Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 15099 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 15099 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI SIRACUSA nel procedimento a carico di:
NOME nato a CANICATTINI BAGNI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/04/2023 del TRIBUNALE di SIRACUSA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale di Siracusa ha dichiarato non doversi procedere ai sensi dell’art. 129 cod.proc.pen. nei confronti di COGNOME NOME perché l’azione non doveva essere proseguita per mancanza di querela in relazione al delitto contestato di cui all’art. 624 e 625 n. 2 cod.pen, perché al fine di procurarsi un profitto consistito nel soddisfare il fabbisogno elettrico del suo immobile, mediante allaccio diretto abusivo alla rete elettrica RAGIONE_SOCIALE realizzato collocando due cavi alla presa di alimentazione in modo da escludere la registrazione dei consumi, si impossessava di una quantità imprecisata di energia elettrica pari a KWH 1798 sottraendola alla RAGIONE_SOCIALE. Dal 29.07.2014 e 30.11.2014.
1.1. Il Tribunale aveva rilevato all’udienza del 3.04.2023 che era decorso infruttuosamente il termine di novanta giorni per la proposizione della querela così come previsto dall’art. 85 D.Ivo 150/2022; che il Pubblico ministero alla udienza aveva manifestato la volontà di contestare l’aggravante di cui al n. 7 dell’art. 625 cod.pen. ritenendo l’energia elettrica bene destinato a pubblico servizio; che il Tribunale aveva ritenuto tardiva la richiesta di contestazione suppletiva in quanto l’azione era divenuta improcedibile e che la causa di improcedibilità osta a qualsiasi indagine in fatto ed esaurisce il potere di esercitare l’azione penale in questa sede, salva la possibilità di un nuovo esercizio dell’azione penale medesima da parte del Pubblico Ministero per il medesimo fatto e la medesima persona.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Siracusa per violazione di legge.
Deduce in particolare che erratamente il Tribunale aveva fissato un termine di decadenza per il PM ai fini della contestazione di cui all’art. 517 cod.proc.pen. che può essere validamente effettuata fino alla chiusura del dibattimento.
Evidenzia che nel caso di specie l’esercizio dell’azione penale e l’apertura del dibattimento si erano verificate sotto un diverso regime di procedibilità del reato in contestazione; il rapporto era validamente costituito e il Pubblico ministero mediante l’esercizio di un potere, che non prevede alcuna delibazione da parte del giudice, aveva il potere di effettuare la contestazione suppletiva fino alla chiusura dell’istruttoria dibattimentale. Tra l’altro deduce che nel caso di specie il fatto relativo alla circostanza aggravante era già completamente già descritto nel capo di imputazione, che faceva esplicito riferimento all’ energia elettrica (bene destinato a pubblico servizio) e non vi era alcuna lesione del diritto della difesa
Il Procuratore generale con requisitoria scritta ha chiesto l’annullamneot con rinvio degli atti al Tribunale di Siracusa.
La difesa, AVV_NOTAIO ha concluso con memoria scritta per il rigetto del ricorso e la conferma della sentenza di primo grado in subordine rimessione alle Sezioni Unite a seguito degli orientamenti discordanti delle sezioni unite
CONSIDERATO IN DIRITTO
/Al ricorso è fondato.
1.1. Il Collegio ritiene che la pronuncia impugnata viola la legge secondo quanto prospettato nel ricorso del Pubblico ministero con riferimento all’esercizio del dell’azione penale, in specie al potere- dovere della contestazione suppletiva.
Va ribadito che in tema di nuove contestazioni in dibattimento, il giudice non può esercitare alcun sindacato preventivo sull’ammissibilità della contestazione del fatto diverso da come è descritto nel decreto che dispone il giudizio o del reato concorrente o della circostanza aggravante non menzionati in tale decreto, proposta dal pubblico ministero ai sensi degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen., dovendo invece provvedere sul capo d’imputazione come modificato, stabilendo se sussista o meno la responsabilità penale dell’imputato (cfr. Sez. 2 n. 9039 de/ 17/01/2023,COGNOME Fabio+1; Sez. feriale n. 43255 del 22.08.2023, COGNOME; Sez. 4, n. 48347 del 04/10/2023,COGNOME, Rv. 285682; Sez. 4 n.652 del 7.12.2023, dep. Il 9.01.2024, COGNOME)
Tale affermazione si inserisce in un costante orientamento già ribadito da precedenti pronunce (Sez. 6, n. 37577 del 15/10/2010, Rv. 248539 -01,COGNOME, in motivazione) secondo cui l’art. 516 cod.proc.pen., e segg., inseriti sotto la rubrica “Nuove contestazioni”, disciplinano l’esercizio dell’azione penale nel corso del dibattimento, mirando a salvaguardare il principio della necessaria correlazione tra accusa e sentenza. Il pubblico ministero interviene sull’imputazione enunciata nell’atto che instaura il giudizio, per adeguarla a quanto emerge dalle prove raccolte, in modo che il dibattimento possa proseguire e la decisione conformarsi alla fattispecie concreta corretta e/o ampliata. Effettuare una nuova contestazione è un potere esclusivo del pubblico ministero, inerente all’esercizio dell’azione penale, la cui obbligatorietà è prescritta dall’art. 112 Cost. Inoltre, nell’ipotesi-ricorrente (art. 5 cod.proc.pen.), non è richiesto né il consenso dell’imputato ne’ l’autorizzazione del giudice.
Pertanto, la decisione del giudice del dibattimento che, arrogandosi un potere che nessuna norma gli riconosce, nega al pubblico ministero il compimento di un
atto imperativo, insindacabile e obbligatorio qual è la contestazione della circostanza aggravante, rilevando la tardività, è illegittima.
