Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26249 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26249 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 22/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANZARO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 01/02/2024 del TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del RAGIONE_SOCIALE COGNOME
Trattazione scritta.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 01/02/2024 il Tribunale del riesame di Catanzaro – adito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen. – ha confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vibo Valentia del 19 gennaio 2024, di applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME, in quanto gravemente indiziato dei delitti di cui agli artt. 110 cod. pen. e 23 legge 110 del 1975 (capo a) – per avere, in concorso con la moglie, NOME COGNOME, e con la figlia NOME COGNOME, illecitamente detenuto, nascosti in un casolare in località Nucari del comune di Nardodipace, un fucile da caccia TARGA_VEICOLO.TARGA_VEICOLO, privo di marca, con matricola abrasa e riverniciata, unitamente al relativo munizionamento, ovvero n.93 cartucce dello stesso calibro – e artt. 110, 81 cpv. e 648 cod. pen. (capo b) – per avere, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in concorso con i soggetti di cui sopra, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, acquistato o comunque ricevuto l’arma di cui al capo a), priva di marca e con matricola abrasa, perciò da ritenersi arma clandestina -; fatti accertati in Nardodipace il 18 gennaio 2024.
1.1. In data 18 gennaio 2024, Carabinieri della stazione di Nardodipace effettuavano un controllo nei confronti di NOME COGNOME presso la sua abitazione sita in INDIRIZZO, Nardodipace, e sui veicoli in uso a lui ed alla moglie, in quanto sospettato di detenere armi, munizioni e materiale esplodente. Stante l’esito negativo degli stessi, i militari dell’Arma informavano COGNOME che le operazioni di perquisizione sarebbero state estese all’altra casa, sita in INDIRIZZO nella frazione di Ragonà, ed al casale ed al terreno in località Nucari (sempre nel territorio del comune di Nardodipace), dove peraltro già si trovavano appostati altri carabinieri.
NOME COGNOME, che appariva agitato, chiedeva ai militari di procedere possibilmente prima alla perquisizione dell’immobile sito in INDIRIZZO e dopo al casolare ed terreno di località Nucari; ottenuto l’assenso degli operanti, il COGNOME, prima di accompagnare i militari presso l’abitazione di INDIRIZZO, rientrava in casa con una scusa e sussurrava qualcosa alla moglie. Mentre veniva effettuata la perquisizione in INDIRIZZO, gli operanti venivano avvertiti dagli operanti che si trovavano presso il casale sito in località Nucari, che erano, nel frattempo, sopraggiunte NOME COGNOME e la figlia NOME COGNOME le quali, dopo avere parcheggiato l’auto sulla pubblica via, entravano nel casolare per poi uscirne poco attimi dopo con in mano, ciascuna di esse, un borsone di colore rosso che cercavano di nascondere dietro alcune pietre.
I militari, che avevano seguito tutti i movimenti delle donne, le bloccavano prima che potessero celare i borsoni; le predette dichiaravano spontaneamente ai militari che erano state incaricate espressamente da NOME NOME COGNOME di recarsi
nel casolare e prelevare e nascondere nei terreni circostanze le sacche in oggetto, al cui interno venivano rinvenuti e sequestrati il fucile e le munizioni di cui all’imputazione, oltre a due caschi ed altro materiale antincendio.
Nel corso dell’interrogatorio in udienza di convalida, l’indagato dichiarava di avere rinvenuto il fucile pochi giorni prima nel bosco in un sacchetto per l’immondizia e di averlo portato nel casolare; si assumeva l’esclusiva responsabilità dell’accaduto.
1.3. In punto esigenze cautelari, è stato ritenuto sussistente il rischio concreto ed attuale di recidivanza, in considerazione della facilità con cui il prevenuto è stato in grado di procacciarsi un’arma clandestina con relativo munizionamento, indice di collegamenti con ambienti criminali di più ampio respiro.
Del tutto adeguata alla gravità dei fatti ed alla personalità dell’indagato, gravato da precedenti specifici per reati in materia di armi, è stata infine ritenuta la massima misura carceraria.
Avverso la predetta ordinanza NOME AVV_NOTAIO, per mezzo del difensore AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso per cassazione deducendo, con un unico motivo, la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., in relazione agli artt. 274 comma 1 lett. c) e 275 cod. proc. pen.. Si duole in particolare la Difesa dell’assoluta genericità della motivazione resa dal Tribunale in punto adeguatezza della massima misura carceraria, non essendosi spiegato il motivo per il quale non si sua ritenuta adeguata a soddisfare l’esigenza di prevenzione dal pericolo di recidiva la misura di auto-custodia eventualmente con strumento di monitoraggio a distanza.
Il Procuratore generale, NOME COGNOME, ha fatto pervenire la sua requisitoria scritta con la quale conclude chiedendo GLYPH il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, che attiene alla sola adeguatezza della massima misura carceraria è inammissibile in quanto generico, meramente reiterativo di richieste formulate in sede di riesame e correttamente vagliate dal Tribunale, e comunque manifestamente infondato.
Con motivazione del tutto adeguata e logica, il Tribunale ha evidenziato come le ritenute esigenze cautelari, la cui sussistenza non è oggetto di censura, non potessero che essere tutelate con la massima misura carceraria, attesa la pericolosità sociale del prevenuto, gravato da precedenti penali anche specifici in materia di armi, e considerate le specifiche modalità della condotta, indicative di pervicacia criminale
e spregiudicatezza dimostrate dal tentativo del NOME di sviare le indagini, nel corso della perquisizione a suo carico.
Condivisibilmente il Tribunale, nel delineare la pregnanza dell’esigenza cautelare legata al pericolo di reiterazione, ha evidenziato come i contatti dell’indagato con ambienti criminali di più ampio respiro possano desumersi dalla facilità con cui il COGNOME è stato in grado di procacciarsi un’arma clandestina, oltre al relativo munizionamento: il pericolo di recidivanza, collegato a tale evidenti contatti, è stato ritenuto contenibile, con motivazione congrua e priva di aporie logiche e pertanto insindacabile in sede di legittimità, solo con la massima misura carceraria.
Quanto alla generica doglianza avanzata in ricorso relativamente alla mancata applicazione della misura carceraria domiciliare con dispositivo elettronico, va ribadita la consolidata giurisprudenza della Corte secondo la quale la misura cautelare degli arresti domiciliari con la prescrizione dell’utilizzo del mezzo elettronico di controllo degli eventuali spostamenti dell’indagato non si caratterizza per essere un’autonoma misura cautelare ma è solamente una specifica modalità di applicazione della misura degli arresti domiciliari (Sez. U , n. 20769 del 28/04/2016, COGNOME, Rv. 266652; Sez. 2, 16 febbraio 2015, n. 6505).
Da ciò deriva che, laddove il giudice della cautela rilevi che, per effetto dell’invariato quadro cautelare, la misura custodiale intramuraria si riveli essere la sola adeguata alla tutela delle esigenze di cui all’art. 274 cod. proc. pen., non vi è a carico del medesimo giudice alcun onere motivazionale per valutare se l’eventuale applicazione dei mezzi di controllo elettronico potrebbe rendere o meno idonea anche la più blanda misura della custodia domiciliare, sicché non può dirsi omissiva la ordinanza che non prenda posizione alcuna sul punto.
Il ricorso proposto deve perciò essere dichiarato inammissibile per la sua manifesta infondatezza.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti previsti dall’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 22 aprile 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidene )