Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 14074 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 14074 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a BROLO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/05/2023 della CORTE APPELLO di MESSINA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Gen. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso. udito il difensore avvocato COGNOME NOME del foro di PATTI in proprio e per delaga del coodifensore avv. COGNOME NOME del foro di PATTI, in difesa di COGNOME NOME, che riportandosi ai motivi, ha insistito per l’accoglimento del ricorso evidenziando, insubordine, che li reato è prescritto.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Messina, pronunciando sul gravame nel merito proposto dall’odierno ricorrente COGNOME NOME, con sentenza del 17/5/2023 ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Patti, in composizione monocratica, il 7/3/2022, all’esito di giudizio ordinario, applicata la disciplina sul concorso fo male di reati, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena di anni uno di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali, oltre al risarcimento del danno patito dalla parte civile, da liquidarsi in separata sede, oltre al pagamento delle spese di lite alla parte civile, in quanto riconosciutolo colpevole:
a) del reato p. e p. dall’art. 449 comma 1, cod. pen. perché per colpa cagionava un incendio, in particolare, appiccando – in una giornata caratterizzata da forti folate di scirocco – il fuoco ai rami ed alle sterpaglie tagliate nel terreno proprietà di COGNOME NOME, non controllando io sviluppo delle fiamme e non adottando adeguate cautele al fine di impedirne la propagazione, poneva così in essere le condizioni necessarie a cagionare un incendio di vaste dimensioni ed a far propagare le fiamme lungo un’area molto estesa (tanto da impegnare nel suo spegnimento i vigili del fuoco per cinque ore). In Ficarra (ME), il 31.03.2016
b) del reato p. e p. dall’art. 589 cod. pen. perché, per colpa consistita nell’appiccare – in una giornata caratterizzata da forti folate di scirocco – il fuoco ai ram ed alle sterpaglie tagliate nei terreno di proprietà di COGNOME NOME, nel non controllare lo sviluppo delle fiamme e nel non adottare adeguate cautele al fine di impedirne la propagazione, ponendo così in essere le condizioni necessarie a cagionare un incendio di vaste dimensioni ed a far propagare le fiamme lungo un’area molto estesa (tanto da impegnare nel suo spegnimento i vigili del fuoco per cinque ore), cagionava la morte di COGNOME NOME (anch’egli impegnato nell’attività di taglio e bruciatura sul medesimo fondo), che decedeva per le gravissime ustioni riportate e comunque in conseguenza dell’incendio. In Ficarra (ME), il 3 1.03.2016
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, COGNOME NOME deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un primo motivo il ricorrente lamenta vizio di motivazione e violazione di legge, in particolar modo degli artt. 191, comma 1 e 2, e 63 cod. proc. pen.
Ci si duole che la sentenza impugnata non abbia adeguatamente risposto a specifici motivi di doglianza. In particolare, in relazione al rigetto dell’eccezione d inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’imputato alla polizia giudiziaria, la dif ricorda di avere evidenziato nell’atto di appello che alla decisione di questa Corte
n. 26209 del 25/5/2017, richiamata e seguita dalla motivazlone dell’impugnato provvedimento, ne ha fatto seguito una più recente n. 4158/2020 del 25/10/2019 che ritiene le dichiarazioni rese in violazione dell’art. 63 cod. proc. pen., affette d inutilizzabilità patologica e quindi non utilizzabili nemmeno su consenso delle parti.
Il precedente più recente potrebbe, secondo la difesa, costituire un superamento del precedente orientamento.
Il ricorrente riporta l’argomentazione seguita, nella sentenza richiamata, evidenziando la corrispondenza del principio con il caso in esame in cui il primo giudice ha fondato il convincimento della colpevolezza dell’imputato sulle dichiarazioni che lo stesso avrebbe reso alla polizia giudiziaria intervenuta sui luoghi e trascritte nell’annotazione di servizio.
Si specifica che si tratta di dichiarazioni rese in assenza del difensore, sintetizzate nel verbale di p.g., quando erano già emersi indizi di reità, in violazione dell’art. 63 cod. proc. pen. e nemmeno sottoscritte.
Pertanto, si sostiene che il giudizio di colpevolezza non poteva fondarsi su di esse, stante la loro inutilizzabilità nonostante il consenso all’acquisizione dell’an notazione che le contiene.
Si precisa che, nel caso in esame, il tribunale ha esplicitamente affermato di aver fondato il proprio convincimento sulle dichiarazioni del COGNOME, ritenendo erroneamente che il consenso all’acquisizione le avesse rese utilizzabili.
Si evidenzia che, al di là delle dichiarazioni inutilizzabili, non sono emersi nel procedimento altri documenti o testimonianze che potessero individuare il COGNOME quale autore, al di là di ogni ragionevole dubbio, dell’incendio che costò la vita al COGNOME.
Si osserva che l’affermazione del giudice di prime cure che la colpevolezza del COGNOME è emersa per sua esplicita ammissione e perché era l’unico soggetto sui luoghi appare chiaramente smentita dai fatti, dal momento che sui luoghi era sicuramente presente anche il COGNOME che avrebbe potuto tranquillamente appiccare il fuoco a rami e sterpaglie, poi tramutatosi nell’incendio.
Tale passaggio evidenzia, secondo la tesi del ricorrente, l’apparenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione.
