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Contestazione suppletiva: il potere del PM in udienza

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di un tribunale che aveva dichiarato l’improcedibilità per un furto di energia elettrica per mancanza di querela. Il tribunale aveva illegittimamente impedito al Pubblico Ministero di effettuare una contestazione suppletiva, aggiungendo un’aggravante che avrebbe reso il reato procedibile d’ufficio. La Suprema Corte ha ribadito che il potere di modificare l’imputazione durante il dibattimento è un atto doveroso e insindacabile del PM, che il giudice non può bloccare preventivamente, dovendo invece garantire il contraddittorio sulla nuova accusa.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Contestazione Suppletiva: Il Potere del PM di Modificare l’Accusa in Dibattimento

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cardine del processo penale: il potere-dovere del Pubblico Ministero di modificare l’imputazione in dibattimento. Questo meccanismo, noto come contestazione suppletiva, è fondamentale per adeguare l’accusa a quanto emerge dall’istruttoria. La pronuncia in esame (sentenza n. 15112/2024) chiarisce che il giudice non può opporre un veto preventivo a tale potere, neanche quando la modifica dell’accusa incide sulla procedibilità stessa del reato, trasformandolo da perseguibile a querela a procedibile d’ufficio.

I Fatti: Il Furto di Energia e il Cambio di Procedibilità

Il caso trae origine da un procedimento per furto di energia elettrica. In seguito alla Riforma Cartabia, questo tipo di reato è diventato procedibile a querela della persona offesa. Nel caso di specie, la società erogatrice dell’energia non aveva sporto querela entro il termine di novanta giorni previsto dalla legge. Di conseguenza, il Tribunale, in apertura di udienza, si apprestava a dichiarare l’improcedibilità dell’azione penale.

Tuttavia, il Pubblico Ministero presente in aula ha chiesto di poter effettuare una contestazione suppletiva ai sensi dell’art. 517 del codice di procedura penale. L’intenzione era quella di aggiungere alla contestazione originaria la circostanza aggravante prevista dall’art. 625, n. 7 c.p., ovvero l’aver commesso il fatto su un bene destinato a pubblico servizio, quale è l’energia elettrica. La presenza di tale aggravante avrebbe reso il reato procedibile d’ufficio, superando così l’ostacolo della mancanza di querela.

La Decisione del Tribunale e il Ricorso del PM

Contrariamente alle aspettative, il Tribunale ha respinto la richiesta del PM, ritenendola tardiva. Secondo il giudice di primo grado, essendo ormai decorso il termine per la proposizione della querela, l’azione penale era divenuta irrimediabilmente improcedibile, e nessuna modifica successiva avrebbe potuto sanare questa situazione. Il Tribunale ha quindi pronunciato una sentenza di non doversi procedere.

Il Procuratore della Repubblica ha impugnato questa decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando una violazione di legge. A suo avviso, il Tribunale aveva illegittimamente compresso il potere-dovere del PM di esercitare l’azione penale nella sua interezza, negando l’applicazione di uno strumento processuale (la contestazione suppletiva) che la legge consente di utilizzare fino alla chiusura del dibattimento.

Il Potere di Contestazione Suppletiva secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha accolto pienamente le ragioni del ricorrente, annullando la sentenza impugnata. I giudici di legittimità hanno ribadito che il potere di effettuare nuove contestazioni in dibattimento è una manifestazione essenziale dell’esercizio dell’azione penale, la cui obbligatorietà è sancita dall’art. 112 della Costituzione.

Il giudice del dibattimento, secondo la Corte, non può esercitare alcun sindacato preventivo sull’ammissibilità della contestazione del PM. Il suo ruolo non è quello di autorizzare la modifica, ma di prenderne atto e di garantire i conseguenti diritti della difesa, come la concessione di un termine per preparare una contro-strategia processuale.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha fondato la sua decisione su diversi pilastri argomentativi. In primo luogo, ha sottolineato che la contestazione suppletiva è uno strumento fisiologico del processo accusatorio, finalizzato a garantire la necessaria correlazione tra l’accusa e quanto emerso in dibattimento. Impedirlo significa cristallizzare un’imputazione che potrebbe rivelarsi incompleta o imprecisa.

In secondo luogo, la sentenza chiarisce che il potere del PM di cui all’art. 517 c.p.p. (contestazione di una circostanza aggravante o di un reato concorrente) è un atto imperativo, insindacabile e obbligatorio, che non richiede né il consenso dell’imputato né l’autorizzazione del giudice. Quest’ultima è prevista solo per la contestazione di un fatto nuovo (art. 518 c.p.p.), ipotesi diversa da quella in esame.

Infine, la Corte ha specificato che la tardività rilevata dal Tribunale era un presupposto errato. Il potere di contestazione può essere esercitato in qualsiasi momento del dibattimento prima della sua chiusura, anche sulla base di elementi già presenti negli atti delle indagini preliminari ma non contestati inizialmente. L’eventuale inerzia o errore del PM in fase di indagine può essere corretto nel corso del processo. La decisione del Tribunale, anticipando l’esito del giudizio sulla base dell’imputazione originaria e ignorando la richiesta di modifica, ha determinato una nullità di ordine generale per violazione dei limiti all’esercizio dell’azione penale e del diritto al contraddittorio.

Le Conclusioni

Con questa pronuncia, la Corte di Cassazione riafferma con forza l’autonomia e la doverosità dell’azione penale esercitata dal Pubblico Ministero in dibattimento. La contestazione suppletiva non è una facoltà discrezionale, ma un potere fondamentale per assicurare che il processo verta sul fatto-reato nella sua completezza. Il giudice non può erigersi a controllore preventivo di tale potere, ma deve limitarsi a gestire le conseguenze processuali della modifica, garantendo sempre e comunque i diritti della difesa. La sentenza del Tribunale è stata quindi annullata con rinvio, affinché il processo possa proseguire sulla base dell’imputazione correttamente integrata.

Può il giudice impedire al Pubblico Ministero di effettuare una contestazione suppletiva in dibattimento?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che il giudice non può esercitare alcun sindacato preventivo sull’ammissibilità della contestazione proposta dal Pubblico Ministero ai sensi degli artt. 516 e 517 c.p.p. Si tratta di un potere esclusivo, insindacabile e obbligatorio dell’organo di accusa, che il giudice non può né autorizzare né negare.

La contestazione suppletiva è ammissibile anche se cambia il regime di procedibilità del reato?
Sì, è pienamente legittimo che il Pubblico Ministero effettui la contestazione suppletiva di una circostanza aggravante a seguito della quale il reato, originariamente procedibile a querela, diventi procedibile d’ufficio. Questa modifica è consentita per adeguare l’imputazione alla fattispecie concreta emersa nel processo.

Quali garanzie ha l’imputato in caso di contestazione suppletiva?
In seguito a una nuova contestazione, l’imputato ha la facoltà, ai sensi dell’art. 519 c.p.p., di chiedere al giudice un termine a difesa per contrastare la nuova accusa. Tale termine non può essere inferiore a quello previsto per comparire in giudizio (venti giorni) e consente alla difesa di richiedere nuove prove, preparare una nuova strategia o valutare la richiesta di riti alternativi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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