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Induzione indebita: la linea sottile tra pressione e reato

La Corte di Cassazione conferma la condanna per induzione indebita a carico di un pubblico ufficiale che riceveva merce gratuita da un commerciante. La sentenza chiarisce che si configura questo reato, e non la concussione, quando la vittima agisce non solo per timore ma anche nella speranza di ottenere un futuro vantaggio personale, come un trattamento di favore. Il ricorso dell’imputato è stato rigettato in quanto la sua condotta ha integrato una pressione morale che ha condizionato la volontà del commerciante, portandolo a fornire la merce senza corrispettivo.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Induzione indebita: la Cassazione chiarisce i confini del reato

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 18389 del 2024, offre un importante spunto di riflessione sul delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità, previsto dall’art. 319-quater del codice penale. Il caso analizzato riguarda un pubblico ufficiale condannato per aver ricevuto regolarmente merce gratuita da un commerciante. La pronuncia è cruciale per comprendere la sottile linea di demarcazione tra la più grave fattispecie di concussione e l’induzione, specialmente quando la vittima agisce spinta da una commistione di timore e speranza di un vantaggio futuro.

I Fatti del Processo

La vicenda processuale ha origine dalla condanna in primo grado di un appartenente alle forze dell’ordine per i reati di cui agli artt. 81 e 317 c.p. (concussione continuata). L’imputato era accusato di aver ricevuto, in più occasioni, del pesce gratuitamente dal titolare di una pescheria.

In appello, la Corte territoriale aveva assolto l’imputato, ritenendo che il fatto non sussistesse. Tale decisione, tuttavia, veniva annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione. Il giudice del rinvio, riesaminando il caso, ha riqualificato il fatto non come concussione, ma come induzione indebita ai sensi dell’art. 319-quater c.p., confermando la condanna e applicando anche la pena accessoria prevista dall’art. 317-bis c.p., omessa in primo grado. Contro quest’ultima decisione, l’imputato ha proposto un nuovo ricorso per cassazione.

La Distinzione tra Concussione e Induzione Indebita

Per comprendere la decisione della Suprema Corte, è fondamentale richiamare la distinzione tra concussione (art. 317 c.p.) e induzione indebita (art. 319-quater c.p.), come delineata dalle Sezioni Unite nella celebre sentenza ‘Maldera’ (n. 12228/2014).

Concussione: Si caratterizza per un abuso costrittivo del pubblico ufficiale, attuato con violenza o minaccia (esplicita o implicita) di un danno contra ius* (ingiusto). La vittima subisce una grave limitazione della sua libertà di scelta e si trova di fronte all’alternativa secca di subire un danno o cedere alla richiesta.
* Induzione Indebita: La condotta del pubblico ufficiale è più sfumata e si manifesta come persuasione, suggestione o pressione morale. La vittima, pur condizionata, conserva un margine decisionale più ampio e acconsente alla richiesta non solo per evitare potenziali fastidi, ma anche perché motivata dalla prospettiva di ottenere un tornaconto personale, un vantaggio indebito.

È proprio la presenza di questo ‘vantaggio’ per il privato a giustificare una sanzione anche a suo carico, a differenza della concussione dove è considerato una mera vittima.

Le Motivazioni della Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’imputato, ritenendolo infondato. Secondo i giudici, la Corte d’appello, in sede di rinvio, ha correttamente applicato i principi di diritto, motivando in modo logico e coerente la condanna per induzione indebita.

La Suprema Corte ha evidenziato come la condotta del commerciante non fosse del tutto libera. Egli ha consegnato gratuitamente il pesce non per un ‘timore autoindotto’, ma a causa dei condizionamenti derivanti dalla pressione morale e dalla suggestione esercitata dal pubblico ufficiale. Quest’ultimo, infatti, approfittava della sua qualità e del suo ruolo di carabiniere in servizio nel quartiere dove si trovava la pescheria.

Il comportamento del commerciante era quindi motivato da una duplice spinta:
1. La paura di subire un male ingiusto o comunque dei controlli sgraditi.
2. La speranza di ‘ingraziarsi la benevolenza del carabiniere e assicurarsi per il futuro un trattamento preferenziale’.

Questa compresenza di timore e prospettiva di un tornaconto personale è proprio l’elemento che qualifica il reato come induzione indebita e non come concussione. La condotta ‘passiva’ del commerciante, che non ha mai chiesto il pagamento, è stata interpretata come acquiescenza a una situazione creata dall’abuso della qualità da parte dell’imputato.

Le Conclusioni della Suprema Corte

In conclusione, la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza impugnata, stabilendo che la condotta del pubblico ufficiale integrava pienamente gli estremi del delitto di induzione indebita. Il ricorso è stato respinto perché non ha evidenziato vizi di legge o di motivazione, ma si è limitato a proporre una lettura alternativa dei fatti, inammissibile in sede di legittimità. La decisione ribadisce che per configurare l’induzione indebita non è necessaria una minaccia esplicita, ma è sufficiente una pressione morale che, facendo leva sulla posizione di potere del pubblico agente, condizioni la volontà del privato, il quale cede anche nella prospettiva di ottenere un illecito vantaggio futuro.

Qual è la differenza fondamentale tra concussione e induzione indebita secondo la Cassazione?
La concussione (art. 317 c.p.) è caratterizzata da un abuso costrittivo del pubblico ufficiale, con violenza o minaccia di un danno ingiusto che limita gravemente la libertà della vittima. L’induzione indebita (art. 319-quater c.p.), invece, si basa su persuasione, suggestione o pressione morale, dove la vittima mantiene un margine di scelta e acconsente anche nella speranza di ottenere un vantaggio personale.

Perché in questo caso si è parlato di induzione indebita e non di un semplice ‘timore autoindotto’ del commerciante?
La Corte ha stabilito che il timore del commerciante non era autoindotto, ma era la conseguenza diretta del comportamento del pubblico ufficiale. Quest’ultimo, approfittando della sua qualità e del suo servizio nella zona, ha creato una situazione di pressione psicologica che ha indotto il commerciante a cedere la merce gratuitamente, non solo per paura ma anche per ottenere un trattamento di favore in futuro.

In cosa consisteva il ‘tornaconto personale’ per il commerciante che ha permesso di qualificare il reato come induzione indebita?
Il tornaconto personale consisteva nella prospettiva di ‘ingraziarsi la benevolenza del carabiniere e assicurarsi per il futuro un trattamento preferenziale’. Questo vantaggio, sebbene non esplicitamente promesso, era la motivazione che, insieme al timore, ha spinto il commerciante a prestare acquiescenza alle richieste implicite del pubblico ufficiale, giustificando la configurazione del reato di induzione indebita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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