Elemento Soggettivo Ricettazione: Quando la Spiegazione Non Basta
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia di reati contro il patrimonio: la valutazione dell’elemento soggettivo ricettazione. La Suprema Corte ha chiarito come la giustificazione fornita dall’imputato riguardo al possesso di beni di provenienza illecita sia determinante per stabilire la sua colpevolezza. Se tale spiegazione risulta manifestamente inattendibile, il giudice può legittimamente desumere la piena consapevolezza dell’origine delittuosa dei beni.
I Fatti di Causa: Il Possesso di Gioielli e la Vendita
Il caso trae origine dalla condanna di un individuo per il reato di ricettazione. L’imputato era stato trovato in possesso di alcuni gioielli, che si erano poi rivelati essere di provenienza furtiva. Successivamente, egli aveva ceduto tali preziosi a un’attività commerciale specializzata nell’acquisto di oro usato.
Di fronte alle accuse, l’imputato aveva fornito una propria versione dei fatti per giustificare il possesso dei gioielli. Tuttavia, sia in primo grado che in appello, i giudici avevano ritenuto tale spiegazione del tutto inverosimile e priva di riscontri oggettivi, confermando la sua responsabilità penale.
L’Unico Motivo di Ricorso: La Contestazione sull’Elemento Soggettivo Ricettazione
L’imputato ha presentato ricorso per Cassazione, affidandosi a un unico motivo: la presunta insussistenza dell’elemento soggettivo ricettazione. Secondo la difesa, non era stata raggiunta la prova certa della sua consapevolezza che i gioielli provenissero da un furto. Si contestava, in sostanza, che la sola inverosimiglianza della spiegazione fornita potesse essere sufficiente a fondare un giudizio di colpevolezza per un reato che richiede il dolo, ossia la coscienza e volontà di ricevere beni di provenienza illecita.
La Decisione della Cassazione
La Suprema Corte, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, confermando integralmente la decisione della Corte d’Appello.
Le Motivazioni
I giudici di legittimità hanno sottolineato che la Corte territoriale ha applicato correttamente i principi consolidati della giurisprudenza in tema di elemento soggettivo ricettazione. La Cassazione ha richiamato un proprio precedente (sentenza n. 25439 del 2017), secondo cui la prova dell’elemento psicologico del reato può essere desunta da qualsiasi elemento di fatto, comprese la natura dei beni, le modalità della loro acquisizione e, soprattutto, la condotta dell’imputato.
Nel caso specifico, la spiegazione fornita dall’imputato è stata giudicata inattendibile alla luce delle circostanze concrete. Questo giudizio di inverosimiglianza, secondo la Corte, non è un elemento neutro, ma un dato significativo che, unitamente ad altri indizi, permette al giudice di concludere logicamente che l’agente era a conoscenza della provenienza delittuosa dei beni. Pertanto, la motivazione della sentenza impugnata è stata considerata logica, corretta e coerente con il diritto.
Le Conclusioni
L’ordinanza della Cassazione ha quindi rigettato il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. La decisione rafforza un importante principio pratico: chi viene trovato in possesso di beni rubati ha l’onere di fornire una spiegazione credibile. In assenza di una giustificazione plausibile, il rischio è che il giudice interpreti tale silenzio o tale menzogna come un chiaro indizio della consapevolezza della loro origine illecita, integrando così pienamente l’elemento soggettivo ricettazione.
Quando si può ritenere provato l’elemento soggettivo del reato di ricettazione?
Secondo la decisione, l’elemento soggettivo si considera provato quando la spiegazione fornita dall’imputato circa il possesso di beni di provenienza illecita viene ritenuta inattendibile, illogica o inverosimile alla luce delle circostanze del fatto.
Cosa succede se la giustificazione fornita per il possesso di beni rubati non è credibile?
Se la giustificazione non è credibile, il giudice può legittimamente desumere da tale circostanza la prova della conoscenza della provenienza illecita del bene, elemento necessario per la condanna per il reato di ricettazione.
Quali sono le conseguenze di un ricorso in Cassazione dichiarato manifestamente infondato?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, oltre a rendere definitiva la sentenza di condanna impugnata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30898 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30898 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/09/2023 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME;
considerato che l’unico motivo di ricorso, con il quale si censura la qualificazione giuridica del fatto nel reato di ricettazione per insussistenza dell’elemento soggettivo, è manifestamente infondato in quanto la Corte territoriale, con corretti argomenti logici e in conformità al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di elemento soggettivo del delitto di ricettazione puntualmente richiamata (Sez. 2, n. 25439 del 21/04/2017, Sarr, Rv. 270179), alla luce delle circostanze del fatto, ha ritenuto inattendibile la spiegazione fornita dall’imputato circa il possesso dei gioielli di provenienza furtiva ceduti ad un esercizio di Compra oro (si veda, in particolare, il foglio 7 della sentenza impugnata);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 21 giugno 2024
Il Consigliere estensore
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Il Presidente