Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 14971 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 14971 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a BENEVENTO il DATA_NASCITA
NOME COGNOME nato a BENEVENTO il DATA_NASCITA
NOME nato a SANT’AGATA DE’ GOTI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 14/11/2023 del TRIBUNALE di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;
udito l’AVV_NOTAIO del foro di TORRE ANNUNZIATA in difesa di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME, il quale ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con ogni conseguente statuizione. quale ha
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 14/11/2023 il Tribunale di Napoli ha confermato l’ordinanza emessa dal G.i.p. della stessa città in data 13/09/2023, con la quale è stata applicata nei confronti dei ricorrenti, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, la misura della custodia in carcere in relazione all’imputazione provvisoria con particolare riferimento al capo 1) della rubrica (art. 416-bis, comma primo, secondo, terzo, quarto, ed ottavo, cod. pen.).
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, a mezzo del proprio difensore, hanno presentato ricorso per cassazione deducendo motivi di ricorso, che qui si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 delle disp.att. del cod.proc.pen.
Ricorso COGNOME NOME.
2.1. Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’art. 273 e 292 cod. proc.pen.; nell’ambito del procedimento in data 2020 i fratelli COGNOME sono stati attinti da ordinanza cautelare per i delitti di tentata estorsione e detenzione illegale di arma da fuoco, con condanna del COGNOME NOME in primo e secondo grado per i delitti di tentata estorsione e armi aggravati dal metodo mafioso, mentre il delitto per il quale è stata applicata l’ordinanza cautelare oggetto di riesame è stato contestato successivamente, con riferimento al ruolo di partecipe del COGNOME. La difesa lamenta una erronea considerazione del Tribunale del riesame in ordine al quadro di gravità indiziaria quanto all’esistenza dell’RAGIONE_SOCIALE per delinquere di stampo mafioso denominato clan COGNOME, ritenuta tuttora perdurante, essendosi sia il Gip che il Tribunale basati su una serie di equivoche intercettazioni, che avrebbero evidenziato il collegamento dei ricorrenti con tale consorteria criminale. Emerge, secondo la difesa, invece un travisamento della prova, atteso che da tali intercettazioni non emerge alcun collegamento con i ricorrenti, che non vengono coinvolti neanche indirettamente dalle conversazioni citate, mentre appare del tutto eccentrico il richiamo alla ordinanza del 30/06/2020 e alle sentenze di condanna emesse nei confronti dei fratelli COGNOME, che la difesa aveva ampiamente contestato, soprattutto in ordine alla ricorrenza della aggravante della agevolazione RAGIONE_SOCIALE. La motivazione è da ritenersi contraddittoria quando afferma che guanto esposto dalla Corte di appello in relazione alla descrizione del metodo mafioso non escludeva la riconducibilità della condotte ad una RAGIONE_SOCIALE camorristica.
Tra l’altro era stato richiamato a supporto il capo 5) per il quale non era stata emessa misura cautelare. In realtà anche gli elementi richiamati in relazione a tale capo non si potevano in alcun modo ritenere rilevanti ai fini della gravità indiziaria, atteso che da nessuna intercettazione sarebbe emerso che il COGNOME NOME si fosse recato con il COGNOME dal NOME, ma era da ritenere una mera congettura desunta dal dialogo tra COGNOME e COGNOME NOME in data 15/11/2018, con evidente travisamentc del Tribunale, presentandosi congetturale anche in relazione al capo 5) con identico travisamento del fatto realizzato dal Gip, atteso che in tale contesto il riferimento del COGNOME NOME non poteva ritenersi riferito alla condotta di incendio del trattore, avendo egli fornito una mera precisazione in ordine ad un modello di trattore a causa dell’errore tecnico del COGNOME, che aveva fatto riferimento ad un trattore bianco piuttosto che amaranto. Sono quindi state richiamate alcune intercettazioni (16/10/2019 e 15/11/2018) interpretate in modo in certo dal AVV_NOTAIO e non considerate in modo logico e coerente del Tribunale, che anzi ne ometteva la valutazione effettiva, nonostante le osservazioni della difesa. Difetta concretamente il quadro indiziario, in realtà desunto dalle due condanne di merito per i delitti ritenuti ricorrenti e aggravati dal metodo e non dalla agevolazione RAGIONE_SOCIALE.
