Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18390 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18390 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 24/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a MONOPOLI il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nato a MONOPOLI il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nato a MONOPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/03/2022 della CORTE APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avvocato COGNOME NOME del foro di I3ARI, in difesa di: COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che si riporta ai motivi chiedendone l’accoglimento. ai
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 4 Marzo 2022 la Corte di appello di Bari, in parziale riforma della sentenza emessa dal GUP del Tribunale di Bari in data 19 gennaio 2017 con rito abbreviato, dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME
COGNOME perché il reato ascrittole era estinto per intervenuta prescrizione, e confermava, invece, la condanna nei confronti delle altre imputate appellanti NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME, tutte incolpate del delitto di cui agli articoli 81, 110 e 648 bis cod. pen..
Avverso la citata decisione NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME, a mezzo del comune difensore, ricorrono per cassazione per l’annullamento della sentenza impugnata, deducendo un unico motivo articolato in più punti.
2.1. Nel primo punto eccepiscono l’erronea applicazione della legge penale in relazione agli articoli 648 bis e 43 cod. pen., in ordine al momento rappresentativo del dolo di riciclaggio. Con il secondo lamentano ex articolo 606, comma 1, lett. C), cod. proc. pen., l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità in relazione agli articoli 603, comma 3 e 125, comma 3, cod. proc. pen., per mancanza di motivazione dell’ordinanza negatoria della rinnovazione istruttoria avente ad oggetto l’audizione testimoniale di NOME COGNOME, non più imputato nel reato connesso (vale a dire il reato presupposto del riciclaggio contestato) in quanto prosciolto in via definitiva per intervenuta prescrizione (sentenza del 6/06/2019). Nel terzo punto deducono la mancanza di motivazione sempre con riguardo alla denegata rinnovazione istruttoria. Infine lamentano la manifesta illogicità della motivazione risultante da atti del processo specificamente indicati ed allegati, con riguardo al travisamento per omissione della documentazione bancaria relativa alla RAGIONE_SOCIALE
In particolare, con l’articolato motivo di ricorso si rileva che già con l’atto appello era stato rappresentato il fatto che le imputate avessero accettato di versare su propri conti correnti gli assegni ricevuti da NOME COGNOME non sapendo della provenienza illecita di tali somme in quanto proprio il COGNOME, persona da loro conosciuta in virtù di legami di parentela, gli aveva spiegato che egli non aveva versato i medesimi assegni sul conto della RAGIONE_SOCIALE, di cui era amministratore, in quanto la provvista sarebbe stata assorbita dalla consistenza esposizione debitoria nei confronti degli istituti di credito, come risulta agli atti dalla documentazio bancaria prodotta relativa al conto corrente della RAGIONE_SOCIALE In altre parole, ess avrebbero agito non per ostacolare la provenienza illecita del denaro, ma solo per fare un favore al COGNOME, il quale nelle more del processo ha visto definita la sua posizione processuale con una sentenza del 6/06/2019 di proscioglimento per intervenuta prescrizione, e che quindi in appello avrebbe potuto essere sentito nella nuova veste di testimone assistito ex art. 197 bis cod. proc. pen., con il correlato
obbligo di dire la verità sui fatti riguardanti altri imputati di fatti connes tratterebbe di una prova decisiva ai fini della decisione perché potrebbe dimostrare che le imputate agirono in buona fede, senza il dolo del riciclaggio. In ogni caso la motivazione della Corte di appello di rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria appare pressoché apparente, stante la sua apoditticità nelle argomentazioni; al pari non sarebbe stato tenuto in considerazione un importante elemento di prova documentale in atti, ossia gli estratti di conto corrente bancario della RAGIONE_SOCIALE, che fornirebbero un dato di conferma della tesi difensiva, fornendo, unitamente alla sentenza di primo grado, una motivazione manifestamente contradditoria sulla rilevanza di questi documenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
Quanto al primo punto dell’unico motivo di ricorso riguardante la consapevolezza in capo alle imputate della provenienza illecita delle somme di denaro ricevute da NOME COGNOME, va evidenziato che le ricorrenti, come emerge anche dallo stesso ricorso e dall’atto di appello (pag.15), fossero ben consapevoli che gli assegni versati sui loro conti correnti oppure cambiati “provenivano da legittime operazioni di vendita di prodotti effettuate dalla RAGIONE_SOCIALE è la ragion per la quale le operazioni di incasso e di emissione di assegni avveniva sui loro conti era la notoria situazione di indebitamento bancario della società che proprio ragione dei loro rapporti con il COGNOME era la loro nota. Erano convinte, come il COGNOME aveva loro spiegato che se costui avesse versato gli stessi titoli sul conto della sica la provvista sarebbe stata assorbita dalla debitoria vantata dall’istituto di credito”. In tutta evidenza, si tratta di affermazioni sostanzialmente ammissive delle proprie responsabilità, in quanto le ricorrenti hanno dichiarato di essere consapevoli che gli assegni ricevuti da NOME COGNOME e versati sui loro conti correnti oppure cambiati erano di spettanza della società RAGIONE_SOCIALE, e che quindi, di fatto, si trattava di somme di denaro distratte dai conti della RAGIONE_SOCIALE, ch potevano, quindi, essere provento di diverse tipologie di illecito come la bancarotta, gli illeciti tributari, nonché i reati di contrabbando, come fu nel caso di specie. In tema di dolo, va ricordato che la giurisprudenza della Suprema Corte è consolidata nell’affermare quanto segue: “In tema di riciclaggio, si configura il dolo eventuale quando l’agente ha la concreta possibilità di rappresentarsi, accettandone il rischio, la provenienza delittuosa del denaro ricevuto ed investito”. (così in massima Sez.2, n.36893 del 28.05.2018, Rv. 274457-01; conf. Sez.5,