Si riportano le dichiarazioni del COGNOME, proprietario dell’area, rese in sede di s.i.t. e di prova testimoniale, evidenziando che dalle stesse, a d ifferenza di quanto affermato dalle sentenze di merito, non emerge alcuna portata accusatoria. Anzi, il COGNOME insiste sull’affidabilità e l’esperienza dell’imputato nelle operazioni di r cogliere legna dal fondo che nel giorno del sinistro stava compiendo insieme a COGNOME NOME. Piuttosto, proprio in riferimento a quest’ultimo, il COGNOME non è in grado di affermare se avesse !a stessa esperienza del COGNOME nell’esecuzione di quel tipo di operazioni.
Il ricorrente evidenzia che è emersa la presenza di entrambi, mentre non vi è alcuna certezza che sia stato il COGNOME a dare fuoco alle sterpaglie anzi, considerato che il COGNOME è stato travolto dal fuoco è probabile che fosse quello più vicino alle fiamme. Il COGNOME -si sottolinea- non ha riportato ustioni ma solo danni da esalazione di fumo.
Si rileva che entrambi erano andati a far legna e vi era l’abitudine, come riferito dal COGNOME, dopo aver raccolto la legna, di bruciare i residui, ramoscelli e sta paglie. Pertanto, non vi sarebbe ragione per ritenere che sia stato il COGNOME e non il COGNOME a cagionare l’incendio.
Ci si duole che il tribunale abbia attribuito la responsabilità esclusivamente all’imputato senza alcun cenno alla condotta del COGNOME, mentre la corte di appello ha ritenuto irrilevante l’eventuale concorso della vittima.
Sostanzialmente, continua il ricorrente, la Corte distrettuale non esclude che vi possa essere una responsabilità del COGNOME nell’incendio ma ritiene che tale colpa sia inidonea ad escludere il collegamento eziologico tra la condotta colposa dell’imputato e l’evento.
La tesi difensiva ritiene meramente apparente la motivazione che attribuisce la responsabilità al ricorrente, non essendo chiarita quale sia l’emergenza processuale sulla quale fondare il convincimento che il fuoco sia stato appiccato dal COGNOME.
Si lamenta motivazione apparente anche laddove si attribuisce all’incendio la causa della morte, essendo stato acquisito il verbale di un’ispezione cadaverica che attribuisce verosimilmente il decesso all’incendio, lasciando in tal modo qualche dubbio sulla causa della morte.
Si rileva che tra i motivi di appello era stata proposta la doglianza sulla non adeguata descrizione delle modalità dì rinvenimento del cadavere il quale veniva rinvenuto su terreno scosceso in prossimità di una piccola discarica, avvalorando la tesi di una caduta accidentale del COGNOME che per tale motivo probabilmente non è più riuscito a governare il fuoco che lui stesso aveva acceso.
Addirittura, continua il ricorrente, la presenza di fusti di metallo, uno dei qual sotto il cadavere attesterebbe la tesi della caduta determinata probabilmente dallo stesso fusto. Viene definita sconcertante la mancanza di accertamenti sui fusti e sul loro contenuto che ove fosse stato infiammabile potrebbe aver determinato il mancato controllo delle fiamme.
Nessuna risposta -ci si lamenta- è stata fornita sul punto dalla corte di appello. Si evidenzia ancora che la sentenza di appello, attribuendo all’imputato una colpa generica, ha implicitamente superato la decisione di primo grado che aveva attribuito una colpa specifica, consistita nella violazione della norma che vieta l’ac-
censione di fuochi nelle giornate ventose e nei periodi di scirocco, ovvero nel periodo che va dal 15 giugno al 15 luglio e dal 15 settembre al 15 ottobre. Regola, dunque, che non è prevista per i fuochi accesi a marzo come avvenuto nel caso in esame.
Peraltro, si aggiunge che dalla lettura della motivazione ne emergerebbe chiaramente l’insufficienza e l’illogicità, laddove viene fatto riferimento alla presenza di forte vento per nulla provata.
La presenza del forte vento -si legge in ricorso– è riferita dai carabinieri e dal medico che arrivavano sui luoghi successivamente alla segnalazione delle 13,10. Dunque, la presenza di vento nel pomeriggio non ne dimostrerebbe la presenza diverse ore prima quando veniva acceso il fuoco.
Peraltro, si aggiunge che i vigili del fuoco non fanno alcun cenno nel loro verbale alla presenza di vento in relazione alla causa dell’incendio che non viene accertata.
Si conclude rilevando la mancanza di prova della responsabilità dell’imputato nella causazione dell’incendio sostanzialmente attribuita allo stesso perché unico a rimanere vivo tra i due soggetti presenti.
Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione nella parte in cui la corte di appello riconoscendo implicitamente un concorso di colpa della vittima non ha provveduto alla sua quantificazione.
Si rileva che in diversi punti della sentenza impugnata viene riconosciuto un concorso di colpa della vittima senza alcuna quantificazione. Si richiama sul punto il principio stabilito da Sez. 4 n. 16229/2019 sull’obbligo di accertare la colpa concorrente della persona offesa ai fini del risarcimento e della quantificazione della pena.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata, con ogni statuizione di legge.
Le parti hanno concluso in pubblica udienza come riportato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi sopra illustrati sono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.