2.1.2. Violazione di legge avendo il Tribunale erroneamente rigettato la richiesta di retrodatazione dei termini di custodia cautelare, con motivazione non condivisibile ed erroneo richiamo alla giurisprudenza delle Sezioni Unite.
Ricorso COGNOME NOME.
2.2. Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’art. 273 e 292 cod.proc.pen.; nell’ambito del procedimento in data 2020 i fratelli COGNOME sono stati attinti da ordinanza cautelare per i delitti di tentata estorsione e detenzione illegale di arma da fuoco, con condanna del COGNOME NOME in primo e secondo grado per i delitti di tentata estorsione e armi aggravati dal metodo mafioso, mentre il delitto per il quale è stata applicata l’ordinanza cautelare oggetto di riesame è stato contestato successivamente, con riferimento al ruolo di partecipe del Mlassaro. La difesa lamenta una erronea considerazione del Tribunale del riesame in ordine al quadro di gravità indiziaria quanto all’esistenza dell’RAGIONE_SOCIALE per delinquere di stampo mafioso denominato clan COGNOME, ritenuta tuttora perdurante, essendosi sia il Gip che il Tribunale basati su una serie di equivoche intercettazioni, che avrebbero evidenziato il collegamento dei ricorrenti con tale consorteria criminale. Emerge secondo la difesa invece un travisamemo della prova, atteso che da tali intercettazioni non emerge alcun collegamento con i
ricorrenti, che non vengono coinvolti neanche indirettamente dalle conversazioni citate, mentre appare del tutto eccentrico il richiamo alla ordinanza del 30/06/2020 e alle sentenze di condanna emesse nei confronti dei fratelli COGNOME, che la difesa aveva ampiamente contestato, soprattutto in ordine alla ricorrenza della aggravante della agevolazione RAGIONE_SOCIALE. La difesa ha quindi contestato il richiamo da parte del Tribunale agli elementi che hanno fondato la condanna per le estorsioni del COGNOME NOME, così come il contradditorio richiamo al capo 6) dell’imputazione quanto all’aggressione in danno del COGNOME e al coinvolgimento dello stesso nella attività di spaccio stupefacenti insieme al COGNOME NOME. Il Tribunale non ha adeguatamente considerato i motivi già proposti avverso l’ordinanza del Gip, con i quali si era evidenziato come l’indagato avesse partecipato a plurimi reati fine, con richiamo ad una serie di intercettazioni dal contenuto ambiguo e non risolutivo, con particolare riferimento alla intercettazione del 22/10/2019 dalla quale non emerge affatto con certezza che l’interlocutore del COGNOME sia il COGNOME NOME. Il Tribunale omette dunque di motivare e non rende chiaro da dove emergerebbe un coinvolgimento del COGNOME nello spaccio di sostanze stupefacenti, né ha evidenziato e specificato gli elementi fattuali dai quali desumere l’appartenenza al sodalizio mafioso, a fronte di motivazione assertiva, apodittica e contraddittoria, atteso che i dialoghi intercettati non veicolano neanche una posizione di contiguità o vicinanza del COGNOME NOME.
2.2.1. Violazione di legge avendo il Tribunale erroneamente rigettato la richiesta di retrodatazione dei termini di custodia cautelare, con motivazione non condivisibile ed erroneo richiamo alla giurisprudenza delle Sezioni Unite.
Ricorso COGNOME NOME.
