesto di tendenziale completezza delle indagini che si rileva nell’art. 421 bis c.p.p. In definitiva, la regola che si ritiene applicabile è la seguente: Il giudice della udienza preliminare è chiamato ad un valutazione di effettiva consistenza del materiale probatorio a fondamento della accusa a carico dell’imputato, essendo tale condizione minima necessaria a giustificare la sottoposizione al processo. Ritenuta tale adeguatezza, se del caso esercitando i poteri di integrazione delle indagini che gli vengono riconosciuti, il g.u.p. dispone il rinvio a giudizio fatto salvo il caso vi siano concrete ragioni per ritenere che non sia possibile giungere in alcun modo ad una prova di colpevolezza in dibattimento, a ciò non prestandosi il materiale individuato o che, ragionevolmente, potrebbe essere individuato.».
3.3. Giova aggiungere che, nella giurisprudenza di questa Corte, si è già chiarito che, potendo il giudice dell’udienza preliminare avvalersi, nella valutazione di effettiva consistenza materiale probatorio posto a fondamento dell’accusa, del potere di integrazione probatoria di cui all’art. 421 bis cod. proc. pen., l’esercizio di tale potere, se adeguatamente motivato, non pu essere oggetto di ricorso sotto il profilo della “eccessiva ampiezza”, posto che l’unico limi processuale all’utilizzazione di tale potere è rappresentato dall’essere lo stesso finalizzato a valutazioni suddette (Sez. 5, n. 2516 del 14/09/2016 -dep. 2017- Rv. 269009).
Di tali principi ha fatto corretta applicazione il giudice procedente, che, adempiendo compito di verificare che fossero acquisiti gli elementi minimi ad attestare la fondatezza del accuse (di tutte le accuse), ha ritenuto il compendio istruttorio incompleto e la necessità ulteriori indagini, indicandole al Pubblico Ministero.
4.1. Si tratta di una decisione che rientra appieno nello spettro delle prerogative del Giudic dell’udienza preliminare, nel senso che i temi di indagine indicati non comportano una deviazione del procedimento rispetto al modello legale ma hanno, piuttosto, a oggetto questioni attinenti a valutazioni giuridiche e di fatto che possono essere esaminate nelle successive fasi processuali.
4.2. Come si è già ricordato, laddove la decisione in oggetto risultasse illegittima, emergendo come denunciato, un vizio di motivazione, o una decisione assunta in carenza del presupposto di legge, non sussisterebbe, al di là dell’illegittimità del provvedimento, alcuna abnormi strutturale, proprio perché il potere di restituzione degli atti al P.M. è riconosciuto dall’ar bis cod. proc.pen.
4.3. Neppure può ravvisarsi la abnormità funzionale, nella parte in cui l’ordinanza ha disposto la restituzione degli atti al Pubblico Ministero e ha omesso la fissazione della successiva udienza posto che la “restituzione degli atti”, lungi dall’integrare una indebita regressione del proces è statuizione chiaramente riferita all’esigenza che il compendio investigativo fosse fatto oggett di ulteriore approfondimento di indagine da parte del Pubblico Ministero, quale titolare de relativo potere; mentre, la omessa individuazione della data della nuova udienza non comporta la adozione in un provvedimento contra legem del Pubblico Ministero, tale da dare luogo ad un atto affetto da nullità, perché non gli impone la scelta tra la richiesta di archiviazione e un nuo
inammissibile, esercizio dell’azione penale, ma esclusivamente richiede che egli, completate le indagini, nel termine indicato dal Giudice, solleciti la individuazione di una nuova data di udienz E tanto poiché, come si è visto, il G.U.P. ha rimesso al P.M. solo lo svolgimento di indagin integrative, senza pronunciarsi sulla richiesta di rinvio a giudizio: non dovrà, cioè, oper nuovamente la scelta tra richiesta di archiviazione o esercizio dell’azione penale, ma solo richiedere l’individuazione della nuova data dell’udienza preliminare.
Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, addì 22 gennaio 2024 Il Consigliere estensore