In premessa va evidenziato che alla data di cui alla presente pronuncia i reati di cui all’imputazione non sono prescritti.
Al termine massimo di prescrizione del 30/9/2023 vanno, infatti, aggiunti 200 giorni di sospensione della prescrizione in ragione del rinvio dal 24/10/2019 al 6/4/2020 per la partecipazione del difensore all’astensione degli avvocati (giorni
165) e della sospensione di ulteriori 35 giorni per il rinvio determinato dall’emergenza COVID dal 6/4/2020 all’11/5/2020 ex d.l. 18/20. Con conseguente slittamento del termine al 17/4/2024.
I fatti, per quello che rileva in questa sede, sono stati così ricostruiti da giudici di merito.
Il 31 marzo 2016, i RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE di Ficarra, in seguito ad una segnalazione di incendio, intervenivano nella zona Fosse, del Comune di Ficarra e, ivi giunti alle ore 13:55, accertavano la presenza di un incendio di vaste dimensioni, alimentato da un forte vento di scirocco.
Sul posto gli operanti rinvenivano il COGNOMECOGNOME vigile urbano del comune di Ficarra, e COGNOME NOMENOME il quale ultimo affermava che, in compagnia del COGNOME, aveva acceso piccoli roghi per pulire il terreno e che a un certo ounto non erano più stati in grado di gestire le fiamme.
Orbene, il primo tema che il ricorrente pone attiene all’utilizzabilità ai fini prova di tali dichiarazioni.
Già in appello, come ricorda il provvedimento impugnato, la difesa del COGNOME aveva sostenuto che il primo giudice aveva fondato il proprio convincimento circa la colpevolezza del proprio assistito sulle dichiarazioni dallo stesso rese e poi sintetizzate nel verbale di intervento, ritenendo così che l consenso prestato dalle parti all’acquisizione del suddetto verbale avesse reso utilizzabili dichiarazioni che, invece, per espressa previsione degli artt. 191 e 63 cod. proc. pen. dovevano ritenersi inutilizzabili. Di conseguenza, il giudice di prime cure avrebbe dovuto assolvere l’odierno imputato perché il fatto non sussiste, in quanto non erano emersi dal dibattimento ulteriori elementi di prova a sostegno dell’accusa. In ogni caso, quand’anche fosse stato provato che il COGNOME aveva acceso il fuoco, poi trasformatosi in incendio -era stato sostenuto- nessuna responsabilità avrebbe potuto essere a lui attribuita, ai sensi dell’art. 43 cod. pen., non essendo emersa la prova dell’inosservanza della regola cautelare di prudenza applicabile nel caso di specie.
Ebbene, la Corte di appello, con motivazione logica e congrua oltre che corretta in punto di diritto, con cui l’odierno ricorrente in concreto non si confront criticamente, ha già rigettato l’eccepita inutilizzabilità dell’annotazione di P.G. de 31 marzo 2016 nella parte relativa alle dichiarazioni dal COGNOME rese alla presenza dei verbalizzanti, richiamando l’orientamento di questa Corte secondo cui sono pienamente utilizzabili, in dibattimento, le dichiarazioni autoaccusatorie spontaneamente rese nell’immediatezza dei fatti dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, se l’atto che le include è stato acquisito al fascicolo per il dibattimento su accordo delle parli, senza che queste ultime abbiano formulato espresse limitazioni circa l’utilizzabilità di detto allo soltanto in relazione a
contenuti diversi dalle dichiarazioni stesse (così Sez. 2, n. 26209 del 23/02/2017, COGNOME, Rv. 270314 – 01; conf. Sez. 5, n. 12445 del 23/02/2005, COGNOME, Rv. 231689 – 01).
Osserva la Corte territoriale come nel caso in esame, all’udienza del 1 ottobre 2018, nessuna condizione è stata formulata dalla difesa al momento dell’acquisizione dell’annotazione in esame, la quale deve, pertanto, ritenersi utilizzabile in ogni sua parte. In tale annotazione, in particolare, gli agenti operanti scrivevano di essere intervenuti, in data 31 marzo 2016, nella zona Fosse del comune di Ficarra, dietro segnalazione di un incendio in corso («Alle ore 13:00 odierne, perveniva sull’utenza telefonica in uso a questo RAGIONE_SOCIALE, comunicazione da parte dell’operatore di turno.. .che riferiva di aver ricevuto una segnalazione di un incendio in corso che interessava la zona Fosse del Comune di Ficarra»). Giunti sul posto, avevano accertato la presenza di un vasto incendio alimentato da un forte vento di scirocco ed avevano constatata la presenza dell’odierno imputato, il quale aveva affermato che, mentre era intento ad appiccare, insieme a COGNOME NOME, piccoli roghi per la pulizia di un terreno, aveva perso il controllo delle fiamme, che quindi erano dilagate (“veniva immediatamente accertato la presenza di un incendio di vaste dimensioni, alimentato da un forte vento di scirocco insistente nella zona… il COGNOME riferiva che, mentre si trovava i compagnia di un suo conoscente, tale COGNOME NOME, entrambi intenti ad effettuare, tramite piccoli roghi, la pulizia di un terreno, non riuscivano a controllare le fiamme. Lo stesso COGNOME aggiungeva di aver cercato invano il COGNOME nell’area interessata dall’incendio)».
