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Particolare tenuità del fatto: il ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per porto di oggetti atti ad offendere. Il ricorso contestava la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La Corte ha ritenuto i motivi d’appello meramente ripetitivi e ha confermato la decisione del giudice di merito, condannando il ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Particolare Tenuità del Fatto: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

L’istituto della particolare tenuità del fatto, introdotto dall’articolo 131-bis del codice penale, rappresenta un importante strumento di deflazione processuale. Tuttavia, il suo corretto utilizzo e i limiti alla sua contestazione in sede di legittimità sono spesso oggetto di dibattito. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre spunti cruciali, chiarendo quando un ricorso che lamenta la mancata applicazione di questa causa di non punibilità viene dichiarato inammissibile.

La Vicenda Processuale

Il caso trae origine da una sentenza del Tribunale di Macerata, che aveva condannato un individuo per il reato previsto dall’art. 4 della Legge n. 110/1975 (porto di armi od oggetti atti ad offendere). Al soggetto era stata inflitta una pena di duemila euro di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali e alla confisca e distruzione di quanto sequestrato, pur riconoscendo un’ipotesi attenuata.

Contro questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi a diversi motivi. La doglianza principale riguardava la violazione di legge in relazione alla mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

I Motivi del Ricorso e la valutazione sulla particolare tenuità del fatto

La difesa del ricorrente ha censurato la sentenza del Tribunale per non aver prosciolto l’imputato ai sensi dell’art. 131-bis c.p. Secondo il ricorrente, i fatti contestati presentavano tutti i requisiti per essere considerati di particolare tenuità, data la minima offensività della condotta.

Inoltre, il ricorso denunciava una presunta contraddittorietà e illogicità della motivazione fornita dal giudice di primo grado, ritenuta insufficiente a giustificare il diniego del beneficio. Infine, veniva genericamente menzionata la violazione dell’art. 129 del codice di procedura penale, senza però sviluppare ulteriormente l’argomentazione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una motivazione chiara e lineare. Gli Ermellini hanno innanzitutto qualificato il ricorso come ‘semplicemente reiterativo’, ovvero una mera riproposizione di censure già esaminate e correttamente respinte dal giudice di merito. Questo è un primo, fondamentale, motivo di inammissibilità: il ricorso per cassazione non può essere una semplice ripetizione delle argomentazioni già svolte nei gradi precedenti, ma deve individuare vizi specifici di legittimità della sentenza impugnata.

Nel merito della questione sulla particolare tenuità del fatto, la Corte ha ribadito un principio consolidato: per escludere l’applicazione dell’art. 131-bis c.p., è sufficiente che il giudice di merito fornisca una motivazione adeguata sull’assenza di anche uno solo dei presupposti richiesti dalla norma (esiguità del danno, non abitualità del comportamento, etc.).

Nel caso specifico, il Tribunale aveva ritenuto che il fatto non fosse ‘non particolarmente tenue’, offrendo una valutazione che la Cassazione ha giudicato logica e sufficiente. La Corte ha sottolineato come la motivazione della sentenza impugnata risultasse ‘esaustiva e priva di profili di contraddittorietà o illogicità’, rendendola immune da qualsiasi censura in sede di legittimità.

Di conseguenza, la declaratoria di inammissibilità ha comportato la condanna del ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 c.p.p.

Le Conclusioni

Questa ordinanza riafferma l’importanza di redigere ricorsi per cassazione specifici e non meramente ripetitivi. Dimostra inoltre come la valutazione sulla particolare tenuità del fatto sia ampiamente rimessa all’apprezzamento del giudice di merito. Se la motivazione con cui si nega il beneficio è logica e adeguata, anche se sintetica, essa difficilmente potrà essere scalfita in sede di legittimità. La decisione impone quindi una riflessione strategica: insistere su motivi già respinti senza introdurre nuovi e pertinenti vizi di legittimità espone il ricorrente al rischio concreto di una declaratoria di inammissibilità e a ulteriori conseguenze economiche.

Quando un ricorso in Cassazione che lamenta la mancata applicazione della particolare tenuità del fatto rischia di essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso di questo tipo è a rischio di inammissibilità quando si limita a ripetere le stesse argomentazioni già valutate e respinte dal giudice di merito, senza individuare specifici vizi di legittimità (come illogicità o contraddittorietà manifesta) nella motivazione della sentenza impugnata.

È sufficiente che il giudice motivi l’assenza di un solo requisito per escludere la particolare tenuità del fatto?
Sì, secondo la giurisprudenza citata dalla Corte, ai fini dell’esclusione della causa di non punibilità è adeguata la motivazione che dia conto dell’assenza anche di uno soltanto dei presupposti richiesti dall’art. 131-bis del codice penale, qualora tale elemento sia considerato decisivo.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso in Cassazione per il ricorrente?
La dichiarazione di inammissibilità comporta due conseguenze principali per il ricorrente: la condanna al pagamento delle spese processuali del giudizio di Cassazione e, salvo ipotesi di esonero, il versamento di una somma pecuniaria (in questo caso determinata in tremila euro) in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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