Il Caso: Falsa Attestazione e la Contestazione della Pena
Il reato di falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla propria identità, previsto dall’art. 495 del codice penale, è una fattispecie che tutela la fede pubblica e il corretto operato della Pubblica Amministrazione. La recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre uno spunto fondamentale non tanto sulla natura del reato, quanto sui limiti e le modalità con cui è possibile contestare in sede di legittimità la misura della pena inflitta. Il caso analizzato riguarda un imputato che, dopo la conferma della sua condanna in Appello, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando unicamente l’eccessività del trattamento sanzionatorio.
La Decisione della Cassazione sul Ricorso
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della questione (ovvero, se la pena fosse o meno giusta), ma si ferma a un livello precedente, di natura procedurale. Secondo i giudici, il motivo di ricorso era manifestamente infondato e, inoltre, reiterativo di censure già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello. La Cassazione ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: la Discrezionalità del Giudice di Merito nel caso di Falsa Attestazione
Il cuore della decisione risiede nel consolidato principio giurisprudenziale secondo cui la graduazione della pena è espressione del potere discrezionale del giudice di merito (Tribunale e Corte d’Appello). Tale potere non è arbitrario, ma deve essere esercitato seguendo i criteri direttivi indicati dagli articoli 132 e 133 del codice penale, che includono la gravità del reato e la capacità a delinquere del colpevole.
Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha evidenziato come i giudici dei gradi precedenti avessero adempiuto correttamente al loro onere di motivazione. In particolare, la sentenza d’appello aveva sottolineato che il reato di falsa attestazione non era di lieve gravità, anche in considerazione dei precedenti penali dell’imputato. Di fronte a una motivazione logica e coerente, il ricorso in Cassazione non può limitarsi a una generica lamentela sull’entità della pena. Per essere ammissibile, deve individuare vizi logici o errori di diritto specifici nel ragionamento del giudice che ha fissato la sanzione. Il ricorso presentato, invece, si è rivelato una mera ripetizione di argomenti già vagliati e respinti, senza aggiungere una critica argomentata e specifica contro la decisione impugnata.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale per chiunque intenda impugnare una sentenza penale. Non è sufficiente ritenere una pena ‘troppo alta’ per ottenere una sua riforma in Cassazione. È indispensabile che il ricorso articoli una critica puntuale e specifica, dimostrando come il giudice di merito abbia violato la legge o abbia sviluppato una motivazione manifestamente illogica nell’applicare i criteri di determinazione della pena. In assenza di tali elementi, il ricorso rischia di essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria, come avvenuto in questo caso.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché era manifestamente infondato e ripetitivo. Non presentava una critica argomentata e specifica contro la sentenza d’appello, ma si limitava a lamentare in modo generico l’eccessività della pena, un aspetto che rientra nella discrezionalità motivata del giudice di merito.
È possibile contestare in Cassazione una pena ritenuta troppo alta?
Sì, ma solo a determinate condizioni. Non è sufficiente una generica lamentela. È necessario dimostrare che il giudice di merito, nel determinare la pena, ha violato la legge o ha fornito una motivazione palesemente illogica o contraddittoria rispetto ai criteri stabiliti dagli artt. 132 e 133 del codice penale.
Quali elementi sono stati considerati per stabilire la pena nel caso di falsa attestazione?
La sentenza impugnata, confermata dalla Cassazione, ha considerato la gravità del reato non lieve e, in particolare, i precedenti penali dell’imputato. Questi elementi sono stati ritenuti sufficienti per giustificare la misura della pena inflitta.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 14129 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 14129 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CHIAVARI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/05/2023 della CORTE APPELLO di GENOVA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
-Rilevato che l’imputato NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza con cui la Corte di Appello di Genova del 23 maggio 2023 ha confermato la sentenza del GIP del Tribunale cittadino in ordine al reato di falsa attestazione o dichiarazione ad un pubblico ufficiale sulla propria identità di cui all’articolo 495 cod. pen.;
Ritenuto che l’unico motivo di ricorso GLYPHNUMERO_DOCUMENTO9> con il quale il ricorrente denunzia l’eccessività del trattamento sanzionatorio – è manifestamente infondato perché, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e per fissare la pena base rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; nella specie l’onere argomentativo del giudice è adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti (pag. 4 della sentenza impugnata in cui viene evidenziato come il reato non è di lieve gravità, anche alla luce dei precedenti dell’imputato);
-Rilevato che lo stesso motivo di ricorso è altresì reiterativo delle censure già dedotti in appello e puntualmente disattese dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso; invero, la Corte di appello, con motivazione immune da vizi logici, ha disatteso le analoghe censure formulate nell’atto di appello e nella quantificazione della pena ha esaminato tutti gli elementi indicati come favorevoli all’imputato;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 31 gennaio 2024
Il Presidente