Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 26508 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 26508 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 25/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME, nata a Pozzuoli il giorno DATA_NASCITA rappresentata ed assistita dall’AVV_NOTAIO – di fiducia
avverso la sentenza in data 10/05/2023 della Corte di Appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che non è stata richiesta dalle parti la trattazione orale ai sensi degl artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5-duodecies del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del dl. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta con la quale il AVV_NOTAIO Generale NOME COGNOME, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 10 maggio 2023 la Corte di Appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza in data 1° ottobre 2021 del Tribunale della medesima città, ha dichiarato non doversi procedere in ordine ad una serie di fattireato di natura contravvenzionale (capi A, B e C della rubrica delle imputazioni) perché estinti per prescrizione ed ha ridotto nei confronti dell’imputata NOME COGNOME il trattamento sanzionatorio relativo ai reati di cui ai capi D (invasione edifici ex art. 633 cod. pen.) ed E (violazione di sigilli ex art. 349 cod. pen.) pe quali era intervenuta condanna. I fatti contestati sono indicati come consumati in data 27 novembre 2015.
Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell’imputata, deducendo:
2.1. Art. 606, lett. c), cod. proc. pen. per inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità decadenza e, in particolare, in violazione dell’art. 23-bis I. 176/2020 (d.l 137/2020), dell’art. 598-bis cod. proc. pen. in relazione all’art. 178, lett. c), c proc. pen. attinente l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato.
Rileva, al riguardo, la difesa della ricorrente che sarebbero state violate le regole del processo cartolare in sede di appello in quanto, in base al disposto dell’art. 23-bis citato, il Pubblico Ministero deve formulare le proprie conclusion entro il decimo giorno precedente l’udienza e dette conclusioni debbono essere comunicate immediatamente per via telematica al difensore, il quale entro il quinto giorno precedente l’udienza può presentare la proprie conclusioni con atto scritto.
Nel caso in esame, invece, la requisitoria del Pubblico Ministero, redatta in data 8 maggio 2023, fu inviata al difensore dell’imputata solo in data 9 maggio 2023 (alle ore 11:52) in vista dell’udienza programmata per il giorno successivo, il che avrebbe comportato una violazione del diritto di difesa.
Osserva, ancora, il difensore di non aver potuto eccepire tempestivamente detta nullità innanzi alla Corte di appello data la ristrettezza dei tempi.
2.2. Art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen. per inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione all’applicazione del delitto di cui all’art. 633 cod. pen.
Rileva la difesa della ricorrente che l’occupazione dell’immobile non sarebbe avvenuta senza valido titolo atteso che il marito dell’imputata risulta essere
assegnatario, in forza di un contratto di locazione, di un appartamento e di una cantina presenti nello stabile.
A ciò si aggiunge che l'”invasione” dell’immobile sarebbe avvenuta non in modo violento il che non consentirebbe di configurare il reato in contestazione.
2.3. Art. 606, lett. b), cod. proc. pen. per inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale ed in particolare degli articoli 62-bis, 132 e 133 cod. pen. con conseguente vizio di motivazione di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen.
Rileva al riguardo la difesa della ricorrente che difetterebbe totalmente nella sentenza impugnata la motivazione in merito al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso non è fondato.
Occorre preliminarmente domandarsi se al momento del giudizio di appello fosse ancora in vigore la norma di cui al comma 2 dell’art. 23-bis del d.l. n. 137/2020 (Disposizioni per la decisione dei giudizi penali di appello nel periodo di emergenza epidemiologica da COVID-19) che dispone testualmente «Entro il decimo giorno precedente l’udienza, il pubblico ministero formula le sue conclusioni con atto trasmesso alla cancelleria della corte di appello per via telematica ai sensi dell’articolo 16, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, o a mezzo dei sistemi che sono resi disponibili e individuati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati. La cancelleria invia l’att immediatamente, per via telematica, ai sensi dell’articolo 16, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ai difensori delle altre parti che, entro il quinto giorno antecedente l’udienza, possono presentare le conclusioni con atto scritto, trasmesso alla cancelleria della corte di appello per via telematica, ai sensi dell’articolo 24 del presente decreto».
La risposta a detto quesito è affermativa ciò in quanto il quadro normativo nato sotto l’emergenza pandemica deve essere coordinato con la protrazione della vigenza di talune norme “emergenziali” in materia di impugnazioni per effetto dell’art. 5-duodecies della legge n. 199 del 2022 che ha sostituito l’art. 94, comma 2, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, dettando una rinnovata disciplina transitoria
di coordinamento delle nuove norme in tema di giudizio di impugnazione, improntate al paradigma dell’udienza non partecipata, con le disposizioni dell’emergenza epidemiologica di cui al decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228, in vigore fino al 31 dicembre 2022.
All’art. 5-duodecies citato è, in particolare, stato stabilito che l’art. 94, comm 2, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, viene sostituito dal seguente: «2. Per le impugnazioni proposte entro il 30 giugno 2023 continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’art. 23, commi 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo e 9, nonché le disposizioni di cui all’art. 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, de decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176. …».
