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Giudizio direttissimo e messa alla prova: la Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18374/2024, ha stabilito che nel rito del giudizio direttissimo non è obbligatorio l’avviso all’imputato della facoltà di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova. La Corte ha però annullato con rinvio la decisione di merito per motivazione apparente riguardo al mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto, ex art. 131 bis c.p., in un caso di spaccio di lieve entità.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Giudizio direttissimo e messa alla prova: quando l’avviso non è dovuto?

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 18374/2024, è intervenuta su un’importante questione procedurale riguardante il giudizio direttissimo e i diritti di difesa. La pronuncia chiarisce che, in questo rito accelerato, non sussiste l’obbligo per il giudice di informare l’imputato sulla possibilità di richiedere la messa alla prova. Tuttavia, la stessa sentenza censura la prassi di negare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto con motivazioni generiche.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla condanna di un individuo per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti di lieve entità, previsto dall’art. 73, comma 5, del D.P.R. 309/90. La condanna, emessa dal Tribunale di Roma nel 2018, veniva confermata dalla Corte di Appello nel 2023. L’imputato, tramite il suo difensore, decideva di proporre ricorso per Cassazione, sollevando due questioni principali: una di natura procedurale e una di merito.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Il ricorrente lamentava due vizi fondamentali della sentenza impugnata:

1. Nullità processuale: Si sosteneva la violazione del diritto di difesa per la mancata informazione, durante l’udienza di convalida dell’arresto nel giudizio direttissimo, della facoltà di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova. Secondo la difesa, tale omissione avrebbe compromesso le scelte processuali dell’imputato.
2. Vizio di motivazione: Si contestava la decisione della Corte d’Appello di non applicare l’art. 131 bis c.p. (particolare tenuità del fatto), nonostante la richiesta della difesa. La Corte territoriale si era limitata a sottolineare la gravità del fatto, senza considerare elementi concreti come la modesta quantità di droga e la minima somma di denaro sequestrata (20 euro).

Giudizio direttissimo e diritti di difesa: l’analisi della Corte

La Suprema Corte ha rigettato il primo motivo di ricorso. Gli Ermellini hanno chiarito che la disciplina del giudizio direttissimo (art. 451 c.p.p.) è strutturata per bilanciare celerità e garanzie difensive. A differenza di altri riti, come il giudizio immediato (art. 456 c.p.p.), la legge non prevede espressamente l’obbligo di avvisare l’imputato della facoltà di accedere alla messa alla prova.

La Corte Costituzionale stessa, secondo i giudici, ha già bilanciato questi interessi, garantendo all’imputato nel rito direttissimo la possibilità di chiedere un termine a difesa. Durante questo termine, la difesa può ponderare e richiedere l’accesso a riti alternativi, inclusa la messa alla prova. Pertanto, l’assenza di un avviso specifico all’inizio del procedimento non costituisce una lesione del diritto di difesa né una causa di nullità processuale.

La Valutazione sulla Particolare Tenuità del Fatto

Di diverso avviso è stata la Corte sul secondo motivo. La Cassazione ha ritenuto fondata la doglianza relativa al vizio di motivazione. Affermare che un fatto è “in sé” grave, senza analizzare le specifiche circostanze del caso concreto, costituisce una motivazione meramente apparente.

Le motivazioni della Cassazione

La Corte ha stabilito che il giudice di merito, di fronte a una richiesta di applicazione dell’art. 131 bis c.p., ha l’obbligo di valutare tutti gli indici rilevanti: la quantità dello stupefacente, il contesto dell’azione, la somma di denaro rinvenuta e ogni altro elemento utile a definire la reale portata offensiva della condotta. Trincerarsi dietro una generica affermazione di gravità equivale a eludere l’obbligo di motivazione, rendendo la decisione nulla per vizio di legge.

Le conclusioni della Suprema Corte

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata limitatamente alla questione dell’applicabilità dell’art. 131 bis c.p., rinviando il caso a un’altra sezione della Corte di Appello di Roma per un nuovo esame sul punto. Il resto del ricorso è stato rigettato. La sentenza ribadisce un principio fondamentale: mentre le peculiarità del giudizio direttissimo giustificano alcune deroghe procedurali, la valutazione di merito deve sempre essere ancorata a elementi concreti e sorretta da una motivazione effettiva e non apparente.

Nel giudizio direttissimo, il giudice deve avvisare l’imputato della facoltà di chiedere la messa alla prova?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che, a differenza di altri riti, nel giudizio direttissimo la legge non impone al giudice di fornire questo specifico avviso, poiché il diritto di difesa è già tutelato dalla possibilità per l’imputato di chiedere un termine per preparare la propria strategia difensiva, durante il quale può richiedere riti alternativi.

Cosa si intende per ‘motivazione apparente’ in una sentenza?
Si tratta di una motivazione che esiste solo formalmente ma che, in sostanza, è vuota di contenuto. Utilizza frasi generiche, apodittiche o stereotipate (come ‘la gravità del fatto in sé’) senza analizzare gli specifici elementi concreti del caso, risultando così equivalente a una totale assenza di motivazione.

Perché la Cassazione ha annullato la sentenza solo sulla questione della tenuità del fatto?
Perché ha ritenuto infondato il motivo di ricorso sulla nullità procedurale (relativo al mancato avviso sulla messa alla prova), ma fondato quello sul difetto di motivazione riguardo all’applicazione dell’art. 131 bis c.p. Di conseguenza, ha annullato la sentenza solo sulla parte viziata, demandando a un nuovo giudice il compito di riesaminare specificamente quel punto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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