Va evidenziato che si palesa del tutto inconferente, ai fini dell’odierno decidere, l’arresto giurisprudenziale costituito da Sez. 2 n,4158 del 25/10/2019, dep. 2020, COGNOME, non mass.) e il richiamo ad un’asserita inutilizzabilità patologica ovvero a mezzi di prova assunti “contra legem”- delle dichiarazioni rese nell’immediatezza del fatto alla P.G. che tali non sono. In quel caso, infatti, non si trattava di dichiarazioni rese nell’immediatezza dei fatti alla PG intervenuta sul posto bensì di dichiarazioni rese dall’imputato alla polizia giudiziaria in sede di sopralluogo da parte di questa, cui pure il difensore aveva acconsentito a che il relativo verbale facesse ingresso nel fascicolo del dibattimento. Si trattava, dunque, di dichiarazioni rese dal ricorrente in assenza di difensore, sintetizzate nel verbale redatto dalla p.g., quando erano già emersi indizi di reità a suo carico, quindi in violazione del disposto di cui all’art. 63 cod. proc. pen., e peraltro nemmeno sottoscritte. Quindi condivisibilmente ritenute affette da inutilizzabilità patologic non utilizzabili nemmeno con il consenso delle parti.
Del resto, non si vede perché dichiarazioni come quelle del caso in esame, rese dall’odierno ricorrente nell’immediatezza del fatto, allorquando i RAGIONE_SOCIALE
giungevano sul luogo dell’incendio, pacificamente acquisibili anche senza consenso nel giudizio abbreviato (cfr. ex multis Sez. 6, n. 8675 del 26/1.0/2011, dep. 2012, Rv. 252279 -01; Sez. 4, n. 6962 del 14/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254396 – 01; Sez. 1, n. 35027 del 04/07/2013, COGNOME, Rv. 257213 – 01; Sez. 5, n. 6346 del 16/01/2014, COGNOME, Rv. 258961 – 01; Sez. 5, n. 44829 del 12/06/2014, COGNOME, Rv. 262192 – 01; Sez. 2, n. 47580 del 23/09/2016, COGNOME, Rv. 268509 – 01; Sez. 5, n. 13917 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 269598 – 01; Sez. 5, n. 32015 del 15/03/2018, COGNOME, Rv. 273642 – 01; Sez. 1, n. 15197 del 08/11/2019, COGNOME, Rv. 279125 – 01; Sez. 4, n. 2124 del 27/10/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280242 – 01; Sez. 2, n. 22962 del 31/05/2022, COGNOME, Rv. 283409 – 01), non lo debbano essere, per la medesima ratio che vuole il giudizio abbreviato attivabile su richiesta dell’imputato, quando il consenso dell’imputato riguarda uno specifico atto di P.G.
Inoltre, va sottolineato come la Corte territoriale abbia dato atto che, diversamente da quanto evidenziato dalla difesa, la condotta del COGNOME, già di per sé provata dall’annotazione sopra citata, è emersa chiaramente anche dal restante compendio probatorio in atti.
Sul punto, di particolare rilievo sono state logicamente ritenute le dichiarazioni rese dal proprietario del fondo luogo dell’evento COGNOME NOME, il quale, escusso all’udienza del 5 ottobre 2020, premetteva di essere legato al COGNOME da un duraturo rapporto di amicizia e aggiungeva che in più occasioni l’imputato si era recato presso il fondo di sua proprietà per procurarsi la legna ,’«…noi ci conoscevano da tanto tempo, da una vita… Si prestava reciprocamente l’uno con l’altro. Quando io avevo bisogno qualche piccolo aiuto lui mi dava. Quando aveva bisogno per la legna, lui sapeva che nel mio fondo è un vasto, un po’ … è diversi anni che lui quando aveva di bisogno, visto che c’era una stima reciproca, mi diceva un po’ di tempo prima e veniva o lì o in altri posti il fondo è un po’ vasto, come le ho detto, e in altre parti a raccogliere la legna. E’ sempre venuto, non è la prima volta”). Il teste proseguiva precisando che per usanza del posi:o, quando ci si recava in campagna per tagliare la legna, il materiale di scarto prodotto dalla lavorazione veniva bruciato al fine di lasciare il terreno pulito e pronto per i lavo successivi. Interrogato circa lo stato dei luoghi, il testimone precisava che il fondo di sua proprietà si presentava incolto e scosceso, con la presenza di piante di ulivo, di quercia e qualche tronco vecchio in passato interessato da un incendio che era divampato sul fondo stesso.
Rispetto al giorno dell’incendio, il COGNOME riferiva che era stato in precedenza contattato dal COGNOME, il quale gli aveva manifestato l’esigenza di recarsi presso
il suo terreno per raccogliere la legna e, nell’occasione, gli aveva comunicato che a tale attività avrebbe provveduto unitamente al COGNOME.
Ancora, il teste precisava che nella data dell’occorso il clima era caldo e che in giornate come quelle era necessario bruciare le sterpaglie durante le prime ore della mattina e con particolare prudenza. E a specifica domanda del Pubblico Ministero, il COGNOME, pur ricordando che il giorno dell’evento le temperature fossero elevate, negava tuttavia che vi fossero forti venti di scirocco che avrebbero potuto alimentare le fiamme.
