Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 14959 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14959 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/03/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nato a Messina il DATA_NASCITA
NOME, nato a Messina il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Messina il DATA_NASCITA
NOME, nato a Messina il DATA_NASCITA
NOME, nato a Messina il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/12/2022 della Corte di appello di Messina visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso di NOME COGNOME, l’inammissibilità dei restanti ricorsi e la rettifica della pena pecuniaria inflitta nei conf di NOME COGNOME;
uditi i difensori, AVV_NOTAIO del foro di Messina per NOME COGNOME e in sostituzione dell’AVV_NOTAIO del foro di Catania, per NOME COGNOME, e
AVV_NOTAIO del foro di Messina per NOME COGNOME, i quali insistono per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, in parziale riforma della decisione emessa dal G.i.p. del Tribunale di Messina all’esito del giudizio abbreviato e appellata dagli imputati, ai fini che qui rilevano, la Corte di appello di Messina ha così provveduto:
ha assolto NOME COGNOME dai reati di cui ai capi 1) e 2) per non aver commesso il fatto e da quelli di cui ai capi 41), 44), 45) perché il fatto non sussiste;
ha assolto NOME COGNOME dal reato ascrittogli al capo 4) per non aver commesso il fatto;
esclusa l’aggravante contestata, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME e NOME COGNOME per il reato di cui al capo 63) perché l’azione penale non doveva essere iniziata per mancanza di querela;
ha riqualificato ai sensi dell’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990 la contestazione di cui al capo 4);
ha escluso il ruolo di capo e promotore nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME come contestato al capo 4);
ha riqualificato ai sensi dell’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990 le contestazione di cui ai capi 6) e 21), assorbito in quest’ultimo il capo 20) contestato ad COGNOME e COGNOME;
ha riqualificato ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 19990 le contestazioni di cui ai capi 7), 12), 17), 32), 38), 39), 40), 46), 47), 50), 54), 5 e 58);
ha dichiarato assorbita la contestazione di cui al capo 14) in quella di cui al capo 15) e quella di cui al capo 31) in quella di cui al capo 30) con riferimento agli imputati COGNOME e COGNOME;
ha, per l’effetto, rideterminato in: due anni di reclusione e 8.000 euro di multa la pena inflitta nei confronti di NOME COGNOME, previa esclusione della recidiva; cinque anni e sei mesi di reclusioni e 15.400 euro di multa la pena nei confronti di NOME COGNOME; sei anni, quattro mesi e venti giorni di reclusione e 28.200 euro di multa la pene inflitta nei confronti di NOME COGNOME; in sei mesi di reclusione e 1.000 euro di multa, a titolo di aumento per la continuazione con il reato accertato con sentenza della Corte di appello di Messina del 27 ottobre 2021, la pena inflitta nei confronti di NOME COGNOME; sette anni e otto mesi di reclusion e 28.400 euro di multa la pena inflitta nei confronti di NOME COGNOME.
Nel resto, la Corte di merito ha confermato la sentenza impugnata.
Avverso l’indicata sentenza, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, per il ministero dei rispettivi difensori di fiducia, hanno proposto ricorso per cassazione.
Il ricorso di NOME COGNOME è articolato in sei motivi.
3.1. Con un primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 192 cod. proc, pen. e 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 con riguardo al capo 28). Assume il difensore che la prova della penale responsabilità si fonda unicamente su un’unica intercettazione telefonica intercorsa tra alcuni coimputati, peraltro dal contenuto equivoco, in quanto non si parla mai espressamente di una cessione, e, in ogni caso, non vi è prova che il “NOME” cui si fa riferimento sia proprio il ricorrente. La Corte d merito, inoltre, non avrebbe dato risposta alle censure dedotte con l’appello circa la prova dell’effettività della cessione, dedotta sola dall’affermazione di terz secondo cui tale NOME lamentava di avere fatto una “cattiva figura”, il che potrebbe ben riferirsi anche a un’ipotesi di consumo di gruppo.
3.2. Con un secondo motivo censura la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 192 cod. proc. pen. e 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 con riguardo al capo 29). Espone il difensore che non solo la prova della penale responsabilità di fonda su un’unica intercettazione telefonica, ma che la motivazione sarebbe apparente, avendo unicamente valorizzato la sussistenza di presunti “ottimi rapporti” con il NOME e un’apodittic “situazione fluida”, anche considerando l’intervenuta assoluzione sia dal delitto associativo, sia da numerosi delitti fine.
3.3. Con un terzo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. con riguardo al capo 34). Argomenta il difensore che la prova della penale responsabilità è stata desunta da un’unica intercettazione tra terzi, priva di riscontri e suscettibile d interpretazioni differenti.
3.4. Con un quarto motivo censura la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 192 cod. proc. pen. e 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990 con riguardo al capo 33). Ad avviso del difensore, la Corte di appello non avrebbe dato risposta al motivo con cui si c:ontestava la finalità allo spaccio dello stupefacente, che neppure era stata accertata dal primo giudice, essendosi unicamente soffermata sulla qualificazione del fatto.
3.5. Con un quinto motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 192 cod. proc. pen. e 73, comma
4, d.P.R. n. 309 del 1990 con riguardo al capo 33). Ferme restando le censure di cui al motivo che precede, espone il difensore che, stante l’accertata qualità di consumatore dell’COGNOME di sostanze stupefacenti, la Corte territoriale avrebbe dovuto tener conto del fatto che una parte della sostanza acquistata fosse per uso personale e, quindi, riqualificare il fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n 309 del 1990.
3.6. Con un sesto censura la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 81 e 132 cod. pen., posto che la Corte di merito avrebbe errato nel calcolo della pena pecuniaria, indicato in dispositivo in 12.000 euro, anziché in 11.000 euro, importo che, come risulta dalla motivazione, si ottiene sommando alla pena base, pari a 8.000 euro, l’aumento ex art. 81 cpv. cod. pen. di 1.000 euro inflitto per ciascuna RAGIONE_SOCIALE tre restanti condotte.