Non v’è dubbio che nel caso in esame l’atto di appello era stato proposto certamente prima del 30 giugno 2023 visto che la sentenza della Corte di appello è del 10 maggio 2023.
A dir del vero detta disciplina è ancora oggi in vigore in quanto sul tessuto normativo descritto si è sovrapposto l’art. 17 del d.l. 75 del 22 giugno 2023 (convertito in legge n. 112 del 10 agosto 2023) che aveva prorogato l’ultrattività delle disposizioni processuali sulla trattazione dell’appello e del giudizio d cassazione già dettate nel periodo di emergenza pandemica fino al 15 gennaio 2024: in specie, è stato modificato ulteriormente l’art. 94 del decreto legislativo n. 150/2022 specificando che per le impugnazioni proposte sino al quindicesimo giorno successivo alla scadenza del termine del 31 dicembre 2023, di cui ai commi 1 e 3 dell’articolo 87 (per l’attivazione del processo telematico), continuano ad applicarsi le disposizioni di cui agli articoli 23, commi 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, e 9, e 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176.
Come accennato, peraltro, la data del 30 giugno 2023 (che era già slittata al 15 gennaio 2024 per effetto dell’art. 17 del d.l. n. 75 del 22 giugno 2023, convertito nella legge n. 112 del 10 agosto 2023) è stata ulteriormente spostata in avanti, al 30 giugno 2024, per effetto dell’art. 11 del d.l. n. 215 del 30 dicembr 2023 (cd. “milleproroghe”), convertito nella legge n. 18 del 23 febbraio 2024, a norma del quale il termine previsto dal citato articolo 94, comma 2, per i giudizi di impugnazione è prorogato – appunto – fino al 30 giugno 2024.
Quanto sopra doverosamente premesso, occorre allora domandarsi se vi sono conseguenze sanzionatorie di natura processuale a causa della tardiva comunicazione al difensore dell’imputata.
Questa Corte di legittimità (Sez. 6, n. 18483 del 29/03/2022, COGNOME Mina, Rv. 283262) si è già occupata di casi come quello qui in esame di ritardata comunicazione (“non immediata”) delle conclusioni depositate in termini, premettendo che i termini individuati dall’art. 23-bis, comma 2, d.l. n. 137 del 2020 hanno tutti natura ordinatoria e non perentoria a differenza di quelli espressamente qualificati come perentori e stabiliti per la richiesta di trattazione “in presenza”, ed ha ritenuto che ciò non determina alcuna nullità, salvo che non si sia prodotta un’effettiva violazione del diritto di difesa, il cui onere dimostrat è a carico del ricorrente. Tuttavia qualora la difesa dimostri un effettivo pregiudizi derivante dalla ritardata trasmissione, si è reputata invece sussistente una nullità di ordine generale a regime intermedio ex art. 178 comma 1 lett. c) c.p.p. derivante dall’inosservanza delle disposizioni concernenti l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato.
La giurisprudenza citata riguarda però il caso della requisitoria del AVV_NOTAIO Generale presentata in termini ma non immediatamente comunicata al difensore.
L’orientamento è così sintetizzabile: qualora la comunicazione delle conclusioni del AVV_NOTAIO Generale presso la Corte di appello venga comunque eseguita prima della scadenza del termine assegnato alla difesa per la presentazione delle proprie conclusioni, l’intempestività della comunicazione non integra di per sé una violazione del diritto di difesa, e non determina dunque alcuna nullità, spettando alla parte l’onere di specificare il concreto pregiudizio derivatone alle ragioni della difesa (in tal senso: Sez. 2, n. 34914 del 07/09/2021, Carlino, Rv. 281941; Sez. 3, n. 40562 del 05/10/2021, COGNOME, n.m.; Sez. 5, n. 11562 del 22/02/2022, COGNOME, n.m.; Sez. 4, n. 28225 del 1/06/2022, COGNOME, n.m.; Sez 5, n. 37259 del 16/6/2022, COGNOME, n.nn.).
Con la sentenza COGNOME sopra citata questa Corte di legittimità ha ritenuto che non si configurasse alcuna nullità, stante la presenza di effettivi rimedi in concreto esperibili e dalla parte non azionati: «deve essere, pertanto, qui conclusivamente essere affermato che la trasmissione tardiva alle parti private delle conclusioni scritte previste dall’art. 23-bis, comma 2, d.l. 28 ottobre 2020 n. 137, tempestivamente depositate da parte del pubblico ministero, che interferisce con il termine assegnato alla parte per le proprie conclusioni e che sia, comunque, effettuata prima dell’udienza, non integra alcuna nullità, ma onera la stessa parte a richiedere la restituzione nel termine alla medesima concesso per le repliche».
