Dispositivo e motivazione: cosa prevale in caso di contrasto?
La chiarezza e la coerenza interna di una sentenza sono fondamentali per la certezza del diritto. Tuttavia, può accadere che vi sia una discordanza tra la parte decisionale e quella esplicativa. Un’ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su come risolvere il conflitto tra dispositivo e motivazione, stabilendo una regola chiara e precisa. Analizziamo questo importante principio alla luce di un caso concreto.
Il caso: contrasto nella pena per introduzione di dispositivi in carcere
Il caso analizzato dalla Suprema Corte riguardava un ricorso presentato da un imputato condannato per il reato di tentata introduzione di apparecchi di comunicazione all’interno di un istituto penitenziario, previsto dall’art. 391-ter del codice penale.
Il ricorrente sollevava diverse questioni, ma la più rilevante dal punto di vista procedurale era la nullità della sentenza di primo grado. Si era infatti verificata una palese difformità tra:
* Il dispositivo: la parte finale letta in udienza, che condannava l’imputato alla pena di “anni due di reclusione”.
* La motivazione: depositata successivamente, in cui il giudice affermava che una “pena congrua” fosse quella di “mesi sei di reclusione”.
Questa discordanza ha costituito il fulcro di uno dei motivi di ricorso, sostenendo che tale contrasto rendesse la sentenza invalida.
Il principio del contrasto tra dispositivo e motivazione
Di fronte a una situazione di questo tipo, la legge e la giurisprudenza hanno sviluppato un principio guida per garantire la stabilità delle decisioni giudiziarie. La Corte di Cassazione, nel dichiarare il motivo di ricorso manifestamente infondato, ha ribadito un orientamento consolidato.
Il principio cardine è che in caso di difformità tra dispositivo e motivazione, il primo prevale sempre sulla seconda. Questa regola si fonda su una logica precisa: il dispositivo rappresenta l’atto decisionale con cui il giudice manifesta la sua volontà e definisce il giudizio, mentre la motivazione ha una funzione giustificativa, volta a spiegare a posteriori il ragionamento seguito. Pertanto, si assiste alla “logica prevalenza dell’elemento decisionale su quello giustificativo”, come citato nell’ordinanza (rif. Cass. n. 7980/2017).
La correzione dell’errore materiale
Nel caso specifico, il giudice di primo grado aveva tentato di correggere la motivazione de plano, cioè con un provvedimento autonomo e senza udienza. La Cassazione ha ritenuto irrilevante la modalità di tale correzione, poiché la questione era stata comunque correttamente sottoposta al Giudice d’Appello, il quale ha potuto valutarla nel pieno contraddittorio tra le parti, sanando ogni potenziale vizio procedurale.
La decisione della Cassazione su dispositivo e motivazione
La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso inammissibile nella sua interezza. Oltre a risolvere la questione del contrasto tra dispositivo e motivazione, ha anche rigettato gli altri motivi.
Le critiche relative alla mancanza di prova sulla reale idoneità degli apparecchi a comunicare con l’esterno sono state liquidate come mere doglianze di fatto, inammissibili in sede di legittimità. La Corte ha osservato che la motivazione della Corte d’Appello era logica e completa, avendo evidenziato come gli accorgimenti adottati per nascondere i dispositivi sarebbero stati inspiegabili se questi fossero stati totalmente inutilizzabili.
Le motivazioni
La Corte di Cassazione fonda la sua decisione sul principio consolidato della prevalenza del dispositivo sulla motivazione. Il dispositivo è l’atto che cristallizza la volontà del giudice e acquisisce autorità di cosa giudicata. La motivazione, pur essendo essenziale per comprendere le ragioni della decisione, ha una funzione ancillare e esplicativa. Un errore o una discordanza nella motivazione non può inficiare la statuizione contenuta nel dispositivo, che costituisce l’essenza della pronuncia giurisdizionale. La Corte sottolinea inoltre che qualsiasi vizio procedurale nella correzione dell’errore in primo grado è stato superato dalla piena cognizione del Giudice di Appello, che ha esaminato la questione nel rispetto del contraddittorio, garantendo i diritti della difesa.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame rafforza un principio fondamentale del diritto processuale penale: la certezza e la stabilità delle decisioni giudiziarie. Stabilire la prevalenza del dispositivo sulla motivazione offre una soluzione chiara ai rari ma possibili casi di discordanza interna di una sentenza. Per gli operatori del diritto e per i cittadini, questa pronuncia conferma che è alla parte finale e decisoria della sentenza che si deve guardare per conoscere l’esito del giudizio. La condanna a due anni di reclusione, come stabilito nel dispositivo, è l’unica pena valida ed efficace, nonostante l’indicazione differente contenuta nel corpo della motivazione.