4. Il ricorso di NOME COGNOME si articola in quattro motivi.
4.1. Con un primo motivo censura, in riferimento ai capi 1), 2) e 3), la violazione di legge e il difetto di motivazione in ordine alla ritenuta utilizzazio dell’annotazione di p.g. riportante le dichiarazioni informali asseritamente rese dalla persona offesa. Ad avviso del difensore, la Corte di merito è incorsa in un evidente errore di diritto, laddove ha ritenuto utilizzabili, stante la natura del r prescelto, le dichiarazioni della persona offesa riportate nell’annotazione di servizio, redatta a norma degli artt. 348 e 357 cod. proc. pen.; viceversa, non essendo state verbalizzate per una scelta dell’organo investigativo, tali dichiarazioni sono inutilizzabili, come affermato da Sez. U, n. 36747 del 2003, e, in ogni caso, la Corte territoriale non ha spiegato le ragioni in forza RAGIONE_SOCIALE quali n ha attribuito rilevanza probatoria.
4.2. Con un secondo motivo eccepisce’ in riferimento ai capi 1) e 2), la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125, 192, 533 cod. proc. pen. con riguardo agli artt. 110, 582, 585, 56, 629 cod. pen. Argomenta il difensore che la motivazione sarebbe apparente, in quanto si risolverebbe in un mero “copia e incolla” della motivazione della sentenza di primo grado, non avendo autonomamente effettuato il vaglio di credibilità della persona offesa. Anche a voler ritenere raggiunta la prova circa l’esistenza di un debito contratto dalla persona offesa con il ricorrente per una fornitura di un modesto quantitativo di sostanza stupefacente, in ogni caso si sarebbe in presenza di un evidente travisamento probatorio per omissione, non avendo la Corte di merito tenuto conto che dalle captazioni effettuate – sia telefoniche, sia tra presenti – non emergono elementi rispetto al fatto oggetto di addebito, e non avendo la persona offesa operato alcun riferimento all’NOME.
4.3. Con un terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 192, comma 3, 533 cod. pen. con riguardo all’art. 99 cod. pen. Argomenta il difensore che la Corte di merito ha confermato la sussistenza dei presupposti della recidiva con una motivazione illogica e contraddittoria che, oltre ad esprimere un tautologico ed immotivato collegamento con un precedente reato, non tiene conto dell’insegnamento in materia affermato dalla giurisprudenza di legittimità.
4.4. Con un quarto motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 81 cod. pen., non avendo la Corte d’appello determinato la pena in relazione a ciascun reato satellite, in violazione dei principi espressi da Sez. Un., n. 47127 del 2021.
5. Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a dodici motivi,
5.1. Il primo motivo eccepisce, con riferimento al capo 5), la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 11 cod. pen., 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto dalla motivazione della sentenza impugnata emerge non la prova dell’avvenuta consegna da parte dell’COGNOME, ma solo una supposizione dell’asserita cessione.
5.2. Il secondo motivo deduce, con riferimento al capo 6), la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 11 cod. pen., 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, dal momento che, non conoscendosi le caratteristiche RAGIONE_SOCIALE ritenute preg resse attività illecite che avrebbero generato credito di tremila euro vantato da uno degli imputati, la Corte di merito avrebbe dovuto riqualificare il fatto ai sensi del comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990.
5.3. Il terzo motivo lamenta, con riferimento al capo 15), la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 110 cod. pen., 73, commi 4 e 5, d.P.R. n. 309 del 1990, dal momento che la prova dell’addebito risulta conseguenza di un ragionamento meramente ipotetico, che non trova riscontro né nella conversazione intercettata, né in sequestri, sicché non vi è prova che l’COGNOME detenesse in casa propria un quantitativo di droga ulteriore rispetto al quello contestato al capo 14), e, in ogni caso, non conoscendosi la tipologia, la qualità e la quantità della sostanza stupefacente, il fatto avrebbe dovuto essere riqualificato in termini di “lieve entità”.
5.4. Il quarto motivo censura, con riferimento al capo 21), la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 11 cod. pen., 73, commi 4 e 5, d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto non vi sarebbe prova che il ricorrente detenesse, presso la propria abitazione, un quantitativo di droga
ulteriore rispetto a quello contestato al capo 20), anche considerando l’atteggiamento dei coimputati COGNOME e COGNOME, che, nel corso della telefonata intercettata, dimostrano apprensione con riferimento a quanto detenuto a casa del COGNOME, ma non anche dell’COGNOME, che, peraltro, nemmeno partecipata alla conversazione; la motivazione, inoltre, sarebbe mancante in relazione alla riqualficazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
5.5. Il quinto motivo denuncia, con riferimento al capo 30), la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 11 cod. pen., 73, commi 4 e 5, d.P.R. n. 309 del 1990, non emergendo che la doglianza dedotta con il ventiquattresimo motivo di appello – relativa alla riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 – sia stata esaminata dalla Corte di merito.
5.6. Il sesto motivo deduce la violazione, con riferimento al capo 32), la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. in relazione agl artt. 110 cod. pen., 73, commi 4 e 5, d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto la Corte di merito non avrebbe esaminato il ventiseiesimo motivo di appello – che evidenziava come, dalla telefonata intercettata, non emerge se l’oggetto della conversazione sia la sostanza stupefacente, né, comunque, il relativo quantitativo, e se fosse destinata al spaccio o al consumo personale essendosi limitata ad escludere la riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
5.7. Il settimo motivo deduce la violaz i one, con riferimento al capo 35), dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 11 cod. pen., 73, commi 4 e 5, d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto la motivazione sarebbe totalmente illogica, dando per dimostrato l’avvenuto acquisto della sostanza stupefacente in ragione della mera volontà di acquistare, senza alcuna prova che detto acquisto sia effettivamente avvenuto.
5.8. L’ottavo motivo deduce la violazione, con riferimento al capo 35), dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 110 cod. pen., 73, commi 4 e 5, d.P.R. n. 309 del 1990, non avendo la Corte di merito esaminato, nemmeno implicitamente, il trentesimo motivo d’appello, con cui si invocava la riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comrna 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
5.9. Il nono motivo deduce la violazione, con riferimento al capo 37), dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 110 cod. pen., 73, commi 4 e 5, d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto, in assenza di controlli e di sequestri, non è dato sapere la ragione degli accessi dell’asserita acquirente presso l’abitazione dell’COGNOME, sicché, sul punto, la motivazione, laddove ritiene che la donna sia una “cliente marocchina”, appare del tutto congetturale.