2.3. Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’art. 273 e 292 cod. proc.pen.; nell’ambito del procedimento in data 2020 i fratelli COGNOME sono stati attinti da ordinanza cautelare per i delitti di tentata estorsione e detenzione illegale di arma da fuoco, con condanna del COGNOME NOME in primo e secondo grado per i delitti di tentata estorsione e armi aggravati dal metodo mafioso, mentre il delitto per il quale è stata applicata l’ordinanza cautelare oggetto di riesame è stato contestato successivamente, con riferimento al ruolo di partecipe del COGNOME. La difesa lamenta una erronea considerazione del Tribunale del riesaime in ordine al quadro di gravità indiziaria quanto all’esistenza dell’RAGIONE_SOCIALE per delinquere di stampo mafioso denominato clan COGNOME, ritenuta tuttora perdurante, essendosi sia il Gip che il Tribunale basati su una serie di equivoche intercettazioni, che
avrebbero evidenziato il collegamento dei ricorrenti con tale consorteria criminale. Emerge secondo la difesa invece un travisamento della prova, atteso che da tali intercettazioni non emerge alcun collegamento con i ricorrenti, che non vengono coinvolti neanche indirettamente dalle conversazioni citate, mentre appare del tutto eccentrico il richiamo alla ordinanza del 30/06/2020 e alle sentenze di condanna emesse nei confronti dei fratelli COGNOME, che la difesa aveva ampiamente contestato, soprattutto in ordine alla ricorrenza della aggravante della agevolazione RAGIONE_SOCIALE. La difesa ha quindi contestato il richiamo da parte del Tribunale agli elementi che hanno fondato la condanna, anche perché nessuno di tali elementi poteva ritenersi indicativo della effettiva ricorrenza di una attività di agevolazione dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, così come il contradditorio richiamo ai capi 4) e 10) di imputazione provvisoria con riferimento ai quali si è contraddittoriamente affermato che tali comportamenti erano stati si compiuti con modalità mafiose, ma erano diretti ad assicurare il controllo dello spaccio di droga da parte di COGNOME. Il Tribunale del riesame non spiega gli indizi “determinativi” della partecipazione del ricorrente ai predetti attentati e soprattutto il collegamento con l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e quella finalizzata allo spaccio di stupefacenti. Il Tribunale ha sostanzialmente omesso di motivare in ordine a quanto dedotto con i motivi in tema di gravità indiziaria quanti ai capi 4) e 10), ritenendo integrati gravi indizi quanto alla partecipazione alla RAGIONE_SOCIALE sulla base dei soli reati fine, in mancanza di dati risolutivi emergenti dalle captazioni.
2.3.1. Violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla partecipazione di COGNOME NOME all’RAGIONE_SOCIALE finalizzata al traffico di stupefacenti di cui al capo 11) di imputazione provvisoria; il richiamo effettuato dal Tribunale ad una serie di captazioni non è risolutivo e ricorre un vero e proprio travisamento della prova in quanto in nessuna delle conversazioni citate (pag. 39 e segg. dell’ordinanza impugnata)COGNOME NOME è l’interlocutore diretto o indiretto, non essendo mai presente nelle conversazioni citate, e pur essendo ricorrente una conversazione in cui COGNOME NOME parla di stupefacenti con il COGNOME il Tribunale ha omesso di chiarire come si sarebbe concretizzata la sua partecipazione al contesto associativo.
2.3.2. Violazione di legge avendo il Tribunale erroneamente rigettato la richiesta di retrodatazione dei termini di custodia cautelare, con motivazione non condivisibile ed erroneo richiamo alla giurisprudenza delle Sezioni Unite.
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che i ricorsi vengano dichiarato inammissibile.
