Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 14740 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14740 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/03/2024
SENTENZA
sul ricorso straordinario proposto da COGNOME NOME, nato a Cosenza il DATA_NASCITA
avverso la sentenza n. 31844 del 23/5/2023 della Corte di cassazione visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo di revocare la sentenza n. 31844 del 2023 pronunziata dalla Quarta Sezione Penale all’udienza del 23 maggio 2023 nei confronti di COGNOME NOME e di annullare senza rinvio la sentenza della Corte di appello di Catanzaro n. 8221 del 2022 del 4 maggio 2022 limitatamente al trattamento sanzionatorio con conseguente rideterminazione della pena.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 31844 del 2023, pronunziata il 23 maggio 2023, la Quarta Sezione penale della Corte di cassazione ha rigettato il ricorso proposto da NOME COGNOME nei confronti della sentenza del 4 maggio 2022 della Corte d’appello di Catanzaro, con la quale era stata rideterminata in cinque anni di reclusione la pena inflitta allo stesso COGNOME in relazione al delitto di cui all’art. 589 bis, commi 1, 2, 5, n. 1, e 8, cod. pen.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto, mediante l’AVV_NOTAIO, ricorso straordinario ai sensi dell’art. 625 bis cod. proc. pen., deducendo la presenza di un errore di fatto in tale sentenza, nella parte in cui ha affermato esservi stata una riqualificazione giuridica del fatto da parte della Corte d’appello di Catanzaro, applicando, di conseguenza, il principio di diritto secondo cui “nel giudizio di appello, la riqualificazione del fatto accompagnata dall’applicazione delle circostanze attenuanti generiche in misura inferiore a quanto statuito in primo grado non integra una violazione del divieto di ‘reformatio in peius’, atteso che il giudice di secondo grado è tenuto esclusivamente a irrogare in concreto una sanzione finale non superiore a quella in precedenza inflitta (Sez. 5, n. 15130 del 03/03/2020, COGNOME, Rv. 279086 – 02)”.
Ha esposto di aver proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 821 del 2022 della Corte di Appello di Catanzaro, lamentando una violazione di legge penale in relazione alla diminuzione di pena stabilita dai giudici di secondo grado per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, determinata nella misura di un quarto anziché di un terzo, come disposto dal giudice di primo grado, con conseguente violazione del divieto di reformatio in pejus. Tale censura, però, è stata disattesa dalla Quarta Sezione della Corte di cassazione sul presupposto di un’avvenuta riqualificazione giuridica del fatto in un’altra fattispecie meno grave, in realtà non sussistente. Vi sarebbe stato, pertanto, un errore percettivo da parte del RAGIONE_SOCIALE della Quarta Sezione penale, commesso nella lettura della sentenza di secondo grado, che, in realtà, non aveva riqualificato il fatto, essendosi limitata a rideterminare il trattamento sanzionatorio, cosicché il principio di diritto richiamato per escludere una violazione del divieto di reformatio in pejus sarebbe stato fondato su una errata percezione di quanto deciso nella sentenza impugnata.
Il Procuratore generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso, evidenziando la sussistenza dei requisiti integranti un errore di fatto censurabile ai sensi dell’art. 625 bis cod. proc. pen., e ha quindi chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza della Corte di Appello di Catanzaro e la rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso straordinario è ammissibile, in quanto presentato il 19 gennaio 2024, nel rispetto del termine stabilito dal secondo comma dell’art. 625 bis cod. proc. pen., di centottanta giorni dal deposito della sentenza oggetto del ricorso, avvenuto il 24 luglio 2023, ed è fondato.
In premessa, va, anzitutto, ricordato che, in tema di ricorso straordinario per cassazione, l’art. 625 bis cod. proc. pen. disciplina due ipotesi eterogenee: l’errore materiale e l’errore di fatto.
L’errore materiale consiste in una svista, un lapsus espressivo, da cui derivi un divario tra la volontà del giudice e la materiale rappresentazione grafica della stessa, senza però alcuna incidenza sul processo cognitivo e valutativo posto a base della decisione; l’errore materiale si risolve, dunque, nella inadeguatezza della forma espressiva rispetto alla volontà effettiva.