5.10. Il decimo motivo deduce la violazione, con riferimento ai capi 53) e 55), dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 1 cod. pen., 429, 456, 529, 649 cod. proc. pen., 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, per avere la Corte di merito rigettato, con illogica motivazione, il quarantacinquesimo motivo di appello, che invocava l’assorbimento del reato contestato al capo 53) in quello contestato al capo 55), stante l’identità dei protagonisti della vicenda e della sostanza che si assume essere stata ceduta.
5.11. L’undicesimo motivo deduce la violazione, con riferimento al capo 54), dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 11 cod. pen., 73, commi 4 e 5, d.P.R. n. 309 del 1990, per avere la Corte di merito rigettato, con illogica motivazione, la prospettazione difensiva secondo cui la sostanza acquistata fosse destinata al consumo personale, come testimoniato alle espressioni utilizzate dal COGNOME nel rapportarsi al COGNOME.
5.12. Il dodicesimo motivo deduce la violazione, con riferimento al capo 32), dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 2 133 cod. pen., 73, 74 d.P.R. n. 309 del 1990, posto che la pena pecuniaria è indicata nel dispositivo in 28.200 euro di multa, mentre nella motivazione in 28.000 euro di multa, che deve prevalere in ossequio al principio del favor rei.
Il ricorso di NOME COGNOME denuncia la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli art. 125 cod. proc. pen. e 133 cod. pen., in quanto la Corte di merito, nella determinazione della pena inflitta a titolo d continuazione, non ha tenuto conto dei principi espressi da Sez. Un., n. 47127 del 2021.
Il ricorso di NOME COGNOME denuncia la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990. Il difensore censura la ricostruzione operata dalla Corte di merito, che ha ritenuto integrata la fattispecie associativa ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, in luogo della richiesta riqualificazione nell’ipotesi concorsuale ex art. 110 cod. pen.; la Corte d’appello, infatti, avrebbe svilito gli elementi costitutivi dell’ipotesi associat valorizzando circostanze del tutto neutre, quali l’interscambiabilità dei ruoli mentre la fattispecie associativa si caratterizza per la presenza di una struttura organizzata, che prevede la presenza di soggetti posti in posizione apicale, evenienza esclusa dai giudice di merito. Aggiunge il difensore che la Corte d’appello avrebbe omesso di valutare una serie di conversazioni, da cui emerge come i tre sodali, peraltro legati da vincoli familiari, avessero canali propri d approvvigionamento e di smercio dello stupefacente, il che attesterebbe l’insussistenza di un vincolo associativo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile, salvo che per il sesto motivo.
Prima di esaminare il merito RAGIONE_SOCIALE censure, appare utile premettere alcune considerazioni generali estendibili anche alla posizione di altri ricorrenti (i particolare, COGNOME e COGNOME) che censurano la motivazione in relazione alla valutazione del materiale probatorio e, in particolare, di quello captativo.
2.1. Va ricordato, in punto di diritto, che la rilevabilità del vizio di motivazion soggiace alla verifica del rispetto RAGIONE_SOCIALE seguenti regole: a) il vizio deve essere dedotto in modo specifico in riferimento alla sua natura (contraddittorietà o manifesta illogicità o carenza), non essendo possibile dedurre il vizio di motivazione in forma alternativa o cumulativa; infatti non può rientrare fra i compiti del giudice della legittimità la selezione del possibile vizio genericamente denunciato, pena la violazione dell’art. 581, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 39138 del 10/09/2019; Sez. 2, n. 37298 del 28/06/2019); b) per il disposto dell’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., il vizio dell motivazione deve essere desumibile dalla lettura del provvedimento impugnato, nel senso che esso deve essere “interno” all’atto-sentenza e non il frutto di una rivisitazione in termini critici della valutazione del materiale probatorio, perché, i tale ultimo caso, verrebbe introdotto un giudizio sul merito valutativo della prova che non è ammissibile nel giudizio di legittimità: di qui discende, inoltre, che è onere della parte indicare il punto della decisione che è connotata dal vizio, mettendo in evidenza, nel caso di contraddittorietà della motivazione, i diversi punti della decisione dai quali emerga il vizio denunciato, il che presuppone la formulazione di proposizioni che si pongono in insanabile contrasto tra loro, tale per cui l’accoglimento dell’una esclude l’altra e viceversa (Sez. 2, n. 11992 del 10/04/2020; Sez. 1, n. 53600 del 24/11/2016, dep. 2017, Rv. 271635); c) il vizio di motivazione deve presentare il carattere della essenzialità, nel senso che la parte deducente deve dare conto RAGIONE_SOCIALE conseguenze del vizio denunciato rispetto alla complessiva tenuta logico-argomentativa della decisione; sono perciò inammissibili tutte le doglianze che attaccano la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità, quando non manifesta, della motivazione, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibili dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965). Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
2.2. Occorre premettere, inoltre, che, in materia di intercettazioni, l’interpretazione e la valutazione del contenuto RAGIONE_SOCIALE conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità, se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione (ex plurimis, Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Rv. 282337; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, Rv. 268389; Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263715; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Rv. 257784). Il giudice di merito è libero di ritenere che l’espressione adoperata assuma, nel contesto della conversazione, un significato criptico, specie allorché non abbia alcun senso logico nel contesto espressivo in cui è utilizzata, ovvero quando emerge, dalla valutazione di tutto il complesso probatorio, che l’uso di un determinato termine viene utilizzato per indicarne un altro, anche tenuto conto del contesto ambientale in cui la conversazione avviene (Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Rv. 267650).
Deve ricordarsi, inoltre, che, nell’attribuire significato ai contenuti del intercettazioni, il giudice del merito deve dare mostra dei criteri adottati pe attribuire un significato piuttosto che un altro. Tale iter argomentativo è certamente censurabile in cassazione, ma soltanto ove si ponga al di fuori RAGIONE_SOCIALE regole della logica e della comune esperienza, mentre è possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 5, n.1532 de 09/09/2020).
2.3. Principi analoghi valgono anche in relazione alla valutazione di intercettazioni di conversazioni, alle quali non abbia partecipato l’imputato; esse possono costituire fonte di prova diretta, soggetta al AVV_NOTAIO criterio valutativo del libero convincimento razionalmente motivato senza bisogno di riscontri esterni, o avere natura indiziaria, richiedendo, in tal caso, i requisiti di gravità, precision e concordanza, in conformità del disposto dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 40061 del 12/07/2019, COGNOME, Rv. 278314-02).