La difesa ha depositato motivi aggiunti per COGNOME NOME; COGNOME NOME e COGNOME NOME richiamando, con argomentazioni sovrapponibili tenuto conto delle rispettive posizioni e imputazioni provvisorie, il dedotto travisamento della prova con riferimento alle intercettazioni riportate da pagina 13 a 26 (in relazione all’aver chiamato i due COGNOME e COGNOME per nome, con riferimento al grado di parentela e al ruolo ricoperto da ciascuno nell’ambito della RAGIONE_SOCIALE, con commento quanto alla loro caratura criminale e attività illecite da realizzare) sebbene tali intercettazioni non siano presenti o esistenti nel procedimento. Anche il Tribunale non indica i relativi progressivi. Inoltre, il Tribunale, nonostante fosse stato presentato specifico motivo sul punto, non ha considerato che il Gip aveva travisato la conversazione del 15/11/2018 nella parte in cui ha ritenuto che COGNOME avesse raccontato a COGNOME NOME dell’incontro con il NOME al quale si era recato con COGNOME NOME. Non è stato specificamente indicato in quale segmento della conversazione citata era emersa la condotta dell’indagato. La difesa aveva allegato gli elementi dai quali desumere il travisamento dedotto, di fatto desumibile dall testo del provvedimento, senza che possa considerarsi tale considerazione una interpretazione o valutazione delle captazioni, quanto piuttosto all’inesistenza di informazioni ritenute rilevanti. L’espunzione del materiale travisato disarticolerebbe il percorso motivazionale che ha portato al giudizio di sussistenza della gravità indiziaria. Quanto al secondo motivo di ricorso già presentato, la difesa ha richiamato le proprie argomentazioni ed ha evidenziato che dopo l’esecuzione della prima ordinanza si era interrotta la permanenza associativa a causa dello stato detentivo del COGNOME. La prova del tempus commissi delitti spettava al Pubblico ministero, che non ha evidenziato i segmenti successivi all’esecuzione della prima ordinanza dimostrativi della permanenza del delitto associativo. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili sono state spese con riferimento a COGNOME NOME con particolare riferimento al quadro indiziario desunto anche dal riferimento all’episodio di cui al capo 6) dell’imputazione provvisoria, richiamando argomenti già spesi nell’ambito del ricorso principale. Del tutto analoghe a quelle spese per COGNOME NOME le considerazioni in ordine al secondo motivo di ricorso proposto,
sostanzialmente ribadite in questa sede con richiamo all’intervenuto stato di detenzione del ricorrente ed alla prova del tempus commissi
Sono stati presentati motivi nuovi anche per COGNOME NOME, sostanzialmente riproponendo i medesimi temi, richiamando la mancanza di gravità indiziaria in ordine alla partecipazione ad una RAGIONE_SOCIALE dedita e finalizzata allo spaccio di stupefacenti, ed ancora quanto alla tematica della c.d. contestazione a catena in considerazione dell’intervenuto stato detentivo del ricorrente.
CONSIDERATO INI DIRITTO
I motivi proposti sono manifestamente infondati e possono essere trattati congiuntamente attesa la loro sostanziale sovrapponibilità, tenuto conto degli elementi specifici caratterizzanti le singole posizioni. I ricorsi devono essere, conseguentemente, dichiarati inammissibili.
In tal senso, occorre rilevare come il Tribunale abbia fornito una considerazione ampia, approfondita e priva di illogicità od aporie, nella ricostruzione del complesso degli elementi indicativi della ricorrenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dei fratelli COGNOME in relazione alle imputazioni agli stessi provvisoriamente elevate (con particolare riferimento al capo 1).
Il Tribunale del riesame ha rilevato, infatti, che l’analisi delle plurime attività di indagine espletate, i riscontri documentali (sentenze, dichiarazioni di collaboratori di giustizia, prove documentali, pag. 8 e segg.), la considerazione di rilevanti esiti di perquisizioni e sequestro, le plurime attività captative poste in essere, rendono evidente l’emersione dei gravi indizi di colpevolezza rispetto ai reati contestati nella ricorrenza di elementi univoci, gravi e concordanti quanto alla appartenenza e partecipazione alle attività del clan COGNOME.
