Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 13830 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 13830 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME, nato a Bentivoglio il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/12/2022 del Tribunale di Imperia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste scritte del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
lette per l’imputato le conclusioni scritte dell’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 07/12/2022, il Tribunale di Imperia, all’esito di giudizio abbreviato, dichiarava NOME responsabile del reato di cui all’art. 727, comma 2, cod.pen. (così riqualificata l’originaria imputazione di cui all’art.544-ter cod.pen.) – perché deteneva una femmina di suino in un angusto recinto in gravi condizioni igienico sanitarie, in stato di dimagrimento, affetta da parassiti e grave dermatite con ipercheratosi e croste – e lo condannava alla pena di euro 1.000,00 di ammenda.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto appello, convertito in ricorso per cassazione in base al disposto dell’art. 568, comma 5, cod.proc.pen. con ordinanza della AVV_NOTAIO di appello di Genova del 2/10/2023, articolando quattro motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce difetto di prova in ordine alla commissione del reato, esponendo che: le condizioni del suino (croste e magrezza) erano correlate alla vita libera in campagna; la mangiatoia era stata trovata vuota perché era stata avidamente ripulita dall’animale; il Giudice non aveva creduto all’imputato che aveva dichiarato di aver regolarmente nutrito e curato il suino, senza esplicitarne le ragioni; il suino era in possesso dell’imputato solo da un mese e la dermatite era presente già in precedenza; non era stata provata la grave sofferenza dell’animale.
Con il secondo motivo deduce che le modalità dei fatti evidenziano la sussistenza della speciale causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod.pen.
Con il terzo motivo lamenta l’eccessività della pena e chiede un trattamento sanzionatorio improntato a maggiore clemenza.
Con il quarto motivo contesta il diniego concessione delle circostanze attenuanti generiche, evidenziando quale elemento positivo da valutare il comportamento collaborativo dell’imputato, che si sottoponeva ad esame e rispondeva in maniera esaustiva alle domande di tutte le parti processuali.
Il Pg ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso. La difesa del ricorrente ha depositato conclusioni scritte nelle quali si è riportata ai motivi e ribadito la doglianza in ordine a mancata applicazione dell’art. 131 bis cod.pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo di ricorso è inammissibile, perché avente ad oggetto doglianze non consentite in sede di legittimità.
L’impugnazione proposta come appello, riqualificata come ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 568 comma 5 cod.proc.pen., sulla base del principio di conservazione degli atti, determina unicamente l’automatico trasferimento del procedimento dinanzi al giudice competente in ordine alla impugnazione secondo le norme processuali e non comporta una deroga alle regole proprie del giudizio di impugnazione correttamente qualificato, ciò comportando che l’atto convertito deve avere i requisiti di sostanza e forma stabiliti ai fini della impugnazione che avrebbe dovuto essere proposta (ex muitis, Sez.3, n.26905 del 22/04/2004, Rv.228729; Sez. 1, n. 2846 del 08/04/1999, Rv. 213835)
Il motivo in esame è diverso da quelli consentiti dalla legge ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen, atteso che, come si desume dal tenore dell’originario gravame, esso ha ad oggetto esclusivamente censure di merito mosse all’impugnata sentenza, riguardanti la rivalutazione del compendio probatorio, censure non proponibili in sede di legittimità, ove è precluso un riesame delle risultanze istruttorie.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché generico.
Il ricorrente si limita a lamentare la mancata applicazione dell’art. 131-bis cod.pen., limitandosi ad esporre che le modalità dei fatti erano significative della tenuità del fatto, senza addurre alcun elemento di specificità e concretezza al riguardo.
Il motivo, dunque, caratterizzandosi per assoluta genericità, integra la violazione dell’art. 581 lett. d) cod.proc.pen., che nel dettare, in generale, quindi anche per il ricorso per cassazione, le regole cui bisogna attenersi nel proporre l’impugnazione, stabilisce che nel relativo atto scritto debbano essere enunciati, tra gli altri, “I motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”; violazione che, ai sensi dell’art. 591 comma 1, lett. c) cod.proc.pen., determina, per l’appunto, l’inammissibilità dell’impugnazione stessa (cfr. Sez. 6, 30.10.2008, n. 47414, Rv. 242129; Sez. 6, 21.12.2000, n. 8596, Rv. 219087).
3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
La censura, peraltro formulata in termini generici, lamenta l’eccessività della pena e tende ad una rivalutazione del trattamento sanzionatorio.
Deve ricordarsi che la graduazione del trattamento sanzionatorio rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., sicché è inammissibile la censura che nel giudizio di cassazione miri ad una nuova valutazione della congruità della pena (Sez.3, n.1182 del 17/10/2007, dep.11/01/2008, Rv.238851;Sez.5, n.5582 del 30/09/2013, dep.04/02/2014, Rv.259142).
Va anche rilevato che non ha costituito motivo di gravame l’erronea applicazione da parte del giudice di merito della misura della diminuente per il rito scelto, che, nella specie, trattandosi di contravvenzione andava applicata nella misura di 1/2 e non di 1/3 (art. 442, comma 2, cod. proc. pen., come novellato dalla legge n. 103 del 2017), come, invece, effettuato dal Tribunale; trattasi di ipotesi di pena illegittima e non di pena illegale e, pertanto, rientrando la pena concretamente irrogata nei limiti edittali, risulta precluso il rilievo della rela questione, in quanto integrante una violazione di legge processuale non dedotta con motivo di gravame (cfr Sez.U, n.47182 del 31/03/2022, Rv. 283818 – 01).
Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema AVV_NOTAIO, il giudice nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti; è sufficiente che egli fa riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione, individuando, tra gli elementi di all’art.133 cod.pen., quelli di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalità dell’imputato (Sez.3, n.28535 del 19/03/2014, Rv.259899; Sez.6, n.34364 del 16/06/2010, Rv.248244; sez. 2, 11 ottobre 2004, n. 2285, Rv. 230691).
Nella specie, il Tribunale con motivazione congrua e logica, ha negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche rimarcando l’assenza di elementi a cagione dei precedenti penali dell’imputato.
Ha, quindi, ritenuto assolutamente prevalente il richiamo, sia pure implicito, alla personalità negativa dell’imputato, quale emergente dal certificato penale, per negare l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche (cfr. in merito alla sufficienza dei precedenti penali dell’imputato quale elemento preponderante ostativo alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, Sez.2, n.3896 del 20/01/2016, Rv.265826; Sez.1, n.12787 del 05/12/1995, Rv.203146).
Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (AVV_NOTAIO Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 06/03/2024