In questo quadro, deve richiamarsi il costante insegnamento di questa Suprema Corte, secondo il quale, in presenza di un articolato compendio probatorio, non è consentito limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata dei singoli elementi, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma è necessario, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l’intrinseca valenza dimostrativa (di norma possibilistica) e successivamente procedere ad un esame globale degli elementi certi, per
accertare se la – astratta – relativa ambiguità di ciascuno di essi isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato “al di là di ogni ragionevole dubbio” e cioè, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale RAGIONE_SOCIALE cose e della normale razionalità umana (ex multis, Sez. 1, n. 51457 del 21/06/2017, Rv. 271593; Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, Rv. 266941; Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, Rv. 258321).
2.4. Deve, infine, rammentarsi che, nel caso di “doppia conforme”, come nella specie, la sentenza di appello si salda, nella sua struttura argomentativa, con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima, sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione RAGIONE_SOCIALE prove, con la conseguenza che ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, le due sentenze possono essere lette congiuntamente, costituendo un unico complessivo corpo decisionale (ex plurimis, Sez. 2 n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218).
Ciò posto, il primo motivo è inammissibile perché diretto a sollecitare una diversa interpretazione del contenuto del materiale captativo, già adeguatamente e logicamente valutato dai giudici di merito.
Invero, la Corte territoriale (p. 29 della sentenza impugnata), nel convalidare le conclusioni assunte dal G.i.p. (p. 53 della sentenza di primo grado), ha desunto la prova dell’avvenuta cessione di sostanza stupefacente a “NOME” – sulla cui identificazione non vi è dubbio, posto che, come rilevato dalla Corte di merito (p. 29), nell’ambito RAGIONE_SOCIALE indagini non è emerso altro soggetto con quel nome, diverso dal ricorrente, che abbia intrattenuto rapporti in materia di sostanze stupefacenti con il NOME – sulla base del contenuto della telefonata n. 1065 del 17 febbraio 2019, in cui il COGNOME, dopo aver fatto chiaro riferimento a sostanze stupefacenti, comunica all’COGNOME e all’COGNOME che NOME lamentava di avere fatto una “brutta figura” e che si sarebbe fatto sentire nei giorni a seguire, ciò che destava stupore negli interlocutori, in quanto gli avevano dato una sostanza “bella selezionata”.
Orbene, il contenuto della telefonata, di per sé esplicito, trova definitiva e chiara conferma nel contesto dei rapporti tra i membri del sodalizio, in primis il COGNOME, e l’COGNOME, ritenuto essere, come accertato dalla Corte di merito, un “buon pagatore” del sodalizio criminoso, e quindi un soggetto su cui la consorteria faceva maggiormente affidamento per gli affari più lucrosi.
Il secondo e il terzo motivo, esaminabili congiuntamente essendo stati trattati in maniera unitaria dalla Corte di merito (p. 29-:30 della sentenza impugnata), sono parimenti inammissibili.
Anche in tal caso, la Corte d’appello, nel solco tracciato dal G.i.p., ha ribadito la sussistenza della penale responsabilità dell’COGNOME sulla base del chiaro contenuto RAGIONE_SOCIALE telefonate n. 8653 del 2 marzo 2019, quanto al capo 29), in cui dopo essersi dati appuntamento, NOME si ferma in INDIRIZZO, dove abita l’COGNOME, e gli chiede dell’hashish (“me l’hai preso del fumo”?) per rivenderlo (“dammelo, sto andando a venderglielo e ti porto i soldi fratelli”), e n. 1784 del 20 marzo 2019, quanto al capo 34) – riportata integralmente a p. 58 della sentenza di primo grado – da cui emerge che NOME e NOME avevano ricevuto dello stupefacente da parte dell’COGNOME (“NOME gli abbiamo cercato cento grammi, aveva duecento euro e me li ha dati”).
Orbene, a fronte del chiaro e univoco contenuto RAGIONE_SOCIALE intercettazioni, valutato nell’indicato contesto dei rapporti tra l’RAGIONE_SOCIALE e i membri dell’associazione, la Corte di merito ha logicamente ritenuto irrilevante sia l’inversione dei ruoli, posto che, in questi episodi, è l’COGNOME a vendere lo stupefacente, sia la circostanza che l’COGNOME sia stato assolto del delitto associativo, posto che l’RAGIONE_SOCIALE, pur non facendo parte del sodalizio, per un periodo limitato di tempo (dal 17 febbraio al 26 marzo 2019) è stato ritenuto essere dalla Corte di merito un importante “riferimento esterno” all’associazione quale acquirente di spicco e fidato, a cui, peraltro, venivano praticati prezzi più alti rispetto ad altri clienti, in ragione RAGIONE_SOCIALE maggiori capac economiche dell’RAGIONE_SOCIALE medesimo.
5. Parimenti inammissibili sono il quarto e il quinto motivo.
Anche in tal caso, i giudici di merito hanno desunto la prova della penale responsabilità del ricorrente dal chiaro e univoco contenuto RAGIONE_SOCIALE conversazioni n. 9068 e n. 1462 del 6 marzo 2019, in cui COGNOME venne invitato a scendere per strada, dove si incontrò con NOME ed COGNOME, i quali gli cedettero 200 grammi di marijuana al prezzo di 1.200 euro (“NOME, sono due pacchi precisi, mi sono preso questa canna strada facendo perché… fumare, sono duecento precisi, quanti sono?” “Mille e due”).
Diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, il considerevole quantitativo di stupefacente acquistato dall’COGNOME è stato ritenuto, al tempo stesso, indicativo della destinazione a terzi nonché elemento avente “valore negativo assorbente” (cfr. Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, in motivazione) ai fini della qualificazione del fatto in termini di “lieve entità” (p. 30 della sentenza impugnata).
