Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18389 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18389 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 24/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CERIGNOLA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/02/2023 della CORTE APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
dato atto che il ricorso è stato trattato con contradditorio scritto ai sensi dell’a 23, comma 8, D.L. n.137/2020
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del G.U.P. del Tribunale di Bari del 18.11.2014 NOME COGNOME, imputato dei reati di cui agli artt. 81 – 317 cod. pen., veniva condannato ad anni due di reclusione con sospensione condizionale della pena.
A seguito di appello promosso dal solo imputato, la Corte di appello di Bari, con sentenza del 11.12.2020, assolveva NOME COGNOME perché il fatto non sussiste, escludendo la possibilità di una riqualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 31
quater cod. pen.. La sentenza assolutoria veniva poi impugnata dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari.
La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso del P.G., con sentenza n.17866 del 16 marzo 2022, annullava la sentenza di assoluzione con rinvio ad altra sezione della stessa Corte di appello.
Infine, con sentenza del 17.02.2023 la Corte di appello di Bari, decidendo quale giudice del rinvio ex articolo 627 cod. proc. pen., in parziale riforma della citata sentenza del G.U.P. del Tribunale di Bari, riqualificava i fatti ex articolo 319 quater cod. pen., confermando nel resto la sentenza di condanna, con applicazione in aggiunta della pena accessoria prevista dall’articolo 317 bis cod. pen., che era stata omessa dal giudice di primo grado.
Avverso la citata sentenza NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, ricorre per cassazione formulando a tal fine un unico motivo ex art. 606, comma 1, lett. B) ed E), cod. proc. pen. relativamente alla violazione e/ci falsa applicazione dell’art. 319 quater cod. pen., nonché vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell’abuso induttivo del pubblico ufficiale e dell’illegittimo vantaggio” come richiesto per la configurazione della fattispecie di reato oggetto della decisione impugnata.
In particolare, rileva che dal complesso degli elementi probatori presenti non sarebbe ravvisabile una condotta di abuso dei poteri o della qualità di pubblico ufficiale da parte di NOME COGNOME, in considerazione del fatto che egli non aveva mai fatto alcuna “pressione” per non pagare e le richieste di merce si erano verificate talvolta anche presentandosi in abiti civili. Proprio dalle dichiarazioni del persona offesa si sarebbe potuto escludere sia la sussistenza di una condotta induttiva da parte del carabiniere, sia una qualsiasi forma di utilità o indebito vantaggio anche indiretto che lo stesso che COGNOME avrebbe potuto conseguire prestando acquiescenza alla eventuale alle implicite richieste di NOME COGNOME. Nel caso in esame, quindi, emerge, ad avviso del ricorrente, che la Corte territoriale avrebbe utilizzato un argomento assertivo, di mero sospetto per ritenere sussistente il requisito dell’indebito vantaggio dell’extraneus, che non trova concreto ed inequivoco riscontro probatorio nei dati processuali acquisiti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato perché infondato.
2. In primo luogo, appare opportuno richiamare il perimetro di applicazione della fattispecie di cui all’art. 319 quater cod. pen. che si è affermato a seguito dell’arresto giurisprudenziale della Sezioni unite (Sez. un., n.12228 del 24.10.2023 – dep. 14.03.2014, Maldera, Rv. 258470-01) che in massima hanno espresso il seguente principio: “Il delitto di concussione, di cui all’art. 317 cod. pen. nel testo modificato dalla I. n. 190 del 2012, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno “con tra ius” da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita e si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall’art. 319 quater cod. pen. introdotto dalla medesima I. n. 190, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest’ultimo non si risolva in un’induzione in errore), di pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico. (In motivazione, la Corte ha precisato che, nei casi ambigui, l’indicato criterio distintivo del danno antigiuridico e del vantaggio indebito va utilizzato all’esito di un’approfondita ed equilibrata valutazione del fatto, cogliendo di quest’ultimo i dati più qualificanti idonei a contraddistinguere la vicenda concreta)”.
In secondo luogo, al fine di una miglior comprensione della presente decisione, appare utile riportare la parte più significativa della motivazione della sentenza rescindente (Sez.6, n.17866 del 16 marzo 2022) che segue l’orientamento delle Sez. un. Maldera, in cui, per giungere all’annullamento della sentenza di assoluzione della Corte di appello, si è affermato quanto segue: “La Corte, a ben guardare, ha apoditticamente escluso comportamenti costrittivi e prospettato un generico timore riverenziale autoindotto, ma in concreto non ha spiegato perché COGNOME avesse inteso accondiscendere alla pretesa dell’imputato di non effettuare mai alcun pagamento, a fronte di quanto correttamente segnalato dal Procuratore Generale ricorrente in ordine alle manifestazioni di imbarazzo e disagio dello stesso COGNOME e del suo timore di subire controlli: a tale stregua si sarebbe dovuto invece verificare il tipo di condizionamento prodotto dal comportamento del pubblico agente, non essendo stata, per altro verso, attestata una deliberata scelta
del titolare dell’esercizio di offrire sistematicamente in modo gratuito la sua merce all’imputato.
