Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 32556 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 32556 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Nettuno il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Roma il 19/05/2025;
udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME udito il Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile; udito l’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia dell’indagato, che ha concluso insistendo per l’accoglimento del motivo di ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Roma ha confermato l’ordinanza con cui è stata disposta la misura della custodia in carcere nei riguardi di COGNOME NOME, ritenuto gravemente indiziato del reato di cui all’art. 73, commi 4-5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 per avere detenuto illecitamente, in concorso con COGNOME NOME, kg. 1,965 di hashish, suddivisa in 20 panetti e ulteriori g. 10 della medesima sostanza, nonché g.0,6 di cocaina rinvenuti in parte addosso e in parte all’interno di una abitazione.
Ha proposto ricorso per cassazione l’indagato articolando un unico motivo con cui deduce violazione di legge processuale prevista a pena di inutilizzabilità.
Si assume che la polizia avrebbe operato, nei giorni immediatamente precedenti l’arresto, tre appostamenti nei confronti dell’indagato da cui non sarebbe emerso alcunchè e che gli indizi sarebbero costituiti da una parte, dal fatto che COGNOME fosse possessore delle chiavi per entrare nell’abitazione della COGNOME – con la quale il ricorrente era da poco convivente ma non residente – in cui fu trovata la sostanza stupefacente, e dall’altra, dal contenuto del colloquio tra l’indagato e il suo difensore cui il primo avrebbe “parlato del ritrovamento di due kg. di stupefacente” (così il ricorso).
La droga sarebbe stata trovata su indicazione della COGNOME che aveva rivendicato subito la partenità della sostanza stupefacente.
Nella disponibilità dell’imputato non sarebbe stato trovato alcunchè di riconducibile alla droga e nemmeno nella di lui autovettura; sulla persona del ricorrente fu trovata una sola dose di cocaina; la cocaina non fu trovata nell’abitazione della COGNOME.
In tale contesto si colloca la conversazione tra l’indagato e il difensore riportata ne seguente modo nell’annotazione di polizia giudiziaria ” il COGNOME chiedeva se era possibile contattare telefonicamente l’avvocato di fiducia e durante la conversazione, alla nostra presenza, gli riferiva che erano stati rinvenuti kg. 2 di sostanza stupefacente di tipo hashish all’interno della abitazione della sua compagna, sostanza che al momento non era stata ancora pesata dagli operanti”.
Sostiene il difensore che, al momento in cui effettuò la telefonata COGNOME fosse già indagato; sul punto l’ordinanza sarebbe viziata e quella conversazione sarebbe inutilizzabile ai sensi dell’art. 103, comma 6, cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato.
Va detto subito che la gravità degli elementi indiziari a carico del ricorrente risult congruamente descritta nell’ordinanza impugnata e presenta elementi di resistenza anche indipendentemente dalle dichiarazioni che l’indagato ebbe modo di fare quando conversò con il difensore (cfr., pagg. 2- 3 ordinanza impugnata).
Sul punto, il ricorso è silente.
La Corte di cassazione con molteplici pronunce – anche a Sezioni unite e non sempre recenti – ha stabilito princìpi funzionali ad attuare il percorso demolitori intrapreso dalla parte che eccepisca la inutilizzabilità probatoria di un atto processuale.
In particolare, è consolidato il principio secondo cui è necessario, a pena di inammissibilità del motivo, che il ricorrente indichi l’incidenza degli atti specificament affetti dal vizio sul complessivo compendio probatorio già valutato, sì da potersene inferire la decisività ai fini del provvedimento impugnato. (Sez. U., n. 23868 del 23/04/2009, COGNOME, Rv. 243416; nello stesso senso, Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, COGNOME, Rv. 244328; Sez. 4, n. 46478 del 21/09/2018, COGNOME, non massimata).
Ulteriori approfondimenti di rilievo concernono i limiti demolitori della pronuncia di legittimità; prima infatti di annullare con rinvio il provvedimento su di un dat dimostrativo dichiarato inutilizzabile, è necessario procedere alla c.d. prova di resistenza, valutando se la motivazione “resti in piedi”, nonostante l’eliminazione dell’elemento viziato.
La regola viene considerata un corollario dell’interesse all’impugnazione: se il provvedimento non è basato sulla prova inutilizzabile, il ricorso, ancorché fondato nel merito, deve essere rigettato (Sez. U, n. 4265 del 25/02/1998, COGNOME, in motivazione; Sez. 5, n. 37694 del 15/07/2008, COGNOME, Rv. 241299; Sez. 2, n. 30271 dell’11/05/2017, COGNOME, Rv. 270303).
Questa Corte, con orientamento consolidato (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269218; Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, Barilari, Rv. 259452; Sez. 3, n. 3207 del 2/10/2014, dep. 2015, Rv. 262011) che il Collegio condivide e ribadisce, ha, infatti, osservato che, nei casi in cui con il ricorso per cassazione si lament l’inutilizzabilità o la nullità di una prova dalla quale siano stati desunti elementi a car il motivo di ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’inciden dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, essendo in ogni caso necessario valutare se le residue risultanze, nonostante l’espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustific l’identico convincimento; gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano infatt irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risulti sufficienti a giustificare l’identico convincimento.
4. Nel caso di specie, il motivo di ricorso è generico, non avendo chiarito l’imputato quale sarebbe l’incidenza del dato ritenuto inutilizzabile rispetto al complessivo ragionamento probatorio e la sua incidenza e decisività rispetto alla decisione impugnata.
Il motivo di ricorso in esame, per come strutturato, esula cioè dal percorso di una ragionata censura del percorso motivazionale del provvedimento impugnato e si risolve in una generalizzata critica difettiva ed inadeguata, che sostanzialmente non permette al giudice di percepire con certezza il contenuto delle censure.
Ne consegue, già sotto tale profilo, l’infondatezza, ai limiti della inammissibilità, d motivo.
E tuttavia, quanto alla utilizzabilità della conversazione tra il ricorrente l’avvocato da questi contattato nella immediatezza dei fatti, va evidenziato come, al di là dell’ambito che si voglia riconoscere all’art. 103 cod. proc. pen., è indubbio che nel caso di specie non siano stati disposti né mezzi di ricerca della prova, né controlli sulla corrispondenza tra l’indagato e il difensore.
In particolare, nessun riferimento può essere compiuto alle intercettazioni regolate dagli artt. 266 e segg. cod. proc. pen. che consistono nella captazione occulta e contestuale di una comunicazione o conversazione tra due o più soggetti che agiscano con l’intenzione di escludere altri e con modalità oggettivamente idonee allo scopo, attuata da soggetto estraneo alla stessa mediante strumenti tecnici di percezione tali da vanificare le cautele ordinariamente poste a protezione del suo carattere riservato.
Nel caso di specie, si è trattato di una conversazione ascoltata casualmente dalla polizia giudiziaria il cui contenuto è stato documentato; un ascolto del colloquio conseguente non ad una indebita violazione della riservatezza, quanto, piuttosto, dal comportamento degli interlocutori.
La Corte di cassazione ha già spiegato come nessun dubbio possa nutrirsi circa l’utilizzabilità della descrizione che gli operanti facciano delle condotte tenute in l presenza dall’indagato o da quanto dagli stessi appreso casualmente in loro presenza mentre l’indagato parla con una terza persona; si tratta di dichiarazioni che non sono in nessun modo stimolate dalla polizia giudiziaria, che, tuttavia, è testimone diretta d un fatto poi documentato (cfr., sul tema, Sez. 2, n. 52539 del 03/11/2016, COGNOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1- ter, disp. att.
cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 3 luglio 2025.