6. Il sesto motivo è fondato.
6.1. Secondo il prevalente e condivisibile orientamento espresso da questa Corte di legittimità, qui da confermare, in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione non contestuali, il carattere unitario della sentenza, in conformità al quale
l’uno e l’altra, quali sue parti, si integrano naturalmente a vicenda, non sempre determina l’applicazione del principio AVV_NOTAIO della prevalenza del primo in funzione della sua natura di immediata espressione della volontà decisoria del giudice; laddove nel dispositivo ricorra un errore materiale obiettivamente riconoscibile, il contrasto con la motivazione è meramente apparente, con la conseguenza che è consentito fare riferimento a quest’ultima per determinare l’effettiva portata del dispositivo, individuare l’errore che lo affligge ed eliminarne gli effetti, giacc essa, permettendo di ricostruire chiaramente ed inequivocabilmente la volontà del giudice, conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento RAGIONE_SOCIALE ragioni fondanti la decisione (Sez. F, n. 47576 del 09/09/2014, dep. 18/1:1/2014, COGNOME, Rv. 261402). La motivazione, infatti, conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento RAGIONE_SOCIALE ragioni per cui il giudice è pervenuto alla decisione e pertanto ben può contenere elementi certi e logici che facciano ritenere errato il dispositivo o parte di esso (Sez. 4, n. 43419 del 29/09/2015, dep. 28/10/2015, Forte, Rv. 264909; Sez. 2, n. 23343 del 01/03/2016, dep. 06/06/2016, Ariano, Rv. 267082; Sez. 3, n. 3969 del 25/09/2018, dep. 28/01/2019, B., Rv. 275690).
6.2. Nel caso di specie, la Corte di merito (p. 30 della sentenza impugnata) ha così calcolato il trattamento sanzionatorio: pena base per il più grave reato di cui al capo 33), due anni e sei mesi di reclusione e 8.000 euro di multa, aumentata per la continuazione esterna di due mesi di reclusione e 1.000 curo di ciascuna dei tre ulteriori reati; nondimeno, quando alla determinazione della pena pecuniaria, la Corte di merito è incorsa in un mero errore di calcolo, posto che l’ammontare complessivo della multa è evidentemente pari a 11.000 euro (8.000+3.000), e non già a 12.000 euro, come indicato tanto nella motivazione, quanto nel dispositivo.
Ai sensi dell’art. 619, comma 2, cod. proc. pen., occorre, pertanto, rettificare la pena pecuniaria in 7.334 euro di multa, pari alla riduzione di un terzo, in conseguenza del rito prescelto, sulla pena di 11.000 euro.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
Il primo motivo è inammissibile per genericità e, comunque, per manifesta infondatezza.
8.1. In primo luogo va richiamato il principio, che il Collegio condivide e al quale intende dare continuità, secondo cui, nell’ipotesi in cui, con il ricorso per cassazione, si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo d impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano
irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 2, n. 7986 d 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269218; in senso c:onforme Sez. 2, n. 30271 del 11/05/2017, COGNOME, Rv. 270303).
Orbene, alla luce di tale principio, il ricorrente avrebbe dovuto indicare in maniera puntuale in che modo la dedotta inutilizzabilità avrebbe inciso, disarticolandola, sulla tenuta logica della motivazione; il che non è avvenuto, sicché il motivo è aspecifico.
8.2. In secondo luogo, il ricorrente non si confronta con il principio, qui da ribadire, secondo cui è utilizzabile nel giudizio abbreviato l’annotazione di polizia giudiziaria nella quale è riportato il contenuto RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese agli operant in via confidenziale dalla persona offesa che non ha voluto verbalizzarle, costituendo la stessa atto di indagine, alla quale la scelta dell’imputato di accedere al rito alternativo ha attribuito valenza probatoria, non essendo, inoltre, applicabile nel medesimo rito il divieto di testimonianza indiretta dell’ufficiale e dell’agente polizia giudiziaria, dettato esclusivamente in relazione alla deposizione dibattimentale degli stessi (Sez. 2, n. 27642 del 25/05/2021, Rispoli, Rv. 281796).
Per questo motivo, è del tutto inconferente il richiamo, operato dal ricorrente, a Sez. U, n. 36747 del 28/05/2003, COGNOME, la quale ha affermato il principio evidentemente relativo all’acquisizione della prova nel dibattimento, e non già con riguardo al giudizio abbreviato – secondo cui il divieto di testimonianza indiretta degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, che il comma 4 dell’art. 195 cod. pro pen. stabilisce con riguardo al contenuto RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lett. a) e b) stesso codice, si riferisce tanto alle dichiarazioni che siano state ritualmente assunte e documentate in applicazione di dette norme, quanto ai casi nei quali la polizia giudiziaria non abbia provveduto alla redazione del relativo verbale, con ciò eludendo proprio le modalità di acquisizione prescritte dalle norme medesime.
Il secondo motivo è inammissibile perché, lungi del censurare profili di illogicità manifesta risultanti dal testo della sentenza impugnata, appare di contenuto valutativo.
Richiamati i limiti, dinanzi indicati, relativi al controllo che spetta a ques Corte sulla motivazione, si osserva che la Corte di merito, con riferimento ai capi 1) e 2) afferenti le vicende inerenti al pestaggio e alla tentata estorsione di danno di NOME COGNOME in conseguenza della pregressa cessione di stupefacente in favore dello stesso COGNOME (contestata al capo 3), nel confermare l’iter argomentativo della sentenza di primo grado (in cui la vicenda è dettagliatamente analizzate alle p. 15 ss.), ha logicamente desunto la penale responsabilità del
ricorrente da una serie di elementi puntualmente indicati (p. 31 e 32), ossia: l’accompagnamento del COGNOME al pronto soccorso da parte dell’COGNOME e del COGNOME e le risultanze del relativo certificato medico; i contenuti dei c:olloqui intercett dopo il fatto fra i parenti dell’imputato e la persona offesa, da cui emergono i rilievi e le indicazioni riferiti dal COGNOME sui soggetti che lo avevano avvicinato quella sera e sui motivi per cui egli era stato esposto con tale NOME, ossia una fornitura di stupefacente e un debito di 200 euro non ancora saldato; le dichiarazioni dello stesso COGNOME, il quale ha riferito che, diversamente da quanto opinato dal ricorrente, le ragioni dell’aggressione erano riconducibili, appunto, al debito di 200 euro contratto con l’COGNOME per l’acquisto di cocaina.
Alla luce di tale valutazione, immune a errori di diritto e da vizi logici, ricorrente confeziona doglianze dirette ad attaccare profili ricostruttivi del fatto che non superano il vaglio di legittimità.
