Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31094 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31094 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/07/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a PERUGIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a PERUGIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/11/2023 della CORTE APPELLO di PERUGIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
t
Rilevato che NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono avverso la sentenza della Corte di Appello di Perugia, che, dichiarando non doversi procedere nei confronti delle imputate in ordine al reato di cui agli artt. 217 co. 2, 224 L. Fall (capo a) perché estinto per sopravvenuta prescrizione e rideterminando la pena, ha confermato nel resto la sentenza di primo grado, con la quale le ricorrenti erano state ritenute responsabili anche del reato di cui agli artt. 216, 223 co. 2 n. 2 e 219 co. 1;
Letta la memoria dell’AVV_NOTAIO, per le ricorrenti, che tuttavia non contiene argomentazioni idonee a superare le considerazioni di seguito sviluppate.
Considerato che il primo motivo di ricorso (con il quale le ricorrenti denunziano inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione al reato di bancarotta semplice, lamentando che la Corte di merito avrebbe erroneamente valutato l’arco temporale – ossia quello tra l’inizio della presunta condotta illecita e la dichiarazione di fallimento – necessario all’integrazione della fattispecie incriminatrice di cui si discute) è manifestamente infondato, atteso che la Corte di appello, in riforma della sentenza del giudice di prime cure, ha dichiarato non doversi procedere per il delitto di cui al capo a) per prescrizione. Si tratta, dunque, di valutare la doglianza solo nell’ottica di un eventuale proscioglimento ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen.. A questo riguardo, il Collegio osserva che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione ictu ocu/i, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U., n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244274). Nel caso di specie, escluso che gli altri motivi di ricorso contengano censure dotate della suindicata portata demolitoria, le doglianze formulate quanto alla bancarotta semplice, lungi dall’evidenziare elementi di per sé stessi direttamente indicativi della insussistenza del reato addebitato, deducono circostanze di fatto, un inesistente errore di diritto (cfr. tra le altre, Sez. 5 37910 del 26/04/2017, Viscio, Rv. 271218) e un vizio di motivazione in grado di
condurre, al più, qualora fosse ritenuto effettivamente esistente, ad annullare con rinvio la sentenza impugnata, rinvio tuttavia inibito, poiché, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi d motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244275).
Rilevato che il secondo ed il terzo motivo di ricorso – ,-, con i quali le ricorrenti denunziano inosservanza o erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in ordine alla valutazione del quadro probatorio, lamentando, in particolare, l’insussistenza degli elementi per ritenere la bancarotta da operazioni dolose – non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità, perché, oltre ad essere costituiti da mere doglianze in fatto, sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati dal giudice di merito (si veda, in particolare, pag. 7 della sentenza impugnata);
Rilevato, inoltre, che il quarto motivo di ricorso, con il quale le ricorrent lamentano inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione alla durata delle pene accessorie di cui all’art. 216, ultimo comma, legge fall., non è consentito in sede di legittimità, perché, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza, la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; che, nella specie, l’onere argonnentativo del giudice è adeguatamente assolto richiamando il vaglio di congruità già svolto dal primo Giudice e senza che la riduzione della pena principale legata al proscioglimento per prescrizione possa avere un automatica incidenza sulla durata delle pene accessorie (si veda, in particolare, pag. 8 del provvedimento impugnato), durata, peraltro, non specificamente contestata dalle ricorrenti, che non hanno chiarito le ragioni per cui la durata individuata dal primo Giudice e poi avallata dalla Corte distrettuale sia incongrua;
Ritenuto, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso 1’8 luglio 2024