Sta di fatto che nel caso di specie, si sarebbe dovuto primariamente valutare se l’accondiscendente accettazione di forniture di pesce gratuite fosse dipesa dal timore di conseguenze pregiudizievoli, correlate allo svolgimento delle funzioni proprie del pubblico agente, che il titolare dell’esercizio potesse ritenere evitabil proprio con quella modalità: alla correlazione tra l’utilità prestata e la condott dell’imputato avrebbe poi dovuto seguire l’attenta analisi del tipo di conseguenze che COGNOME avrebbe potuto prospettarsi, in tale ambito assumendo specifico rilievo, in funzione della qualificazione della condotta, la distinzione tra il timore un danno contra ius e l’intento di evitare controlli, potenzialmente in grado di esporre il titolare della pescheria a rischi maggiori. In concreto, come correttamente posto in evidenza dal ricorrente, la Corte ha finito per giungere ad un esito assolutorio, che si fonda su un’analisi frammentaria e apodittica e su presupposti non coerenti con il quadro normativo di riferimento, dovendosi procedere ad un rinnovato esame della vicenda, anche al fine di procedere alla corretta qualificazione giuridica, sulla base di una logica concatenazione dei temi in rapporto al tipo di correlazione causale tra il comportamento dell’imputato e l’assoggettamento del destinatario.”
In sede di giudizio di rinvio la Corte barese, in linea con la regola di giudizio indicata dalla Suprema Corte, ha ritenuto sussistente la responsabilità dell’imputato per il delitto di cui all’art. 319 quater cod. pen.. Sulle ragioni che avrebbero indotto la persona offesa NOME COGNOME a subire la condotta illecita dell’imputato, i giudici del rinvio hanno motivato affermando: “Non può nutrirsi alcun dubbio sul fatto che, sebbene il COGNOME non abbia mai formulato esplicite richieste di non pagare il corrispettivo della merce prelevata senza però nemmeno offrirsi di pagarla prima di allontanarsi, come sarebbe stato logico aspettarsi, dato che il COGNOME non consegnava il pesce per beneficenza – la condotta della persona offesa sia scaturita non da un timore “autoindotto”, ma dalla circostanza che il COGNOME ha consapevolmente fatto pesare il suo ruolo di carabiniere in servizio nel quartiere dove era posta la pescheria.. ….. Ritiene la Corte che, avuto riguardo al fatto che alcuna minaccia esplicita è mai stata formulata dalla COGNOME, non possa escludersi che il Cara donna abbia effettuato l’azione sia per la paura di un male ingiusto (come da lui stesso riferito), sia per ingraziarsi la benevolenza del carabiniere e assicurarsi per il futuro un trattamento preferenziale; e che, parimenti, non possa escludersi che la speranza di un vantaggio abbia prevalso
sull’aspetto intimidatorio. Ciò a maggior ragione ove si consideri che la persona offesa non ha provato neppure una volta a sottrarsi alle pretese del COGNOME, chiedendogli la corresponsione del prezzo della merce che gli consegnava”. Si è, perciò, escluso che COGNOME abbia agito mosso da un “timore autoindotto”, riconducendo, invece, la sua condotta “passiva” di acquiescenza di fronte al comportamento concludente del COGNOME, all’idea di “ingraziarsi la benevolenza del carabiniere e assicurarsi per il futuro un trattamento preferenziale”, tenuto conto del fatto che quest’ultimo era in servizio presso la stazione C.C. di zona, circostanza nota alla persona offesa.
La sentenza impugnata risulta conforme alla regola di giudizio enucleata dalla decisione di annullamento con rinvio della Cassazione, nonché motivata con argomentazioni che non presentano vizi di manifesta illogicità o contraddittorietà, individuando con puntualità le ragioni che hanno consentito di affermare che la condotta della persona offesa, nelle molteplici occasioni in cui ha consegnato gratuitamente del pesce all’imputato, non fu del tutto libera dai condizionamenti indotti dalla pressione morale/suggestione del pubblico ufficiale, ed al contempo fu motivata dalla prospettiva di conseguire un possibile tornaconto personale derivante dal rapporto instaurato con il COGNOME, in servizio nella zona in cui era situata la pescheria.
A fronte di tale compendio argomentativo, il ricorso va rigettato perché non evidenzia alcuna violazione di legge, né vizi motivazionali, ma prospetta un’interpretazione alternativa dei fatti e della norma penale, che, peraltro, non si confronta con le motivazioni della sentenza impugnata.
Alla decisione di rigetto del ricorso segue la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 24 gennaio 2024
Il Consigliere estensore