Falsa Testimonianza: Anche il Silenzio Pervicace in Aula è Reato
L’obbligo di dire la verità per un testimone in un processo è un pilastro fondamentale del nostro sistema giudiziario. Ma cosa succede quando un testimone, invece di mentire, si chiude in un ostinato silenzio? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta proprio un caso di falsa testimonianza commessa non attraverso una bugia, ma tramite una pervicace reticenza, confermando che anche il rifiuto di rispondere integra pienamente il reato.
I Fatti di Causa: Il Rifiuto di Testimoniare
Il caso riguarda un imputato condannato in primo grado e in appello per il reato di falsa testimonianza. Durante la sua deposizione in qualità di testimone, l’individuo si era rifiutato categoricamente di rispondere a qualsiasi domanda, manifestando un’evidente reticenza con frasi come “io non mi posso permettere di ricordare nulla del passato” e arrivando a dire “mi tappo le orecchie non voglio sentire niente di questa vicenda” di fronte a una domanda specifica del Pubblico Ministero. L’imputato aveva tentato di giustificare il suo comportamento adducendo generiche motivazioni legate alla sua salute psichica.
I Motivi del Ricorso e la Falsa Testimonianza
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basando la sua difesa su tre motivi principali:
1. Assenza di domande specifiche: Sosteneva che la mancanza di domande precise non potesse configurare il reato.
2. Stato di salute: Affermava di non essersi rifiutato di rispondere, ma di aver fornito ampie motivazioni legate alla sua salute psichica.
3. Mancanza di dolo: Riteneva che la sua condotta fosse legittima, anche alla luce del fatto che una sua precedente costituzione di parte civile era stata rigettata.
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, giudicando i motivi infondati e in parte volti a una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.
La Reticenza Equivale a Falsa Deposizione
Sul primo punto, la Corte ha chiarito che l’atteggiamento dell’imputato, che si è “pervicacemente rifiutato di rispondere a qualsiasi domanda”, integra pienamente la reticenza punita dall’art. 372 del codice penale. La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che, ai fini della configurabilità del reato, è sufficiente che il mendacio o la reticenza abbiano la potenziale idoneità a trarre in inganno il giudice. Si tratta, infatti, di un reato di pericolo, che prescinde dall’effettivo inganno del magistrato e dalla credibilità della deposizione.
L’irrilevanza delle Giustificazioni Personali
In merito alle giustificazioni sulla salute psichica, la Cassazione ha ritenuto la doglianza generica e già superata dalla Corte d’Appello. Quest’ultima aveva correttamente giudicato irrilevanti tali motivazioni personali, poiché era emersa in modo esplicito la volontà dell’imputato di “non voler ricordare nulla”.
Il Dolo Generico nel Reato di Falsa Testimonianza
Infine, riguardo alla presunta assenza di dolo, la Corte ha ribadito un principio consolidato: per integrare il delitto di falsa testimonianza è sufficiente il dolo generico. Questo consiste nella coscienza e volontà del testimone di rendere dichiarazioni difformi da quanto conosce e ricorda in quel momento. Non è richiesto alcun fine specifico, e le vicende pregresse, come il rigetto di una costituzione di parte civile, sono del tutto irrilevanti per valutare l’elemento soggettivo del reato.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte Suprema si fondano su principi cardine del diritto penale processuale. In primo luogo, viene ribadito che il giudizio di Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di merito, dove rivalutare le prove e le testimonianze. Il compito della Corte è verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione della sentenza impugnata, che in questo caso è stata ritenuta lineare e coerente.
In secondo luogo, la decisione sottolinea la natura del reato di falsa testimonianza come reato di pericolo. Il bene giuridico tutelato è il corretto funzionamento dell’amministrazione della giustizia, che viene messo a rischio non solo da affermazioni false, ma anche dal silenzio omertoso o reticente di un testimone. La condotta è punibile per la sua potenziale capacità di sviare il processo decisionale del giudice, a prescindere dal suo esito concreto.
Infine, la Corte riafferma che l’elemento psicologico richiesto è il dolo generico: è sufficiente che il testimone sia consapevole di tacere la verità o di negarla, senza che sia necessario indagare su ulteriori scopi o finalità della sua condotta.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame offre un importante monito sul dovere di testimoniare. Chiunque sia chiamato a deporre ha l’obbligo di rispondere secondo verità e in modo completo. Tentare di eludere questo dovere attraverso il silenzio, la reticenza o giustificazioni personali non supportate da prove concrete non solo è inutile, ma costituisce un reato grave. La sentenza conferma che la giustizia non può essere ostacolata da rifiuti immotivati e che la volontà di non collaborare, manifestata in aula, è di per sé sufficiente a integrare la fattispecie di falsa testimonianza, con tutte le conseguenze penali che ne derivano.
