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Continuazione tra reati: non è uno stile di vita

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19897/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un uomo che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati per una serie di illeciti commessi in un arco temporale di diciassette anni. Secondo la Corte, una carriera criminale così lunga ed eterogenea non può essere ricondotta a un unico disegno criminoso, ma rappresenta piuttosto un ‘programma di vita’ improntato al crimine, escludendo così l’applicazione del più favorevole istituto della continuazione.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati: quando la carriera criminale non costituisce un unico disegno

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di continuazione tra reati: non è possibile applicare questo istituto, pensato per mitigare la pena, quando la condotta del reo non deriva da un unico e preordinato piano, ma rappresenta piuttosto una scelta di vita dedicata al crimine. L’ordinanza in esame chiarisce la netta distinzione tra un ‘medesimo disegno criminoso’ e una ‘carriera delinquenziale’ protratta nel tempo.

Il caso: una lunga serie di reati e la richiesta di continuazione

Il caso sottoposto alla Suprema Corte riguardava la richiesta di un soggetto, condannato con diverse sentenze definitive per reati commessi in un arco temporale di ben diciassette anni, dal 2002 al 2019. L’interessato aveva richiesto al Tribunale, in fase di esecuzione della pena, di riconoscere il vincolo della continuazione tra i vari illeciti, ai sensi dell’art. 671 del codice di procedura penale. L’obiettivo era ottenere il ricalcolo della pena complessiva in modo più favorevole, applicando l’aumento previsto per il reato più grave anziché sommare le singole pene.

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva già respinto la richiesta, evidenziando l’eterogeneità dei delitti e l’enorme ampiezza del periodo temporale, elementi che rendevano inverosimile l’esistenza di una programmazione criminosa unitaria e originaria. Contro questa decisione, il condannato ha proposto ricorso in Cassazione.

La distinzione della Cassazione sulla continuazione tra reati

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione del giudice di merito. Gli Ermellini hanno sottolineato come l’istituto della continuazione tra reati presupponga una deliberazione unitaria e iniziale che abbracci tutti gli episodi delittuosi. Nel caso di specie, la diversità dei reati e il lungo lasso di tempo (diciassette anni) sono stati considerati elementi oggettivi che impediscono di ritenere provata una tale progettazione unitaria.

La Corte ha precisato che la reiterazione di condotte illecite non può essere automaticamente interpretata come espressione di un unico disegno. Al contrario, quando si protrae ininterrottamente per quasi due decenni, essa rivela piuttosto un ‘programma di vita improntato al crimine’.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La motivazione della sentenza si fonda su una distinzione concettuale cruciale. Da un lato, vi è la continuazione, un istituto basato sul principio del favor rei, volto a non punire eccessivamente chi, con un’unica decisione, commette più violazioni di legge. Dall’altro lato, vi sono istituti come la recidiva, l’abitualità e la professionalità nel reato, che hanno una funzione opposta: sanzionare più gravemente chi dimostra una persistente e radicata tendenza a delinquere.

Secondo la Corte, il percorso delinquenziale del ricorrente rientrava pienamente in questa seconda categoria. La sua condotta non era il frutto di una singola ‘crisi’ criminale, ma di una scelta consolidata nel tempo. Confondere le due situazioni significherebbe snaturare la funzione dell’istituto della continuazione, applicando un beneficio a un soggetto la cui condotta è, al contrario, meritevole di un trattamento sanzionatorio più severo, come previsto dalle norme sulla recidiva e sull’abitualità criminosa.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della decisione

La decisione della Cassazione rafforza un orientamento giurisprudenziale consolidato e offre importanti indicazioni pratiche. Per poter ottenere il riconoscimento della continuazione, non è sufficiente una mera successione di reati, anche se simili. È necessario fornire la prova di un’unica ideazione e programmazione iniziale che leghi tutti gli episodi criminosi. Fattori come l’eccessiva distanza temporale tra i fatti e la diversità della loro natura esecutiva sono potenti indizi contrari, che possono portare il giudice a qualificare la condotta come un’inclinazione al crimine piuttosto che come l’attuazione di un singolo piano. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Quando è possibile richiedere il riconoscimento della continuazione tra reati?
È possibile quando più reati sono stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, ovvero quando esiste una programmazione unitaria e originaria che lega tutti gli illeciti.

Perché la Corte di Cassazione ha negato la continuazione in questo specifico caso?
La Corte l’ha negata perché i reati erano eterogenei e commessi in un arco temporale troppo vasto (17 anni), elementi che dimostravano non un singolo piano, ma un programma di vita improntato al crimine.

Qual è la differenza tra la continuazione e uno stile di vita criminale sanzionato da istituti come la recidiva?
La continuazione è un istituto di favore per l’imputato (favor rei), che presuppone un’unica decisione criminosa. La recidiva, l’abitualità e la professionalità nel reato sono invece circostanze aggravanti che sanzionano una tendenza a delinquere persistente e radicata nel tempo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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