L’errore di fatto, invece, consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco, nel quale la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti del giudizio di legittimità, ed è connotato da una decisiva incidenza sul processo formativo della volontà, il quale risulta viziato dalla inesatta percezione delle risultanze processuali; in altri termini, l’errore di fatto postu inderogabilmente che lo sviamento della volontà del giudice sia non solo decisivo, per essere stato determinante nella scelta della soluzione adottata, ma anche di oggettiva e immediata rilevabilità, nel senso che il controllo degli atti processuali deve far trasparire ictu oculi che la decisione è stata condizionata dall’inesatta percezione, e non, invece, da un’errata valutazione.
L’errore di fatto, pertanto, ricorre quando la decisione è fondata, in modo decisivo, sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e si risolve in una dimensione meramente percettiva, nella quale difetta qualsiasi implicazione valutativa, in quanto qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625 bis cod. proc. pen. (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, COGNOME, Rv. 221280 – 01; Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, COGNOME, Rv. 250527 – 01; Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, COGNOME, Rv. 263686 – 01; v. anche, nel medesimo senso, tra le più recenti, Sez. 2, n. 41782 del 30/09/2015, COGNOME, Rv. 265248 01; Sez. 3, n. 47316 del 01/06/2017, COGNOME, Rv. 271145 – 01; Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018, COGNOME, Rv. 273193 – 01).
Nel caso in esame, la Quarta Sezione penale della Corte di cassazione, nell’affermare che la Corte d’appello di Catanzaro aveva riqualificato il fatto contestato all’imputato (per poi, sulla base di tale asserzione, escludere la sussistenza della denunciata violazione del divieto di reformatio in pejus), è incorsa in un errore di fatto, posto che tale affermazione non deriva da una valutazione degli atti o da un errore di giudizio, bensì da un errore meramente percettivo.
Dalla lettura degli atti, e, segnatamente, dal confronto tra la sentenza di primo grado e quella di appello, si ricava, infatti, chiaramente l’assenza di una riqualificazione giuridica del fatto. La sentenza di secondo grado, infatti, mantenendo inalterata la ricostruzione storica e la qualificazione giuridica dei fatti, si è limitata a rideterminare il trattamento sanzionatorio, riducendo a cinque anni di reclusione la pena, che era stata determinata dal Tribunale di Cosenza in sei anni e otto mesi di reclusione, cosicché risulta errata, in punto di fatto, l’affermazione contenuta nella sentenza della Quarta Sezione secondo cui la Corte d’appello avrebbe riqualificato il fatto contestato all’imputato, la cui qualificazione ai sensi dell’art. 589 bis, commi 1, 2, 5, n. 1, e 8, cod. pen., è, in realtà, rimasta inalterata nei due gradi di giudizio di merito e non è stata oggetto di alcun intervento da parte della Corte d’appello.
Tale errore di fatto, che è percepibile con evidenza e senza necessità di approfondimenti, risulta, inoltre, decisivo, perché ha avuto una incidenza determinante nella scelta della soluzione adottata dalla Quarta Sezione, ossia di escludere la violazione denunciata con il ricorso per cassazione, che è stato di conseguenza rigettato.
Il RAGIONE_SOCIALE della Quarta Sezione, infatti, sull’errato presupposto dell’avvenuta riqualificazione giuridica del fatto da parte della Corte territoriale, ha, come ricordato, escluso la violazione del divieto di reformatio in pejus, richiamando espressamente, a pag. 3, il principio di diritto secondo cui “nel giudizio di appello, la riqualificazione del fatto accompagnata dall’applicazione delle circostanze attenuanti generiche in misura inferiore a quanto statuito in primo grado non integra una violazione del divieto di ‘reformatio in peius’, atteso che il giudice di secondo grado è tenuto esclusivamente a irrogare in concreto una sanzione finale non superiore a quella in precedenza inflitta” (Sez. 5, n. 15130 del 03/03/2020, COGNOME, Rv. 279086 – 02)”, principio che, però, è stato impropriamente richiamato, non essendovi stata, come evidenziato, alcuna riqualificazione giuridica del fatto.
L’errore percettivo in cui è incorso il RAGIONE_SOCIALE della Quarta Sezione ha impedito di rilevare la fondatezza del ricorso per cassazione proposto dall’imputato, a proposito della violazione del divieto di reformatio in pejus, laddove la Corte di Appello ha applicato la diminuzione di pena derivante dal
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella misura di un quarto anziché di un terzo, come, invece, stabilito dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Cosenza nel giudizio di primo grado.