Con motivazione logica ed argomentata, che non si presta a censure in questa sede, è stata evidenziata: – l’accertata presenza del Clan COGNOME, sulla base di risalenti, ripetute e costanti pronunce giurisdizionali (pag. 7 e seg.), con evidente e sostanziale radicamento sul territorio della consorteria criminale indagata (nota e oggetto di plurimi accertamenti – per svariate attività criminali legate al controllo della attività imprenditoriale del territorio – che conducevano a diverse condanne per i componenti del clan predetto con riferimento ai suoi vertici e componenti storici); – il coinvolgimento dei tre fratelli COGNOME in diversi reati fine collegati alla attività del clan, riscontrate da una serie di attività di accertamento, captative, controllo e sequestro, oltre che da accertamenti giurisdizionale; – il diretto collegamento dei fratelli
COGNOME con esponenti del clan COGNOME, e in particolare con il COGNOME, che rivestiva ruolo di vertice, coordinamento e controllo delle diverse attività di interesse della consorteria criminale indagata, come riscontrato ampiamente dagli esiti delle captazioni, anche a seguito degli arresti realizzati; – il continuo e costante collegamento tra i fratelli COGNOME, il COGNOME e il COGNOME, con particolare affermazione, tra i tre fratelli, a livello di attività delegate e autorevolezza nel realizzare attività illecite, anche collegate al traffico e spaccio di stupefacenti, di COGNOME NOME; – la stretta contiguità temporale tra le diverse attività indagate, la portata – organizzata con mezzi e persone – delle condotte poste in essere, il diretto coinvolgimento nelle stesse dei fratelli COGNOME; – la piena consapevolezza quanto alla illiceità, violenza e portata intimidatoria, nell’interesse del clan, delle attività poste in essere ed oggetto non solo di imputazione provvisoria’ ma anche di condanne in sede di merito sia in primo che in secondo grado; – l’ambito territoriale ampio e diffuso delle attività poste in essere.
Con argomenti logici ed articolati, che non si prestano a considerazioni di contraddittorietà o illogicità (anche quanto alla valutazione resa nei giudizi di merito in relazione alla aggravante contestata ex art. 416-bis.1 cod. pen.), il Tribunale ha ampiamente ricostruito la ricorrenza di un quadro di decisa gravità indiziaria. A fronte dell’articolata motivazione del Tribunale del riesame, i ricorrenti nel denunciare una manifestamente illogica e contraddittoria considerazione e valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza con particolare richiamo ad alcune marginali considerazioni difensive (tutte incentrate sulla ricorrenza di un asserito travisamento, tra l’altro non proposto come decisivo, e in realtà volto ad introdurre una considerazione alternativa delle captazioni), non hanno assolto l’onere di indicare gli aspetti della motivazione in relazione ai quali la detta omissione abbia impedito apprezzamenti di segno contrario di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate (Sez. n. 46447 del 16/10/2019, Rv. 277496-01, Sez. 2, n. 42333 del 12/09/2919, Rv. 27800101), mentre è stata riproposta una mera lettura alternativa degli stessi elementi di merito oggetto di considerazione da parte del Tribunale del riesame, con motivi oggettivamente reiterativi, evidentemente caratterizzati da una lettura parcellizzata dei numerosi elementi indiziari presi in considerazione dal Tribinale.