10. Il terzo motivo è inammissibile.
10.1. Come affermato dalle Sezioni Unite nel solco tracciato dalla Corte costituzionale (cfr. Corte cost., 14 giugno 2007 n. 192; 14 giugno 2007 n. 198; 30 novembre 2007 n. 409; 21 febbraio 2008 n. 33; 4 aprile 2008 n. 90; 4 aprile 2008 n. 91; 6 giugno 2008 n. 193; 10 luglio 2008 n. 257; 29 maggio 2009 n. 171; 23 luglio 2015, n. 185), in presenza di contestazione della recidiva a norma di uno dei primi quattro commi dell’art. 99 cod. pen., è compito del giudice quello di verificare, in concreto, se la reiterazione dell’illecito sia sintomo effettivo riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grad di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello omogeneità esistente tra loro, all’eventuale occasionalità della ricaduta e a ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibé, Rv. 247838). Di conseguenza, l’applicazione dell’aumento di pena per effetto della recidiva facoltativa attiene all’esercizio di un potere discrezionale del giudice, del quale deve essere fornita adeguata motivazione, con particolare riguardo all’apprezzamento dell’idoneità della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo (Sez. 3, n. 191;70 del 17/12/2014, dep. 2015, Gordyusheva, Rv. 263464).
10.2. Nel caso di specie, diversamente da quanto dedotto dal ricorrente, la Corte di merito (p. 38 della sentenza impugnata) ha ribadito i presupposti integranti la contestata recidiva specifica reiterata e infraquinquennale con una motivazione puntuale ed esaustiva, avendo evidenziato che i plurimi e rilevanti
fatti contestati nel presente processo sono indice evidente di una recrudescenza a delinquere e di una accentuata pervicacia dell’COGNOME nel commettere reati, anche contro la persona – come dimostrato nella vicende coinvolgenti il COGNOME -, il che, in maniera non certo implausibile sul piano logico, è stato ritenuto segno emblematico della pericolosità sociale del ricorrente e della sua capacità criminale.
11. Il quarto motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.
11.1. Diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, la Corte di merito ha fatto corretta applicazione del principio affermato da Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021 (ric. Pizzone, Rv. 282269) secondo cui, in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite. In motivazione, la Corte ha precisato che il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stat rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illec accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall’art. 81 cod. pen. e che n sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene.
11.2. Nel caso di specie, infatti, come risulta dalla motivazione (p. 38), la Corte di merito, dopo aver determinato la pena per il più grave reato di cui al capo 2) in tre anni e sei mesi di reclusione e 6.000 euro di multa e l’aumento per la recidiva di un anno di reclusione e 2.000 euro di multa, ai sensi dell’art 81 cpv. cod. pen. ha aumentato la pena: di un mese di reclusione e 1.000 euro di multa per il capo 1); di due mesi di reclusione e 1.000 euro di multa per ciascuno dei reati di cui ai capi 3), 5), 12), 13), 27), 28), :34), 38), 42) e 43); di quattro m di reclusione e 1.500 euro di multa per ciascuno dei reati di cui ai capi 11), 21) e 35); di un anno di reclusione e 500 euro di multa per il reato di cui al capo 4).
E’ del tutto evidente che la Corte di merito, nel determinare gli aumenti per la continuazione, stabilita in relazione a gruppo di illeciti ritenuti omogenei, ha mantenuto il rapporto di proporzione tra le pene, che rispecchiano la gravità dei singoli reati, così come in concreto accertati dai giudici di merito e valutati ai sens dell’art. 133 cod. pen., in ciò uniformandosi al principio dinanzi evocato.
12. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
13. I primi undici motivi sono inammissibili perché diretti, con argomentazioni in parte generiche e in parte manifestamente infondate, ad ottenere una rivalutazione di elementi già presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito, riducendosi ad una mera contestazione RAGIONE_SOCIALE risultanze emerse dalla
motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa tali da dimostrare un’effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame (ex plurimis, Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970), ed essendo meramente reiterativi di censure che la Corte di merito ha rigettato con una motivazione certamente non manifestamente illogica, né viziata da violazione di legge.
Si osserva, in primo luogo, che il ricorrente non muove alcuna contestazione in relazione né alla sussistenza del delitto associativo di cui al capo 4), di cui l’COGNOME è stato ritenuto essere partecipe a tutti gli effetti, né riferimento ai delitti scopo di cui ai capi 10), 14), 17), 18), 19), 20), 22), 23), 2 27), 28), 33), 38), 39), 40), 46) e 55); con riguardo a tali punti, la sentenza perciò divenuta irrevocabile.
Quanto alle residue imputazioni relative ad alcuni dei reati fine, oggetto di contestazione con i primi undici motivi, richiamati i principi dinanzi indicati par. 2, si osserva quanto segue.
15.1. Quanto al capo 5), la Corte di merito ha ribadito la penale responsabilità del ricorrente alla luce del contenuto della conversazione del 5 dicembre 2018 intercettata a bordo della Smart monitorata (e riportata a p. 23, in nota, della sentenza di primo grado), laddove emerge che il COGNOME, il quale era in possesso di 20 gr. di sostanza stupefacente, esorta l’COGNOME ad essere celere, chiedendogli di prendere il bilancino, cosa che l’COGNOME fece (“si sto salendo”).
A fronte del chiaro contenuto della conversazione – la quale, peraltro, deve interpretata non in maniera atomistica, ma nel contesto associativo e nella realizzazione di numerosi reati scopo sopra indicati e definitivamente accertati – il ricorrente deduce censure di fatto, dovendosi peraltro ribadire, in ogni caso, che, per l’integrazione del delitto ex art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, non è necessaria la consegna, essendo sufficiente la detenzione finalizzata alla cessione, la quale è pacificamente accertata nel caso di specie.
15.2. In relazione al capo 6), la Corte di merito ha correttamente e logicamente escluso la qualificazione del fatto in termini di “lieve entità” individuando, come elemento negativo di carattere assorbente, il quantitativo di droga ceduta, che è stato logicamente desunto dal prezzo pagato, ossia tremila euro: prezzo che evidentemente implica, come controprestazione, un quantitativo certamente non trascurabile e, comunque, non inquadrabile nello schema del comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, avendo la Corte accertato, che, per il contesto dell’azione e del contenuto di dialoghi captati (in cui non vi è traccia di debiti pregressi), si era in presenza di un’unica cessione.
15.3. Con riguardo al capo 15), il terzo motivo è carente di interesse, perché la Corte territoriale, in accoglimento del relativo motivo di appello, ha dichiarato assorbita la contestazione di cui al capo 14) in quella di cui al capo 15), peraltro non potendo qualificare tale imputazione ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. per il quantitativo detenuto dall’COGNOME a casa propria, idoneo a soddisfare un’amplia platea di clienti.