È necessario mentire esplicitamente per commettere il reato di falsa testimonianza?
No. Secondo la Corte, anche la reticenza, ovvero il tacere su fatti di cui si è a conoscenza, e il rifiuto ostinato di rispondere a qualsiasi domanda integrano il reato di falsa testimonianza, poiché sono condotte idonee a sviare la giustizia.
Le motivazioni personali o lo stato di salute psichica possono giustificare il rifiuto di rispondere di un testimone?
No. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto irrilevanti le generiche giustificazioni personali addotte dall’imputato, poiché era emersa chiaramente la sua esplicita volontà di non voler ricordare e rispondere, rendendo le sue motivazioni un pretesto.
Per la condanna per falsa testimonianza è richiesto un fine specifico (dolo specifico) da parte del testimone?
No. La sentenza chiarisce che per l’integrazione del reato è sufficiente il dolo generico, ossia la semplice coscienza e volontà di rendere dichiarazioni non veritiere o di tacere ciò che si sa, senza che sia necessario dimostrare uno scopo ulteriore.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 26488 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 26488 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SANT’AGATA DI MILITELLO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 15/12/2023 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata; dato avviso alle parti; esaminati i motivi del ricorso di COGNOME NOME;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
OSSERVA
Ritenuto che i motivi di ricorso, che contestano la correttezza della motivazione posta all base della dichiarazione di responsabilità in relazione al reato di cui all’art. 372 cod. pen sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché strumentali all’alternativa rivalut delle fonti di prova che il provvedimento impugnato ha sviluppato con argomentazioni connotate da lineare e coerente logicità sulla base dell’esauriente disamina dei dati probatori e dichiarazioni testimoniali (si vedano pagg. 3 e 4 della sentenza della Corte d’Appello di Messina Come è noto, in tema di giudizio di cassazione, esula dai poteri della Corte quello di operare u diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazi riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legitti mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorren più adeguate (Sez. U, n. 6402 del 2/07/1997, Dessinnone, Rv. 207944; conforme, ex pluribus, Sez. 1, n. 45331 del 17/02/2023; Rezzuto, Rv. 285504 – 01).
Considerato che manifestamente infondata è la doglianza (primo motivo) relativa all’assenza di “domande specifiche” rivolte al COGNOME nella qualità di testimone, che comporterebbe la non configurabilità della falsa testimonianza; sul punto, da un lato, la sentenza impugnata chiar che COGNOME si è pervicacemente rifiutato di rispondere a qualsiasi domanda mostrando una evidente reticenza (“io non mi posso permettere di ricordare nulla del passato …”, “no non voglio sentire” , “mi tappo le orecchie non voglio sentire niente di questa vicenda”); dall’altro lato, è pacifico che «ai fini della configurabil del delitto di falsa testimonianza non si richiede che il giudice sia rimasto ingannato, sufficiente che mendacio e reticenza abbiano potenziale idoneità a trarlo in errore, in quant tratta di un reato di pericolo che prescinde dal grado di credibilità della falsa deposizione realizzato anche se il giudice abbia negato attendibilità alla deposizione» (Sez. 6 4349 del 19/12/1985 Ud. (dep. 27/05/1986) Rv. 172853 – 01). Così come inammissibile è la collegata deduzione (secondo motivo) secondo la quale l’imputato non si sarebbe in realtà rifiutato di rispondere “dando ampie motivazioni sulla sua salute psichica”; doglianza del t generica e adeguatamente superata dalla Corte territoriale che a pag. 3 ha congruamente giudicato “irrilevanti le giustificazioni personali dedotte nell’atto di gravame, posto che è come sia stato lo stesso a manifestare esplicitamente la propria volontà di non voler ricorda nulla”. Infine, palesemente infondato è il terzo motivo – peraltro di non agevole comprension nel quale si sostiene la legittimità, per difetto di dolo, della condotta del COGNOME alla lu rigetto della costituzione di parte civile da lui presentata in primo grado. Sul
correttamente la sentenza impugnata ha rilevato che per l’integrazione del delitto di fa testimonianza è sufficiente il dolo generico, ovvero la coscienza e volontà, comunqu determinatasi nel teste, di rendere dichiarazioni in difformità da quanto da lui conosciu ricordato al momento della deposizione (Sez. 6, n. 37482 del 25/06/2014, Trojer, Rv. 260816 01).
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.