Si deve, quindi, ribadire il costante principio che chiarisce come in tema GLYPH di misure cautelari personali, GLYPH il ricorso per cassazione per GLYPH vizio
di motivazione del provvedimento del tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 27697601, Sez. F. , n.47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400-01, Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, COGNOME, Rv. 237012-01, Sez.3′ n. 40873 del 21/10/2010, COGNOME, Rv. 248698-01). Il controllo di legittimità, dunque, non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, sicché sono inammissibili quelle censure che’ pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400-01). Nel caso concreto ricorre una motivazione approfondita e logica, che non si presenta contraddittoria o insufficiente, mentre i ricorrenti propongono di fatto una mera rilettura degli elementi analiticamente considerati dal Tribunale del riesame; rilettura caratterizzata da una considerazione parcellizzata del materiale di indagine, senza alcun richiamo ai cospicui contributi dei collaboratori, agli accertamenti relativi alla consorteria criminale indagata, agli esiti delle attività di controllo, perquisizione e sequestro. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4. In tal senso, il giudice a quo, ha rilevato che quanto alle esigenze cautelari doveva essere richiamata la portata della presunzione relativa ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen., rispetto alla quale la difesa, alla quale spettava fornire prova del fatto che non sussistano esigenze cautelari o che le stesse non impongano l’applicazione della misura più afflittiva, non aveva fornito alcun elemento di valutazione in senso favorevole ai fratelli COGNOME. Doveva, quindi, essere ritenuta la sussistenza di un concreto pericolo di reiterazione dei reati della stessa specie, tenuto conto delle caratteristiche della condotta oggetto di contestazione e della personalità degli indagati. La motivazione offerta dal Tribunale del riesame, come evidenziato, si presenta priva di vizi logici manifesti e decisivi, coerente con le emergenze indiziarie,
fornendo una valutazione non censurabile, allo stato degli atti, degli elementi che compongono il quadro della cautela richiesta.
I ricorrenti hanno anche contestato, in modo assai generico, la ricorrenza di un pericolo attuale e concreto, a prescindere dalla presunzione relativa di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., a fronte di una analitica motivazione del Tribunale sul punto che ha richiamato in modo logico e persuasivo la portata GLYPH e rilevanza delle condotte realizzate, l’evidente pericolosità dei soggetti implicati consapevolmente in articolate attività estorsive, caratterizzate dall’uso di pericolosi mezzi incendiari, a prova dell’intensità delle relazioni di illecita natura intrattenute con i vertici del clan di appartenenza, con evidente messa disposizione dei tre fratelli COGNOME, in diretto collegamento con il COGNOME e in concorso con il COGNOME, nell’area territoriale di dominio e controllo della consorteria indagata. Con tale motivazione i ricorrenti non si confrontano. In tal senso, occorre considerare come il Tribunale del riesame abbia correttamente applicato il principio, che qui si intende ribadire, secondo il quale gli elementi per una valutazione di pericolosità possono trarsi anche solo da comportamenti o ani concreti – non necessariamente aventi natura processuale – in difetto di precedenti penali, o comportamenti concreti non necessariamente oggetto di accertamento giudiziario (Sez. 3, n. 36330 del 01/06/2019, COGNOME, Rv. 277613-01; Sez. 5, n. 5644 del 25/09/2014, Iov, Rv. 264212-01; Sez. 6, n. 6274 del 27/01/2016, COGNOME, Rv. 265961-01).