n.21925 del 17.04.2018, Rv.273185-01). Di recente la Corte ha stabilito, inoltre, che la provenienza illecita di rilevanti somme di denaro può essere dimostrata anche attraverso prove logiche, non essendo, peraltro, necessaria la conoscenza in capo all’agente dell’esatta tipologia del reato presupposto. In tal senso la sentenza Sez.2, n.16012, del 14.03.2023, Rv.284522-01, che ha affermato il seguente principio di diritto: “Integra il delitto di riciclaggio la condotta idonea a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di una rilevante somma di denaro, qualora, per il luogo e le modalità dell’occultamento, possa ritenersi certa la sua provenienza illecita, non essendo necessario, a tal fine, l’accertamento giudiziale della commissione del delitto presupposto, della sua esatta tipologia e dei suoi autori, posto che il giudice può affermarne l’esistenza attraverso prove logiche”. Il Collegio intende ribadire i principi sopra esposti, che ben si conformano al caso in esame, tenuto conto degli stretti rapporti di parentela con NOME e delle ingenti somme di denaro ricevuto dallo stesso, circostanze che offrono un quadro probatorio consolidato circa la consapevolezza, anche nella configurazione del solo dolo eventuale, della provenienza illecita delle somme di denaro contenute negli assegni destinati al patrimonio della RAGIONE_SOCIALE
2.2 Anche il secondo punto del motivo di ricorso, inerente alla mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello, è manifestamente infondato. Sul punto va ribadita la giurisprudenza consolidata che afferma il principio secondo cui: “Nei casi in cui si proceda con giudizio abbreviato, la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello per assumere d’ufficio, anche se su sollecitazione di parte, prove sopravvenute che non siano vietate dalla legge o non siano motivatamente ritenute manifestamente superflue o irrilevanti, può essere sindacata, in sede di legittimità, ex art. 603, comma 3, cod. proc. pen., soltanto qualora sussistano, nell’apparato motivazionale posto a base della conclusiva decisione impugnata, lacune, manifeste illogicità o contraddizioni, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza” (così in massima Sez. 2, n.40855 del 19.04.2017, Rv.271163-01; conf. Sez.1, n.12928 del 7.11.2018, Rv.276318-02). Nel caso in esame la motivazione dei giudici di appello non presenta lacune, né vizi derivanti da manifesta illogicità o contraddittorietà. La Corte di appello relativamente a tale motivo di impugnazione ha affermato quanto segue: “Né ammissibile risulta la richiesta di rinnovazione istruttoria con l’audizione di NOME COGNOME avanzata con l’atto di appello, non sussistendo i presupposti di cui all’articolo 603 cod. proc. pen. in ordine alla
assoluta necessità di una tale audizione ai fini del decidere”. L’estrema sinteticità della motivazione sul punto trova giustificazione nel fatto c:he, nei passaggi precedenti ad essa, la sentenza motiva adeguatamente sulle ragioni poste a fondamento della decisione di confermare la sentenza di condanna, descrivendo in maniera compiuta e coerente le prove a carico delle imputate. Il Collegio condivide la valutazione di non ritenere necessaria l’audizione di NOME COGNOME, stante la completezza del compendio probatorio, in parte documentale ed in parte fondato sull’ammissione dei fatti da parte delle imputate stesse. Va poi evidenziato che, a dispetto di quanto sostenuto dalla difesa, l’audizione di NOME COGNOME non può in ogni caso essere ritenuta una prova nuova, dato che il suo ruolo nella vicenda giudiziaria è da sempre centrale e ben noto; l’unica novità consiste nella modifica della sua veste processuale, da imputato in procedimento connesso a quella di testimone assistito ex art. 197 bis cod. proc. pen., a seguito del suo proscioglimento per prescrizione, circostanza che non integra la nozione di prova nuova o sopravvenuta.
Quanto infine alla mancata valutazione delle risultanze bancarie indicate dalle difese, si tratta di una valutazione di merito che non può essere sindacata in sede di legittimità, considerato che la decisione dei giudici di merito non appare per nulla illogica tenuto conto, come già evidenziato, dell’ampio compendio probatorio esaminato e posto a fondamento della sentenza di impugnata, che costituisce una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d’appello a quella del Giudice per le indagini preliminari, sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 2, n.33588 del 13.07.2023, COGNOME, n.m.; Sez. 2, n. 6560 del 8/10/2020, Capozio, Rv. 280654 – 01).
Per tutte le considerazioni fin qui esposte, dunque, tutti i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Alla inammissibilità degli stessi consegue la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa d inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 24 gennaio 2024
Il Consigliere estensore