Il teste proseguiva raccontando che il 31 marzo 2016 era stato chiamato dal COGNOME tra le 11:30 e le 12:00 e aveva appreso dallo stesso che l’imputato e il COGNOME avevano perso il controllo delle fiamme. Pertanto, dopo essersi recato al pronto soccorso, il COGNOME aveva allertato le autorità che prontamente erano intervenute sui luoghi.
Inoltre, anche gli operanti intervenuti sul luogo dell’incendio hanno riscontrato la presenza dell’imputato e per i giudici del merito, non vi sono dubbi, tenuto conto delle dichiarazioni rese dal proprietario del terreno, che tale presenza fosse stata determinata dalla necessità di tagliare della legna e che tale attività l’imputato aveva svolto avvalendosi della collaborazione di un amico, certamente identificabile in COGNOME NOME. Dalle dichiarazioni dell’o stesso COGNOME, è emerso, inoltre, inequivocabilmente, che l’imputato e il suo amico avevano acceso un fuoco ed erano intenti a bruciale le sterpaglie, quando avevano perso il controllo delle fiamme, determinando lo sviluppo dell’incendio, tanto cre a causa della presenza del fumo, il COGNOME non riusciva più a vedere il COGNOME.
Nel ricorso in esame -va evidenziato- propone il tema della riconducibilità all’incendio della morte del COGNOME che è inammissibile in quanto, così come in appello, proposto del tutto genericamente e tendente ad una rivalutazione del fatto non consentita in questa sede di legittimità.
In ogni caso, la Corte territoriale ha dato atto che non vi sono dubbi in merito al fatto che l’incendio abbia cagionato la morte del COGNOME. Sul punto si evidenzia che il medico legale ha indicato le fiamme quali cause del decesso della vittima (“La morte è verosimilmente avvenuta alle ore 13:00 circa odierne, in seguito alle fiamme che hanno carbonizzato l’intero corpo e l’eviscerazione è verosimilmente dovuta all’impatto del corpo con le lamiere ivi presenti”).
Già il primo giudice, dal suo canto, aveva evidenziato quanto emerso dalla relazione redatta a cura di NOME COGNOMECOGNOME medico legale all’epoca dei fatti in ser vizio presso il distretto sanitario di Patti, il quale, dopo aver effettuato l’ispezi sul cadavere rinvenuto sui luoghi, imputava la morte alle ustioni dalla vittima riportate e ne collocava il decesso intorno alle ore 13:00. del 31 marzo 2016.
Il primo giudice ha sottolineato come, escusso in dibattimento, il medico aveva confermato quanto riportato nella propria relazione, precisando che il giorno dell’incendio, dopo essere partito da Patti, in quanto reperibile per I’RAGIONE_SOCIALE, aveva notato che vi era un caldo afoso e un forte vento.
La Corte territoriale aveva motivatamente confutato anche l’argomentazione difensiva, riproposta tout court in questa sede, concernente la carenza di prova in ordine alla responsabilità colposa, ai sensi dell’art. 43 cod. pen., intesa quale inosservanza di una specifica regola cautelare di prudenza applicabile nel caso di specie.
La fattispecie incriminatrice oggetto di esame, nel punire con la reclusione chiunque cagiona per colpa la morte di una persona, individua quale criterio di attribuzione soggettiva della responsabilità penale tanto la realizzazione di condotte contrarie a fonti normative (colpa specifica) quanto la violazione di regole cautelari derivanti da massime di esperienza (colpa generica).
In questo senso, peraltro, si pongono le statuizioni della giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, in tema di responsabilità colposa, ai fini della indivi duazione della regola cautelare alla stregua della quale valutare la condotta dell’agente, non è sufficiente fare riferimento a norme che attribuiscono compiti, senza impartire prescrizioni modali, essendo necessario pervenire all’identificazione del modello comportamentale che – secondo le diverse fonti previste dall’art. 43 cod. pen. – è funzionale alla prevenzione dell’evento pregiudizievole, In assenza di una simile connotazione la norma di dovere deve essere integrata dalle prescrizioni cautelare rinvenibili in leggi, regolamenti, ordini o discipline (colpa specifica) ov vero in regole di matrice esperienziale o lecnico-scientflea (colpa generica). (cfr. ex multis Sez. 4, n. 12478/2015).
Pertanto, indipendentemente dalla sussistenza di una precisa regola di cautela che possa dirsi violata, la colpa generica in ali il COGNOME è incorso è insita nei fatti così come ricostruiti, atteso che, a prescindere dal periodo dell’anno e dalle condizioni metereologiche presenti, l’esercente l’attività rurale deve comunque accertarsi di avere il pieno dominio sulle operazioni dallo stesso svolte.
Nel caso di specie, invece, come hanno logicamente concluso i giudici del merito, il COGNOME ha perso il controllo sull’incendio dallo stesso appiccato. dimostrando così di avere omesso di tenere una condotta sufficienl:emente attenta e prudente, specie ove si consideri il livello di pericolosità insito nella natura stessa dell’attività in corso di esecuzione – la quale, consistendo nell’appiccare degli incendi, richiede evidentemente un elevato grado di accortezza e diligenza – e il forte vento di scirocco che interessava la zona in quella giornata, condizione, quest’ultima, certamente sfavorevole al compimento delle attivià cui il COGNOME e il COGNOME si erano dedicati.