Le censure si risolvono, dunque, anche quanto al secondo motivo proposto da COGNOME NOME, in una mera lettura alternativa delle captazioni, senza avere in concreto allegato elementi decisivi e rilevanti al fine di disarticolare la logica ricostruzione del Tribunale, che non si presta a censure in questa sede. In tal senso occorre ricordare, proprio per la tipologie di doglianze introdotte in questa sede, che l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, non può essere sindacata dalla Corte di cassazione se non nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite. In questa sede, dunque, è possibile prospettare un’interpretazione del significato di un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il
contenuto sia stato indicato in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva e incontestabile (Sez. U, n. 22471 del 26/2/2015, Sebbar, Rv. 263715-01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389-01; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Folino, Rv. 267650-01). E’ consolidato anche il principio secondo cui gli elementi di prova raccolti nel corso delle intercettazioni di conversazioni alle quali non abbia partecipato l’imputato costituiscono fonte di prova diretta, soggetta al generale criterio valutativo del libero convincimento razionalmente motivato, senza che sia necessario reperire dati di riscontro esterno, con l’avvertenza che, ove tali elementi abbiano natura indiziaria, essi dovranno essere gravi, precisi e concordanti, come disposto dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278611-01; Sez. 5, n. 40061 del 12/07/2019, COGNOME, Rv. 278314-01; Sez. 5, n. 4572 del 17/07/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265747-01; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 260842-01). Il Tribunale del riesame ha ampiamente motivato, analizzando in modo logico e coerente il materiale acquisito, recepito anche nelle sentenze di condanna per i delitti di estorsione richiamate anche dalla difesa, fornendo una chiara ricostruzione delle conoscenze dei ricorrenti, del loro pieno inserimento nella RAGIONE_SOCIALE indagata, del loro diretto collegamento con soggetti in funzione di vertice, anche riscontrando la portata dei contributi di ciascun indagato, descrivendone caratteri, portata e rilevanza (con particolare riferimento a COGNOME NOME anche quanto al suo coinvolgimento nella attività, sempre riferibile al COGNOME, nella gestione della attività di spaccio di stupefacenti). Con tale motivazione i ricorrenti non si confrontano, limitandosi ad una generica e parcellizzata contestazione degli elementi valutati dal Tribunale.
È bene, inoltre, ricordare che il medesimo principio è stato affermato anche in tema di RAGIONE_SOCIALE per delinquere di stampo mafioso (Sez. 2, n. 31920 del 23/08/2021, COGNOME, Rv. 281811 -01; Sez. 6, n. 32373 del 04/06/2019, COGNOME, Rv. 276831 -01; Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, COGNOME, Rv. 268414-01; Sez. 5, n. 42981 del 28/06/2016, COGNOME, Rv. 268042-01; Sez. 1, n. 40006 del 11/04/2013, COGNOME, Rv. 257398-01). In tal senso si è ribadito che i contenuti informativi provenienti da soggetti intranei all’RAGIONE_SOCIALE, frutto di un patrimonio conoscitivo condiviso derivante dalla circolazione all’interno del sodalizio di informazioni e notizie relative a fatti di interesse comune degli associati sono utilizzabili in modo diretto, e non come mere dichiarazioni de relato soggette a verifica di
attendibilità della fonte primaria (Sez. 2, n.10366 del 06/0312020, Muià, Rv. 278590-01), circostanza questa all’evidenza ricorrente nel caso in esame, tenuto conto della specifica ricostruzione del ruolo e della portata dell’attività posta in essere dai ricorrenti.
8. Generico, oltre che manifestamente infondato, il motivo proposto nell’interesse di tutti e tre i ricorrenti quanto alla richiesta di retrodatazione dei termini di custodia cautelare. In tal senso, occorre ricordare che questa Corte ha già chiarito, con principio che qui si intende ribadire, che in tema di contestazione a catena, la questione della retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare può essere dedotta anche nel procedimento di riesame, a condizione che, per effetto della retrodatazione, al momento dell’emissione della successiva ordinanza cautelare il termine di durata complessivo fosse già scaduto (Sez. 2, n.37879 del 05/05/2023, COGNOME, Rv. 285027-01; Sez. 2, n. 13021 del 10/03/2015, Belgio, Rv. 262833-01). La Corte ha precisato che l’indagato in stato di custodia cautelare, nei cui confronti