15.4. Le medesime osservazioni valgono anche per il quarto motivo, che contesta l’autonoma sussistenza del capo 21) rispetto al capo 20).
Anche in tal caso, la Corte di merito non solo ha riqualificato ai sensi dell’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990 la contestazione di cui al 21), ma ha ritenuto assorbito, in quest’ultimo, il capo 20), escludendo, anche in tal caso, la qualificazione del fatto in termini di “lieve entità”, in relazione al quantitat detenuto dall’COGNOME presso la propria abitazione.
15.5. Con riguardo al capo 30), si osserva che la Corte di merito ha ritenuto assorbito, in detto capo, quello contestato al capo 31); orbene deve ritenersi che la Corte territoriale abbia, sia pure implicitamente, escluso, la riqualificazione de fatto in termini di “lieve entità” in considerazione del quantitativo detenuto presso l’abitazione dell’COGNOME, come peraltro risulta dalle conversazioni captate (cfr. p. 55 della sentenza di primo grado), cui si aggiungono i 100 gr. di marijuana di cui al capo 31), il quale, come detto, la Corte di merito ha ritenuto assorbito nel capo 30).
15.6. Con riferimento al capo 32), è del tutto evidente che la Corte di merito, laddove ha riqualificato il fatto nella più mite fattispecie di cui all’art. 73, com 5, d.P.R. n. 309 del 1990, ha ritenuto sussistente la finalità di spaccio, desunta dalla captazione del 3 marzo 2019, da cui chiaramente emerge che lo stupefacente in quel momento detenuto dall’COGNOME e dal NOME era sufficiente a soddisfare le richieste degli acquirenti sino a martedì.
15.7. Con riguardo al capo 35), la Corte d’appello ha ribadito l’acquisto di un kg. di marijuana sulla base del chiaro e univoco contenuto RAGIONE_SOCIALE conversazioni captate il 25 marzo 2019 (integralmente riportate a p. 59 della sentenza di primo grado), da cui emerge, tra l’altro, che l’RAGIONE_SOCIALE e gli altri due sodali era talmente motivati all’acquisto, da pagare fino a quattro euro al grammo pur di entrare in possesso di quel quantitativo, che, evidentemente, è radicalmente incompatibile con la qualificazione in termini di “lieve entità”.
15.8. Relativamente al capo 37), la Corte di merito ha ribadito l’affermazione della penale responsabilità sulla base dei servizi di o.c.p. espletatati dinanzi la casa dell’COGNOME, unitamente al contenuto della conversazione del 3 marzo 2019, in cui NOME e NOME fanno proprio riferimento a una “‘cliente marocchina”, identificata in
NOME COGNOME, la quale, appunto, fu vista entrare nella casa dell’COGNOME in diverse occasioni tra il 15 febbraio e il 4 marzo 2019 e fu rirnproverata proprio dall’COGNOME per aver cercato altri fornitori (cfr. p. 61 della sentenza di primo grado); da tali emergenze, unitamente al contesto accertato, non può certamente dirsi manifestamente illogica la motivazione, laddove ha ritenuto provate le cessioni di stupefacente effettuate in favore della NOME.
15.9. Con riguardo al capo 53), la Corte di merito ha logicamente rigettato la richiesta di ritenere tale capo assorbito in quello contestato al capo 55), evidenziando la diversità di condotte di cessione effettuate a Ruvolo in tempi diversi, come emerge dalla data del commesso reato e dal materiale probatorio relativo alle imputazioni in esame, posto che il capo 53′) si riferisce a una specifica cessione di stupefacente avvenuta il 6 gennaio 2019, mentre il capo 55) riguarda altre cessioni avvenute nello stesso mese di gennaio 2019, ma il 6, come del resto correttamente ritenuto già dal G.i.p. (cfr. p. 82 della sentenza impugnata).
15.10. Con riguardo al capo 54), la Corte di merito, con una motivazione certamente non manifestamente illogica, ha rigettato la prospettazione difensiva, tesa ad accreditare un acquisto di sostanza stupefacente per uso esclusivamente personale, sulla base della frase che COGNOME rivolge a COGNOME, nelle veste di venditore, “questa entro domani non ne abbiamo più, perché rimaniamo svegli tutta la notte”: frase che la Corte di merito (p. 47) ha logicamente interpretato nel senso di una attività continuata di cessione, tale da esaurire la contenuta scorta in un brevissimo termine, essendo del resto impensabile la spiegazione alternativa, ossia che il gruppo consumasse la droga in tempistiche così serrate e restando sveglio tutto la notte solo per consumare lo stupefacente acquistato tutto in una volta.
16. Il dodicesimo motivo è manifestamente fondato.
La Corte di merito è incorsa in un mero lapsus calami in relazione alla determinazione della pena pecuniaria finale indicata nella motivazione, ma non nel dispositivo.
Invero, come emerge dalla motivazione (p. 47), il calcolo dalla multa è stato così esplicitato: pena base per il più grave reato di cui al capo 25), 14.800 euro, aumentata ex art. 81 cpv. cod. pen.: di 500 euro per il capo 4); di ulteriori 1.000 euro per ognuna RAGIONE_SOCIALE contestazioni di cui ai capi 5), 10), 17), 18), 19), 22), 23), 27), 28), 32), 37), 38), 39), 40), 46), 53), 54) e 55); di 1.500 euro per ciascuna RAGIONE_SOCIALE contestazioni di cui ai capi 6), 15), 21), 30), 33) e 35), per un totale d 42.300 euro; applicata la riduzione di un terzo, la pena pecuniaria è perciò pari a 28.200 euro, e non a 28.000 come riportato in motivazione, ci4 2.>17:12,,12,- –
Per contro, nel dispositivo la pena pecuniaria è stata correttamente indicata in 28.200 euro di multa.
17. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME è inammissibile.
Diversamente da quanto dedotto dal ricorrente, la Corte di merito si è attenuta al principio espresso da Sez. Un., n. 47127 del 2021, avendo determinato, per l’unico reato di cui al capo 12) ascritto all’NOME nel presente processo, riqualificato ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, la pena base di sei mesi di reclusione e 1.000 euro di multa (già operata la riduzione per il rito), da porre in continuazione con quella irrogata per il reato definitivamente accertato con sentenza della Corte di appello di Messina del 27 ottobre 2021.
