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Cucinare in carcere: limiti e orari per il 41-bis

La Corte di Cassazione ha stabilito la legittimità delle restrizioni orarie per cucinare in carcere imposte ai detenuti in regime 41-bis. Un detenuto aveva ottenuto in primo e secondo grado il diritto di cucinare senza limiti orari, ma la Suprema Corte ha annullato tale decisione, affermando che la differenziazione rispetto ai detenuti comuni è giustificata da esigenze organizzative e di sicurezza, e non costituisce un trattamento discriminatorio o vessatorio. La sentenza ribadisce la potestà regolamentare dell’Amministrazione Penitenziaria nell’organizzare la vita detentiva.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Cucinare in carcere: la Cassazione fissa i paletti per il 41-bis

La possibilità di cucinare in carcere rappresenta un frammento di normalità per chi vive in stato di detenzione. Tuttavia, questo diritto può essere regolamentato? E le regole possono essere diverse a seconda del regime detentivo? Con la sentenza n. 26592/2024, la Corte di Cassazione ha fornito una risposta chiara, affermando la legittimità di fasce orarie specifiche per i detenuti sottoposti al regime speciale del 41-bis.

I Fatti del Caso

La vicenda nasce dal reclamo di un detenuto ristretto in regime 41-bis presso la casa circondariale di Spoleto. L’uomo contestava un ordine di servizio che gli impediva di cucinare al di fuori di determinate fasce orarie, a differenza di quanto concesso ai detenuti delle sezioni comuni (Alta e Media sicurezza), i quali potevano cucinare quasi senza limiti di tempo.

Inizialmente, sia il Magistrato di Sorveglianza che, in sede di appello, il Tribunale di Sorveglianza di Perugia, avevano dato ragione al detenuto. Secondo i giudici di merito, imporre restrizioni orarie più severe ai soli detenuti in 41-bis costituiva una discriminazione ingiustificata e vessatoria, non supportata da reali esigenze di sicurezza. Anzi, si sosteneva che, data la maggiore ristrettezza delle attività trattamentali per questi soggetti, concedere più tempo per attività quotidiane come cucinare fosse un modo per evitare ulteriori afflizioni.

Contro questa decisione, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la differenziazione non era arbitraria ma rispondeva a precise esigenze organizzative.

La Questione Giuridica: il bilanciamento tra diritti e organizzazione penitenziaria

Il cuore della questione risiede nel bilanciare il diritto del detenuto a compiere gesti di vita quotidiana con la potestà regolamentare dell’amministrazione penitenziaria. Se da un lato la Corte Costituzionale (sentenza n. 186/2018) ha dichiarato illegittimo il divieto assoluto di cucinare in carcere per i detenuti in 41-bis, dall’altro non ha mai affermato che tale diritto fosse privo di limiti.

Il DAP ha argomentato che le differenze organizzative tra le sezioni giustificavano il diverso trattamento. Nelle sezioni comuni, dove più detenuti condividono gli spazi, limitare la cottura a fasce orarie potrebbe creare problemi di salubrità dell’aria e sovrapposizioni con altre attività. Al contrario, nelle sezioni 41-bis, dove i detenuti sono in celle singole e hanno un programma di attività più limitato, stabilire degli orari precisi serve a garantire l’ordine, la sicurezza e il rispetto del lavoro del personale, senza che ciò costituisca un’inutile afflizione.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del DAP, annullando senza rinvio l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza. Secondo gli Ermellini, il potere di disciplinare gli orari e le modalità della vita quotidiana in carcere rientra pienamente nelle competenze dell’Amministrazione Penitenziaria.

La Corte ha chiarito che una differenziazione nel trattamento non è di per sé illegittima, a patto che non sia irragionevole o finalizzata unicamente ad aggravare la condizione detentiva. Nel caso di specie, la scelta di imporre fasce orarie per cucinare in carcere ai detenuti in 41-bis non è stata ritenuta né arbitraria né manifestamente irragionevole. Anzi, risponde a una logica di contemperamento tra il diritto del singolo e le complesse esigenze gestionali di un istituto penitenziario.

I giudici di legittimità hanno sottolineato come il Tribunale di Sorveglianza non abbia adeguatamente considerato le giustificazioni organizzative fornite dall’amministrazione. La motivazione della Cassazione si fonda sul principio che il giudice non può sostituirsi all’amministrazione nelle sue scelte discrezionali, ma deve limitarsi a verificare che tali scelte non violino la legge o non si traducano in un pregiudizio grave e attuale per i diritti del detenuto in modo palesemente irragionevole.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce un principio fondamentale: il diritto di cucinare in carcere, anche per i detenuti in regime speciale, non è un diritto assoluto e incondizionato. L’Amministrazione Penitenziaria ha il potere e il dovere di regolamentarlo attraverso disposizioni interne, purché queste siano basate su concrete e ragionevoli esigenze organizzative, di sicurezza e di convivenza. La previsione di fasce orarie differenziate tra diverse sezioni detentive è legittima se, come in questo caso, è giustificata dalle diverse condizioni strutturali e gestionali, e non si traduce in una misura meramente vessatoria.

Un detenuto in regime 41-bis ha il diritto assoluto di cucinare in cella a qualsiasi ora?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che, sebbene il divieto assoluto di cucinare sia illegittimo, l’Amministrazione Penitenziaria ha il potere di regolamentare le modalità e gli orari di tale attività attraverso disposizioni interne, purché non siano irragionevoli o puramente vessatorie.

È legittimo che l’amministrazione penitenziaria stabilisca orari per cucinare diversi tra detenuti comuni e quelli in 41-bis?
Sì. Secondo la sentenza, una tale diversificazione è legittima se risponde a concrete esigenze organizzative e non costituisce una finalità puramente afflittiva. Le diverse condizioni delle sezioni (es. celle singole vs. celle multiple, diverse attività trattamentali) possono giustificare una regolamentazione differente.

Qual è il ruolo del giudice di sorveglianza nel valutare i regolamenti interni del carcere?
Il giudice di sorveglianza non può sostituirsi all’amministrazione nelle sue scelte organizzative. Il suo compito è verificare che i regolamenti non violino la legge e non determinino un grave pregiudizio ai diritti del detenuto attraverso scelte manifestamente irragionevoli, arbitrarie o vessatorie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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