Infondato è anche il secondo motivo di ricorso, afferente alla mancata quantificazione della percentuale di colpa concorrente che pure i giudici del merito ritengono sussistere in capo alla persona offesa.
In primis, va rilevato che il giudice di primo grado non fa cenno in sentenza ad una colpa concorrente del COGNOME.
Il tribunale di Patti quantifica la pena edittale di cui al più grave reato di c all’art. 449 cod. pen. in anni uno di reclusione, che poi riduce a mesi otto per le concesse circostanze attenuanti generiche e poi aumenta nuovamente per il concorso formale con l’omicidio colposo di cui al capo b).
In appello, come rileva la Corte territoriale a pag. 3 della sentenza impugnata e come si evince dalle pagg. 13-14 dell’appello del 19/7/2022 a firma degli AVV_NOTAIO, la difesa del COGNOME aveva chiesto -invero con motivazioni alquanto generiche- la riduzione della pena detentiva in relazione al grado di colpa della persona offesa, non quantificata ed idonea ad incidere sulla determinazione dell’entità della pena irrogata.
E di tale colpa concorrente, in risposta a tale motivo, la Cori:e territoriale (pag. 6) parla in termini di eventualità, in primis per escludere, in ogni caso, l’interruzione del nesso causale tra l’evento realizzatosi e la condotta colposa dell’odierno ricorrente: «A nulla rileva, inoltre, in punto di responsabilità, l’eventuale concorso della vittima nella causazione dell’incendio, che ne ha determinato il decesso, posto che comunque il comportamento colposo dell’imputato ha certamente contribuito, ponendosi quale concausa degli eventi dannosi. In altre parole, quindi, la colpa concorrente della vittima del reato non è idonea, di per sé, ad escludere il collegamento eziologico insistente tra la condotta colposa dell’odierno imputato e l’evento dannoso». E, soprattutto, in termini di logica, tenuto conto che il trattamento sanzionatorio si è assestato sul minimo edittale e che all’ imputato sono state concesse le circostanze attenuanti generiche, ha ritenuto che nemmeno può ritenersi «che l’asserito concorso del COGNOME nel divampare dell’incendio sia idoneo ad incidere, diminuendolo, sul trattamento sanzionatorio irrogato dal giudice di prime cure, atteso che, valutate le modalità della condotta, con particolare riguardo al grado della colpa ascrivibile all’imputato, e gli ulteriori criteri di cui all 133 c.p., pena equa e conforme a giustizia appare quella inflitta dal primo giudice» (pag. 6).
Dunque, ancora una volta ci si riferisce alla concorrente colpa della persona offesa in termini di mera eventualità. In ogni caso, la Corte siciliana ha risposta al tema nei limiti del devoluto.
Quanto al possibile rilievo di un’affermazione di concorrente responsabilità della persona offesa ai fini della quantificazione del danno civiie -tema che, peraltro, dall’atto di appello non pare essere stato devoluto ai giudice del gravame del merito- sullo stesso è carente l’interesse ali’impugnazione in capo all’imputato.
E’ vero, infatti, che la questione dell’eventuale concorso di colpa della vittima deve essere esaminata di ufficio nel giudizio di primo grado, mentre in grado di appello o nel giudizio di rinvio rientra nella cognizione del giudice solo se è stata oggetto dell’impugnazione. E che è stato altresì affermato che l’effetto devolutivo si ha sia se la questione del concorso di colpa ha formato oggetto di uno specifico motivo di gravame, sia quando ciò sia avvenuto attraverso la deduzione di un motivo riguardante la determinazione della pena (Sez. 3, n. 27120 del 05/03/2015, Ottonello, Rv. 264033 – 01).
Tuttavia, è ormai consolidato anche l’orientamento secondo cui l’eventuale accertamento di una colpa concorrente della persona offesa poco avrebbe influito sul giudizio civile cui è stata demandata la quantificazione del danno da corrispondere alle costituite parti civili.
Costituisce, infatti, ius receptum che l’accertamento da parte del giudice penale della condotta colposa della vittima, anche se costituita parte civile, non ha efficacia di giudicato nell’eventuale giudizio civile per le restituzioni e il risa mento del danno (Sez. 4 n. 44096 del 4/11/2021, COGNOME, non mass.).
Tale orientamento si è alla fine conformato a quello delle sezioni civili di questa Corte di legittimità secondo cui l’efficacia di giudicato della condanna penale di una delle parti che partecipano al giudizio civile, restitutorio o risarcitorio, invest ex art. 651 cod. proc. pen., solo la condotta del condannato e non anche il fatto commesso dalla persona offesa, pur costituita parte civile, anche se l’accertamento della responsabilità abbia richiesto la valutazione della correlata condotta della vittima (Sez. civ. 3, n. 1665 del 29/01/2016, F:tv. 638322).
In proposito, si è evidenziato che l’art. 651 del vigente codice di procedura penale, com’è stato osservato in dottrina, non ricalca la previsione dell’art. 3, comma 2, cod. proc. pen. Rocco, che recitava «se viene iniziata l’azione penale, la cognizione del reato influisce sulla decisione della controversia civile, il giudizi sospeso, quando la legge non dispone altrimenti, fino a che si sia pronunciata nell’istruzione la sentenza di proscioglimento non più soggetta a impugnazione o nel giudizio la sentenza irrevocabile, ovvero sia divenuto esecutivo e decreto di condanna». Del resto, l’art. 652 cod. proc. pen., in tema di efficacia extrapenale della sentenza assolutoria, è innovativo rispetto alla disciplina previgente, che era, invece, fondata sulla prevalenza del processo penale su quello civile, in linea con la tendenza alla riduzione dell’efficacia extrapenale del giudicato.