La pena stabilita dal primo giudice, pari a sei anni e otto mesi di reclusione, era stata determinata considerando quale base di computo quella di sette anni e sei mesi di reclusione, ridotta (nella misura di un terzo) a cinque anni di reclusione per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ulteriormente ridotta a tre anni e quattro mesi di reclusione per il riconoscimento della circostanza attenuante di cui al settimo comma dell’art. 589 bis cod. pen., aumentata, nella misura massima, a dieci anni di reclusione ai sensi dell’ottavo comma del medesimo art. 589 bis cod. pen., ridotta nella suddetta misura di sei anni e otto mesi di reclusione per la diminuente del giudizio abbreviato per il quale l’imputato aveva optato.
La Corte d’appello di Catanzaro, ferma, come ricordato, la qualificazione giuridica del fatto, ha ridotto la pena inflitta all’imputato a cinque anni d reclusione, considerando quale base di computo quella di sei anni di reclusione, ridotta (nella misura di un quarto, anziché di un terzo come stabilito dal primo giudice) a quattro anni e sei mesi di reclusione per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ulteriormente ridotta a tre anni di reclusione per il riconoscimento della circostanza attenuante di cui al settimo comma dell’art. 589 bis cod. pen., aumentata a sette anni e sei mesi di reclusione ai sensi dell’ottavo comma del medesimo art. 589 bis cod. pen., ridotta nella suddetta misura di cinque anni di reclusione per la diminuente del giudizio abbreviato.
Risulta evidente, dunque, l’applicazione di una riduzione di pena da parte della Corte d’appello per effetto del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche inferiore rispetto a quella stabilita dal primo giudice (un quarto in luogo di un terzo), con la conseguente sussistenza della violazione di legge processuale che era stata denunciata dall’imputato con il ricorso per cassazione rigettato dalla Quarta Sezione con la sentenza impugnata dal ricorrente.
Il divieto di reformatio in pejus, infatti, investe, singolarmente, tutti gli elementi che concorrono a comporre la pena complessiva, e non solo il risultato finale di essa. La disposizione contenuta nel quarto comma dell’art. 597 cod. proc. pen., individua, quali elementi autonomi, sia gli aumenti o le diminuzioni apportati alla pena base per le circostanze, sia l’aumento conseguente al riconoscimento del vincolo della continuazione. Conseguenza di tale autonomia, inoltre, non è solo l’obbligatoria diminuzione della pena complessiva, in caso di accoglimento dell’appello in ordine alle circostanze o al concorso di reati, ma anche l’impossibilità di elevare la pena comminata, per detti singoli elementi, pur risultando diminuita quella complessiva (Sez. U, n. 40910 del 27/09/2005, COGNOME, Rv. 232066 – 01).
Ne consegue la sussistenza della violazione di legge processuale che era stata denunciata dall’imputato mediante il ricorso rigettato dalla Quarta Sezione con la sentenza impugnata, sulla base e in conseguenza del suddetto errore percettivo (circa l’esistenza di una riqualificazione giuridica del fatto), posto che il divieto di reformatio in pejus impone al giudice dell’impugnazione di non elevare la pena comminata in primo grado per nessuno dei singoli elementi che la vadano a comporre.
La sentenza pronunciata dalla Quarta Sezione deve, pertanto, essere revocata. 53 ,
Il trattamento sanzionatorio può essere rideterminato già in questa sede, ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc. pen., senza la necessità di rinvio, sulla base delle statuizioni del giudice di merito, considerando quale base di computo la pena di sei anni di reclusione stabilita dalla Corte d’appello; riducendola a quattro anni di reclusione per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella misura massima di un terzo (come stabilito dal primo giudice); ulteriormente riducendola a due anni e quattro mesi di reclusione ai sensi dell’art. 589 bis, settimo comma, cod. pen. (applicando la stessa riduzione di pena di un anno e otto mesi di reclusione stabilita dal primo giudice); aumentandola nella misura massima del triplo, come stabilito dal primo giudice, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 589 bis cod. pen., a sette anni di reclusione; riducendola, infine, a quattro anni e otto mesi di reclusione per la scelta del rito.
P.Q.M.
Revoca la sentenza n. 31844/2023 pronunziata dalla Quarta Sezione penale della Corte di cassazione in data 23/5/ 2023, limitatamente alla pena.
Annulla senza rinvio la sentenza della Corte di appello di Catanzaro n. 8221/2022 nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alla pena che ridetermina in anni quattro e mesi otto di reclusione.
Così deciso il 27/3/2024