In questo senso si colloca anche un’altra pronuncia di questa Corte (Sez. 1, n. 48939 del 17/5/2022, COGNOME, non mass.) che ha rigettato l’eccezione sul punto rilevando che la difesa non aveva compiutamente illustrato le ragioni del concreto pregiudizio subìto, essendosi limitata a generiche asserzioni in ordine alla mancanza del tempo necessario per la confutazione di quanto esposto senza tuttavia chiarire il suo contenuto, né risultava avere sollevato, tramite le proprie conclusioni, l’eccezione di nullità davanti al giudice che in quella sede procedeva, come richiesto dal comma 2 dell’art. 182 c.p.p.
Situazione almeno in parte diversa è però quella che si configura nel caso in esame laddove le conclusioni del P.G. sono state addirittura presentate quando già il termine concesso alla difesa per trasmettere le proprie (cinque giorni) era spirato.
In questo caso, osserva l’odierno Collegio, la lesione del diritto di difesa è da ritenersi oltre che sussistente anche effettiva, laddove la difesa abbia presentato le proprie conclusioni senza conoscere quelle della parte avversa e senza quindi aver potuto in concreto controdedurre.
Accanto ad alcune decisioni di questa Corte che richiedono anche in queste ipotesi che la parte indichi quale lesione abbia effettivamente subito (Sez. 3, n. 27193 del 24/3/2022, Hounaifi, non mass), se ne registra una (Sez. 4, n. 21066 del 5/5/2022, Rv 283316) esattamente in termini al caso in esame cioè quello in cui le conclusioni sono state formulate in ritardo dal procuratore generale e trasmesse in ritardo al difensore, e specificamente il giorno prima dell’udienza, quindi, oltre il termine concesso alla difesa per presentare le proprie conclusioni.
L’odierno Collegio ritiene di aderire a quest’ultimo orientamento ribadendo che il mancato rispetto dei termini in un caso come quello in esame realizza comunque ex se una lesione del diritto della difesa della parte privata ex art. 178, lett. c) cod. proc. pen. chiamata a presentare le proprie conclusioni e determina pertanto una nullità di ordine generale a regime intermedio che deve essere eccepita entro il termine di cui all’art. 182, comma 2, prima parte, cod. proc. pen.
Non può però mancarsi di osservare che nel caso in esame detta nullità risulta sanata in quanto il difensore, che bene avrebbe comunque potuto tempestivamente inviare sempre per via telematica alla Corte di appello una nota con la quale segnalava la problematica verificatasi e chiedeva una sostanziale rimessione in termini per poter replicare alle conclusioni del AVV_NOTAIO Generale, non risulta averlo fatto.
Il secondo motivo di ricorso che riguarda esclusivamente la contestazione del reato di cui all’art. 633 cod. pen. è manifestamente infondato.
La Corte di appello (v. pagg. da 3 a 6 della sentenza impugnata) con motivazione congrua, logica e rispondente ai principi di diritto che regolano la materia e quindi esente da vizi rilevabili in sede di legittimità, ha illustrato ragioni per le quali detto reato è configurabile e risulta essere stato commesso dalla COGNOME.
La stessa Corte di appello ha anche spiegato il fatto che è del tutto irrilevante la circostanza che il marito dell’odierna ricorrente è titolare di contratto d locazione nel medesimo fabbricato, ciò in quanto l’occupazione ha riguardato anche porzioni immobiliari (la sala riunioni condominiale) non rientranti nel predetto contratto.
Manifestamente infondato è, infine, anche il terzo motivo di ricorso riguardante il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con conseguenti effetti sul trattamento sanzionatorio.
La Corte di appello ha, infatti, chiarito che non ricorre alcuna valida ragione giustificativa per il riconoscimento delle circostanze attenuanti di cui all’art. 62-bi cod. pen. essendo la COGNOME gravata da precedenti penali (per truffa e falso) e che i fatti appaiono di notevole gravità dato che la stessa, violando i sigilli, si impadronita di un bene di proprietà pubblica sottraendolo alla generalità dei consociati, né ha mostrato alcun segno di resipiscenza o si è adoperata per rimuovere gli abusi edilizi che ha compiuto nei locali.
Rileva l’odierno Collegio che nessun vizio è rilevabile nella predetta motivazione.
Deve, infatti, essere ricordato che questa Corte di legittimità ha più volte affermato che, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549) e, ancora, che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente giustificato con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini, Rv. 260610).
La rilevata infondatezza dei motivi non incide tuttavia sulla ammissibilità del ricorso esaminato che ha quindi determinato una instaurazione del contraddittorio procedimentale protrattosi fino alla data odierna.
Al riguardo la Corte non può esimersi dal rilevare che i residui reati di cui ai capi D (invasione di edifici ex art. 633 cod. pen.) ed E (violazione di sigilli ex art 349 cod. pen.) della rubrica delle imputazioni, contestati come consumati in data 27 novembre 2015, tenuto conto dell’esclusione da parte della Corte di appello della contestata recidiva, risultano estinti per intervenuta prescrizione maturata in data 8 giugno 2023 il che comporta l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché i reati sono estinti per prescrizione.
Così deciso il 25 giugno 2024.