Come ormai da tempo evidenziato nella giurisprudenza civile di questa Corte (Sez. U civ., n. 1768 del 26/01/2011, COGNOME ed altri, Rv. 616366 – 01 e, prima ancora, Sez. 3 civ., n. 14770 del 02/08/2004, COGNOME NOME, Rv. 577228 – 01 il codice di procedura penale del 1988, in conformità ai criteri in tale direzione dettati dalla Legge Delega 16 febbraio 1987, n. 81 (art. 2, nn. 22-25 e art. 53) ed anche in conseguenza dei reiterati interventi della Corte Costituzionale sugli artt. 25, 27 e 28 cod. proc. pen. 1930 detta la regola, innovativa e generale, dell’autonomia tra il giudizio civile e quello penale, regola rispetto alla quale le norme di cui agli artt. 651 e 652 cod. proc. pen. costituiscono, pertanto, altrettante eccezioni. Esse, unitamente con i successivi artt. 653 e 654, individuano, in realtà, tre categorie di giudizi, quello (civile e amministrativo) di danno, quello disciplinare, ed infine, genericamente, “altri giudizi civili e amministrativi”.
Ne consegue che, se nell’ambito degli “altri giudizi civili o amministrativi”, la sentenza di assoluzione o di condanna fa indifferentemente stato, “tout court”, sui fatti accertati dal giudice penale e rilevanti ai fini della decisione, quanto, invece al giudizio civile per danni: a. la sentenza di condanna di cui all art. 651 cod. proc. pen. ha efficacia di giudicato solo con riferimento all’accertamento del fatto – reato, della sua illiceità penale, della sua commissione da parte dell’imputato, ma non fa stato su tutti i fatti accertati nel corso del processo penale; b. la sentenza di assoluzione ha efficacia di giudicato solo con riferimento all’accertamento che il fatto non sussiste, che l’imputato non l’ha commesso, che è stato compiuto in presenza dell’esimente di cui all’art. 51 cod. proc. pen. (non anche, pertanto, con riferimento alle altre ipotesi assolutorie, quali la mancanza dell’elemento psicologico del reato, l’esistenza di una causa di giustificazione diversa da quella dell’art. 51, l’esistenza di una causa di non imputabilità o non punibilità dell’autore del reato); c. la sentenza di non doversi procedere (che ha per oggetto esclusivamente l’accertamento di una situazione processuale di inesistenza di una condizione di procedibilità, ex art. 529 cod. proc. pen., ovvero di esistenza di una causa di estinzione del reato, ex art.531 cod. proc. pen.) non ha mai efficacia di giudicato nei confronti dell’imputato (nè a suo favore, ne’ contro di lui), in quanto l’oggetto della decisione non è il previo accertamento del fatto – reato, onde passare alla successiva declaratoria di non doversi procedere, bensì l’accertamento dell’inesistenza di una condizione di procedibilità o di estinzione del reato stesso.
Va anche ricordato che, secondo costante insegnamento, per “fatto” accertato dal giudice penale deve intendersi il nucleo oggettivo del reato nella sua materialità fenomenica costituita dall’accadimento oggettivo, acLertato dal giudice penale,
configurato dalla condotta, evento e nesso di causalità materiale tra l’una e l’altro (fatto principale) e le circostanze di tempo, luogo e modi di svolgimento di esso.
Ne consegue che, mentre nessuna efficacia vincolante esplica nel giudizio civile il giudizio penale – e cioè l’apprezzamento e la valutazione di tali elementi – la ricostruzione storico-dinamica di essi è invece preclusiva di un nuovo accertamento da parte del giudice civile, che non può procedere ad una diversa ed autonoma ricostruzione dell’episodio. Altresì rimesso all’accertamento ed alla valutazione del giudice civile è l’elemento soggettivo del fatto, escluso dalla nozione obbiettiva di esso, e non comprensibile nella nozione di “illiceità penale” di cui all’art. 651 cod. proc. pen.
Questa Corte ha in particolare precisato, con riguardo alla questione qui in esame relativa alla possibilità di desumere dal giudicato penale effetti preclusivi dell’accertamento in sede civile di un concorso di colpa del danneggiato, che poiché una concausa può bensì ridurre la responsabilità civile del danneggiante ai sensi dell’art. 1227 cod. civ., comma 1, ma non esclude di regola la responsabilità penale, per il principio di equivalenza causale ex art. 41 cod. pen. – l’eventuale apporto causale colposo del danneggiato non necessariamente costituisce lo stesso fatto accertato dal giudice penale per gii effetti di cui all’art. 651 cod. proc civ. e può essere dunque invocato a proprio favore dal danneggiante convenuto in giudizio per il risarcimento.