Cosa succede se la pena indicata nella parte decisionale (dispositivo) di una sentenza è diversa da quella indicata nella motivazione?
In caso di contrasto, prevale sempre la pena contenuta nel dispositivo. Questo perché il dispositivo rappresenta la decisione finale del giudice, mentre la motivazione ne costituisce la spiegazione.
È valido un ricorso in Cassazione basato su una semplice critica dei fatti già valutati nei gradi precedenti?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che non sono ammessi ricorsi basati su mere “doglianze in punto di fatto”. Il ricorso in Cassazione deve denunciare vizi di legittimità, come la violazione di legge o un difetto logico evidente nella motivazione, non una diversa valutazione delle prove.
Il tentativo di introdurre in carcere un cellulare è reato anche se non c’è la prova certa che fosse perfettamente funzionante?
Sì, il reato può essere configurato come tentativo. Secondo la Corte, il fatto che siano stati posti in essere degli accorgimenti per eludere i controlli è un forte indicatore dell’idoneità dell’azione, rendendo irrilevante la prova assoluta del perfetto funzionamento del dispositivo.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 26475 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 26475 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/11/2023 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata; dato avviso alle parti; esaminati i motivi del ricorso dell’imputato COGNOME NOME;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
OSSERVA
Ritenuto che i motivi dedotti nel ricorso avverso la condanna per il reato di cui all’art. 391-ter cod. pen. non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità, perché costituiti da mere doglianze in punto di fatto ed incentrati sulla denuncia del vizio di omessa motivazione che la lettura del provvedimento impugNOME rivela essere completa e logicamente ineccepibile e dalla quale si evince l’insussistenza dei dedotti vizi di motivazione.
Rilevato che la Corte territoriale, richiamando la sentenza di primo grado, ha, con motivazione immune da vizi rilevabili in questa sede, ritenuto sussistente, tanto sotto il profilo oggettivo che per quello soggettivo, la penale responsabilità per il reato contestato, qualificato come tentativo. Reiterativa è la censura difensiva secondo cui non vi è prova che si trattasse di “apparecchi idonei a comunicare con l’esterno”, atteso che all’analogo motivo di gravame la sentenza impugnata da dato adeguata e logica risposta richiamando la formulazione della fattispecie e rilevando che gli accorgimenti posti in essere per eludere i controlli sarebbero inspiegabili ove si fosse trattato di apparecchi inidonei alle comunicazioni.
Ritenuto che il primo motivo di ricorso, con il quale si invoca la nullità della sentenza di primo grado per il contrasto tra dispositivo e motivazione, è manifestamente infondato. Invero, nella difformità tra il dispositivo di detta sentenza (che recava la condanna dell’imputato alla “pena di anni due di reclusione”) e la motivazione, depositata successivamente e nella quale si afferma che “pena congrua per l’imputato sia quella di mesi sei di reclusione”, prevale, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, il primo, atteso che tale discordanza «si risolve con la logica prevalenza dell’elemento decisionale su quello giustificativo» (Sez, 6, n. 7980 del 01/02/2017, Rv. 269375 – 01). Né assume rilievo l’erronea modalità seguita dal primo giudice per disporre la correzione della motivazione, effettuata de plano, considerato che la questione è stata sottoposta al Giudice di appello (comunque competente ai sensi dell’art. 130, comma 1, cod. proc. pen.) che l’ha esaminata nel contraddittorio delle parti.
Considerato che all’inammissibilità dell’impugnazione segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della
cassa delle ammende, che si ritiene conforme a giustizia liquidare come in dispositivo.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
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Così deciso il 28 giugno 2024
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