Non è dato perciò ravvisare né una violazione di legge, né un vizio motivazionale, posto che, nell’applicare i criteri di cui all’art. 133 cod. pen., la Co di merito ha fatto evidentemente riferimento alla gravità del fatto come concretamente accertato (cfr. p. 53 e 54 della sentenza impugnata).
18. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
18.1. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, ai fini della configurabilità di un’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico è necessaria la presenza di tre elementi: a) l’esistenza di un gruppo, i componenti del quale siano aggregati consapevolmente per il compimento di una serie indeterminata di reati in materia di stupefacenti; b) l’organizzazione di attività personali e di beni economici per il perseguimento del fine illecito comune, con l’assunzione dell’impegno di apportarli anche in futuro per attuare il piano permanente criminoso; c) sotto il profilo soggettivo, l’apporto individuale apprezzabile e non episodico di almeno tre associati, che integri un contributo alla stabilità dell’unione illecita (Sez. 6, n. 7387 del 03/12/2013, dep. 2014, Pompei, Rv. 258796; Sez. 4, n. 44183 del 02/10/2013, COGNOME, Rv. 257582; Sez. 1, n. 10758 del 18/02/2009, Uno, Rv. 242897). Va, peraltro, chiarito che l’esistenza di una pur minimale struttura organizzativa, sebbene non compaia espressamente tra gli elementi costitutivi del fatto, è implicitamente richiesta alla luce dell’in pretazione della fattispecie associativa in esame, delineata come reato a dolo specifico, come reso evidente dalla locuzione “allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dall’articolo 73” che compare nell testo della fattispecie incriminatrice in esame, nel senso che il mero accordo tra tre o più persone per la commissione di più delitti in materia di stupefacenti non è punibile (semmai integrando l’ipotesi di cui all’art. 115 cod. pen.) se ad esso non segue la predisposizione di mezzi e risorse idonei al conseguimento del fine, ossia la realizzazione di più delitti di cu all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990.
Ai fini della configurabilità dell’associazione, peraltro, non è richiesto un patto espresso fra gli associati, potendo desumersi la prova del vincolo dalle modalità
esecutive dei reati-fine e dalla loro ripetitività, dalla natura dei rapporti tra i autori, dalla ripartizione di compiti e ruoli fra i vari soggetti in vista del raggiu mento del comune obiettivo di effettuare attività di commercio di stupefacenti (Sez. 6, n. 9061 del 24/09/2012 – dep. 25/02/2013, COGNOME e altri, Rv. 255312).
Quanto, poi, ai profili probatori, il giudice può dedurre i requisiti della stabil del vincolo associativo dal susseguirsi ininterrotto, per un apprezzabile lasso di tempo, RAGIONE_SOCIALE condotte integranti detti reati ad opera di soggetti stabilmente collegati (Sez. 2, n. 53000 del 04/10/2016, COGNOME e altri, Rv. 268540), proprio perché attraverso essi si manifesta in concreto l’operatività dell’associazione medesima (Sez. 2, n. 19435 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266670).
18.2. Va, inoltre, evidenziato che l’elemento distintivo del delitto associativo ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti va individuato non come pretende il ricorrente – nella presenza o meno di una struttura organizzata, che ben può essere presente anche in relazione alla realizzazione di un numero circoscritto e determinato di violazioni dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 (si pensi, ad esempio, all’importazione dall’estero e al successione smercio di un ingente quantitativo di droga, che evidentemente implica una certa organizzazione di uomini, mezzi e di risorse finanziarie), bensì nel carattere stabile dell’accordo criminoso, e, quindi nella presenza di un reciproco impegno alla commissione di una pluralità di reati (così, da ultimo, Sez. 6, n. 28252 del 06/04/2017 – dep. 07/06/2017, COGNOME e altri, Rv. 270564).
Il discrimen tra reato associativo ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e concorso di persone nel reato continuato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 risiede perciò non tanto nel profilo organizzativo, che può sussistere in entrambi i casi, ma nel fatto che, con riguardo all’ipotesi di cui agli artt. 110, 81, comma 2, cod. pen., l’accordo criminoso è occasionale e limitato, essendo diretto alla commissione di più reati determinati, ispirati da un unico disegno che li prevede tutti. Nel delitto associativo, invece, per un verso, la sussistenza del reato prescinde dall’effettiva commissione di reati fine (sempre che, come detto, l’accordo si sia tradotto nella predisposizione di mezzi idonei al conseguimento del programma criminoso tendenzialmente indeterminato); per altro verso, il programma criminoso è tendenzialmente indeterminato nei suoi contenuti, sicché il vincolo tra gli associati trascende la realizzazione dei singoli reati scopo ed destinato a permanere nel tempo.
18.3. Nel caso di specie, la Corte di merito (cfr. p. 39, che rinvia alle p. 3437), nel solco tracciato dal G.u.p. (cfr. p. 90 ss.), ha accertato la sussistenza dell’associazione di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, pur riqualificata ai sensi del comma 6 del medesimo d.P.R., posto che dal composito compendio probatorio
-in primis le conversazioni intercettate (le più significative RAGIONE_SOCIALE quali sono riportate a p. 93 ss. della sentenza di primo grado, cui rinvia la decisione impugnata) -, emerge la sussistenza di un programma criminoso indeterminato avente ad oggetto la vendita, con cadenza quasi quotidiana, di sostanze stupefacenti del tipo marijuana e cocaina, attuata con modalità esecutive che si ripetono nel tempo, come acclarato dai numerosissimi delitti scopo contestati al COGNOME (ben trentuno) e agli altri sodali, sodalizio che aveva la base logistica dell’abitazione dell’COGNOME, dove si recavano abitualmente i clienti e dove veniva custodito lo stupefacente, come comprovato dai servizi di o.c.p. e di videosorveglianza espletati.
A fronte di tale motivazione, il ricorrente oppone censure di tipo fattuale, che evidentemente non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità.
Essendo i ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME inammissibili e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna dei ricorrenti Eil pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della RAGIONE_SOCIALE.
P.Q.M.
Dispone la rettifica della sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alla pena pecuniaria finale, che sostituisce con quella di 7.334,00 euro di multa. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME NOME e COGNOME NOME, che condanna al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ammende.
Così deciso il 27/03/2024.