siano stati adottati vari provvedimenti restrittivi della libertà personale e che assuma la sussistenza di un’ipotesi di “contestazione a catena”, non può impugnare davanti al tribunale del riesame l’ulteriore ordinanza impositiva di misura cautelare, posto che la cosiddetta “contestazione a catena” non incide sul provvedimento in sé, ma solo sulla decorrenza e sul computo dei termini di custodia cautelare, questioni che possono essere proposte al giudice che ha applicato la misura con istanza di scarcerazione ex art. 306 cod. proc. pen. Nel caso concreto, i ricorrenti hanno impugnato appunto l’ordinanza successiva e non hanno neanche indicato nel corpo del motivo, articolato in modo del tutto generico ed aspecifico, quando sarebbe decorso il termine di durata complessivo. Né i ricorrenti si confrontano, in relazione alle imputazioni elevate, con il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale in tema di c.d. “contestazioni a catena”, la retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare prevista dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. presuppone che i fatti oggetto dell’ordinanza rispetto alla quale operare la retrodatazione siano stati commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza coercitiva, e tale condizione non sussiste nell’ipotesi in cui l’ordinanza successiva abbia ad oggetto la contestazione del reato di RAGIONE_SOCIALE di stampo mafioso con formula “aperta” come nel caso in esame, che, dunque, indichi la permanenza del reato anche dopo l’emissione del primo provvedimento cautelare, a meno che gli elementi acquisiti non Corte di Cassazione – copia non ufficiale consentano di ritenere l’intervenuta cessazione della permanenza quanto meno alla data di emissione della prima ordinanza (Sez. 2 , n. 16595 del 06/05/2020, Genidoni Rv. 279222-01; Sez. 6, n. 52015 del 17/10/2018, COGNOME, Rv. 274511-01). In tal senso si è condivisibilmente osservato che: “Le Sezioni Unite (Sez. U, n. 14535 del 10/04/2007, Librato, Rv. 235910-01) hanno difatti chiarito che la retrodatazione prevista dall’art. 297, comma 3, cod.proc.pen. presuppone che i fatti oggetto dell’ordinanza rispetto alla quale operare la retrodatazione siano stati commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza e tale condizione non sussiste nell’ipotesi in cui l’ordinanza successiva abbia ad oggetto la contestazione del reato di RAGIONE_SOCIALE di stampo mafioso con descrizione del momento temporale di commissione mediante una formula cosiddetta aperta, che faccia uso di locuzioni tali da indicare la persistente commissione del reato pur dopo l’emissione della prima ordinanza, precisando che soltanto rispetto a condotte illecite anteriori all’inizio della custodia cautelare disposta con la prima ordinanza può ragionevolmente operarsi la retrodatazione di misure adottate in un momento successivo, come si desume dalla lettera dell’art. 297, comma 3, c:od.proc.pen., che prende in considerazione solo i “fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza”». Questa interpretazione è stata successivamente ribadita dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 48109 del 19/07/2018, Giorgi, n.m.), «considerando anche che non vi è stata alcuna altra decisione successiva che se ne sia discostata. Del resto, una diversa interpretazione avrebbe il poco comprensibile effetto di “coprire” con la retrodatazione la prosecuzione dell’attività criminale rispetto alla quale non potrebbero più essere utilizzate misure cautelari», ma con la precisazione che, a fronte di una contestazione aperta, «ben può il giudice o comunque l’indagato offrire una diversa ricostruzione del tempo di commissione del reato (e di cessazione della permanenza)».(Sez. 2 , n. 16595 del 06/05/2020, Genidoni Rv. NUMERO_DOCUMENTO). Ricostruzione che nel caso in esame non è stata in alcun modo allegata o argomentata, con conseguente manifesta infondatezza del motivo. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
9. L’inammissibilità dei motivi proposti rende di conseguenza inammissibili i motivi aggiunti, posto che secondo quanto inequivocabilmente disposto dall’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., applicabile anche al ricorso per cassazione, l’inammissibilità dell’impugnazione si estende anche ai motivi nuovi (Sez. 3, n. 43917 del 14/10/2021, G., Rv. 282218-01; Sez. 5, n. 166 del 13/01/1992, GGT, Rv. 279942-01)
I ricorsi devono, dunque, essere dichiarati inammissibili, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp.att. cod. proc. pen.
Così deciso il giorno 29 febbraio 2024.