Se, infatti, come detto, la ricostruzione storico-dinamica dell’accaduto è preclusiva di un nuovo accertamento da parte del giudice civile, c:he non può procedere ad una diversa ed autonoma ricostruzione dell’episodio, quest’ultimo può invece indagare su altre modalità del fatto non considerate dal giudice penale ai fini del giudizio a lui demandato, come nella specie il comportamento della parte lesa, negli aspetti in nessun modo esaminati dal giudice penale ed incidenti sull’apporto causale nella produzione dell’evento (Sez. 3 civ., n. 4504 del 28/03/2001, COGNOME c. COGNOME, Rv. 545254 – 01 che ha annullato la sentenza d’appello nella parte in cui aveva ritenuto che la richiesta in sede civile di verifica dei concorso di colpa del danneggiato fosse preclusa dall’intervenuto accertamento della sua responsabilità in sede penale in ordine all’omicidio colposo; v. anche Sez. 3 civ., n. 11117 del 28/05/2015, COGNOME c. COGNOME, Rv. 635613 – 01 che, in base a tale principio, ha ritenuto corretta la decisione di merito che aveva escluso che al giudice civile fosse preclusa l’affermazione della concorrente responsabilità del danneggiato da sinistro stradale dal giudicato penale di condanna della controparte, anche in considerazione del fatto che il giudizio penale si era svolto “sulla base di imputazioni che rendevano del tutto compatibile l’accertamento della responsabilità colposa dell’imputato, n.d.r. con l’accertamento, in sede civile, della eventuale corresponsabilità di altri soggetti, compreso il danneggiato”; nello stesso senso Sez.
3 civ., n. 4118 del 01/03/2004, Marciano c. Fata Ass.m Rv. 570683 – 01′ che, in base al richiamato principio, ha ritenuto corretta la decisione di merito che aveva affermato la responsabilità concorrente del danneggiato da sinistro stradale, per il mancato uso del casco protettivo, escludendo la dedotta efficacia preclusiva del giudicato penale sulla responsabilità dell’altro conducente).
8. La scelta di fondo dell’autonomia tra giudizi operata dal Codice Vassalli è attenuata dal riconoscimento al giudicato penale di valore preclusivo sugli altri giudizi in specifiche limitate ipotesi, disciplinate dall’art. 651 con riferimento giudicato di condanna e dall’art. 652 con riferimento al giudicato di assoluzione nei giudizi civile ed amministrativo di danno, dall’art. 653 con riferimento al giudizio disciplinare, dall’art. 654 con riferimento al giudicato assolutorio o di condanna negli “altri” (diversi da quelli precedenti) giudizi civili ed amministrativi.
Queste disposizioni sottostanno al limite costituzionale, ripetutamente affermato dalla Corte costituzionale e fatto proprio dalla legge delega, del rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio e, costituendo un’eccezione al principio dell’autonomia e della separazione dei giudizi, ad una interpretazione restrittiva (Sez. 3 civ., n. 14770/2004 sopra cit.).
In particolare, Sez. 3 civ., n. 1665 del 29/01/2016, ha affermato che nei rapporti tra giudizio penale e civile, l’efficacia di giudicato della condanna penale di una delle parti che partecipano giudizio civile, risarcitorio e restitutorio, invest ex art. 651 cod. proc. pen., solo la condotta del condannato e non il fatto commesso dalla persona offesa, pur costituita parte civile, anche se l’accertamento della responsabilità abbia richiesto alla valutazione delle correlata condotta della vittima. E in tale sentenza, la Corte ha precisato come il primo comma dell’art. 651 cod. proc. pen. conferisce alla sentenza penale di condanna «efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso» nel giudizio civile restitutotio o risarcitorio promosso nei confronti del condannato. Il giudicato, pertanto, investe chiaramente solo la condotta di quest’ultimo, dal momento che all’accertamento della sussistenza del fatto si connette l’accertamento della sua illiceità e della sua commissione da parte dell’imputato, mentre il fatto che l’accertamento abbia implicato l’esistenza di una correlata condotta della vittima, rimane esterno a questo ambito. Invero, la liceità o meno di quest’ultima non può condurre a un ampliamento dell’efficacia esterna dell’accertamento penale, sia per il chiaro dettato dell’art. 651 cod. proc. pen., sia per l’evidente impostazione sistematica di autonomia tra giudizio penale e giudizio civile (ex multis, Sez. 3, n. 15112/2013; Sez. L., n. 1095 del 18/01/2007, Sez. 2, n. 6478/2005).
Peraltro, il principio di autonomia e separazione dei giudizi penali civili, operante al di fuori delle ipotesi di cui agli artt. 651, 651 bis e 654 cod. proc. pen esclude l’obbligo per il giudice civile di esaminare e valuC.Te le prove e le risultanze acquisite nel processo penale, pur non consentendogli la totale omessa considerazione delle argomentazioni decisive che si fondino sulle prove assunte nel processo penale o sulla motivazione della sentenza penale attinente alla stessa vicenda oggetto di cognizione nel processo civile (Sez. civ. 3, n. 1665 del 29/01/2016, Rv. 638323).
Il mancato esame del concorso di colpa del danneggiato nel giudizio penale, dunque, non impedisce al giudice civile una autonoma valutazione dei fatti (Sez. 3 civ., n. 25097/2017) e in ogni caso il giudice civile può modificare la percentuale di colpa accertata in sede penale (Sez. 3 civ., n. 15392 del 13/06/2018, Riccardi c. U., Rv. 649308 – 01))
Al rigetto del ricorso consegue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 5 marzo 2024 Il q6sigliere est sore GLYPH Il Presid t