Nello stesso senso si era già affermato che:” avvenuta la contestazione del reato connesso da parte del pubblico ministero, il giudice che procede ha l’obbligo di provvedere in ordine al nuovo capo di imputazione, stabilendo se sussiste o meno la responsabilità penale dell’imputato, ovvero dichiarando la propria incompetenza perché il fatto appartiene a quella di un giudice superiore’: E ove il giudicante ometta di decidere nel senso su riferito, la sentenza da lui resa potrà essere utilmente impugnata in quanto non si è pronunciata su di un capo di imputazione. Anzi, è proprio questo l’unico rimedio a disposizione del rappresentante della pubblica accusa avverso il rifiuto del giudicante a provvedere sulla contestazione effettuata ai sensi dell’articolo 517 cod.proc.pen., dal momento che la possibilità di procedere autonomamente – da taluni prospettata – è data per il reato connesso, ma non per la circostanza aggravante” (Sez. 2, n. 5180 del 5.11.1999, COGNOMENOME, in motivazione). A conferma di tale principio è sufficiente osservare che l’art. 517 stabilisce esclusivamente che il pubblico ministero “contesta all’imputato” il reato connesso o la circostanza aggravante emersa dagli atti del dibattimento, senza prevedere alcun potere di intervento per l’organo giudicante, come fa invece l’art. 518 cod. proc. pen. con riferimento alla contestazione di un fatto nuovo, stabilendo che il presidente del collegio “può autorizzarla”. Emerge pertanto evidente come dalla ricognizione delle norme di riferimento in presenza di una circostanza aggravante al giudice che procede è preclusa qualsiasi attività discrezionale posto che l’unico titolare dell’azione penale, il pubblico ministero, può procedere alla modifica dell’imputazione. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.2. Ulteriore argomento si trae dalla lettura della motivazione della sentenza della GLYPH Corte costituzionale del 9 luglio 2015 n. 139 GLYPH che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 517 del cod.proc.pen., nella parte in cui n caso di contestazione di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale, non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato oggetto della nuova contestazione e che ha precisato che: “la contestazione “tardiva” di circostanze aggravanti, è idonea a determinare «un significativo mutamento del quadro processuale”, potendo incidere in modo rilevante sull’entità della sanzione – tanto più quando si tratti di circostanze ad effetto speciale – e talvolta sullo stesso regime di procedibilità del reato.
La Corte ha osservato, inoltre, che “l’imputato che si veda contestare in dibattimento una circostanza aggravante già risultante dagli atti di indagine si trova ‘in situazione non dissimile da quella del destinatario della contesiazione
“tardiva” di un fatto diverso: sicché, una volta divenuta ammissibile la richiesta di “patteggiamento” nel caso di modificazione dell’imputazione a norma dell’art. 516 cod. proc. pen., la preclusione di essa nel caso di contestazione di una nuova circostanza aggravante, ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen., risulta foriera di ingiustificate disparità di trattamento al pari della richiesta di giudizi abbreviato. “
1.3. Nel caso in esame il pubblico ministero in dibattimento ha richiesto la modifica dell’imputazione e la contestazione dell’aggravante del 625 n. 7 cod. pen. da cui derivava in astratto la procedibilità di ufficio del reato contestato; il Tribunale ha negato l’esercizio di tale potere-dovere rilevandone illegittimamente la tardività sul presupposto errato che erano decorsi i termini per proporre la querela da parte della persona offesa e ha deciso sulla base della originaria imputazione, dichiarando la improcedibilità ex art. 129 cod.proc.pen.
Vanno qui richiamati, quanto alla rilevata tardività della contestazione suppletiva, anche i principi affermati da Sez. U. n. 4 del 28/10/1998 (dep. 11/03/1999), COGNOME, Rv. 212757, secondo cui “la direttiva n. 78, di cui all’art. 2 delle legge delega per il vigente codice di ri (L. 16 febbraio 1987 n. 81), prevedendo appunto il potere del pubblico ministero di procedere nel dibattimento alla modifica dell’imputazione non pone specifici limiti temporali all’esercizio di detto potere nell’ambito di tale fase processuale, ne’ consente di fare distinzioni quanto alla fonte degli elementi dai quali la contestazione “suppletiva” trae causa. E ciò è stato previsto dalla direttiva in esame, e poi introdotto nel codice di rito, perché la modifica dell’imputazione o la contestazione di una circostanza aggravante, come pure di un reato concorrente, non possono che considerarsi come eventualità fisiologiche in un sistema processuale che si ispira al rito accusatorio incentrato nel dibattimento, ma che non consente, come più volte ricordato dalla Corte Costituzionale, dispersione degli elementi utili per un “giusto processo”. Ora, è vero che la tendenziale parità delle parti, cui si ispira la logica del sistema accusatorio – nell’esaltare il principio del contraddittorio – richiede che il pubblico ministero formuli l’imputazione in base agli elementi d’accusa già acquisiti nelle indagini preliminari (artt. 405-407 cod.proc.pen.) e che, a sua volta, l’imputato, posto a conoscenza degli elementi di accusa, possa sin dall’inizio del dibattimento contrastarli efficacemente. Ma ciò non può comportare, come ineluttabile conseguenza, che, se il pubblico ministero, per inerzia o errore, abbia omesso in parte la contestazione di elementi di accusa già acquisiti, non possa provvedervi poi nel dibattimento, e sin dal suo inizio, apportando le necessarie
modifiche all’imputazione. Senza contare, infine, che la contestazione suppletiva all’inizio del dibattimento e sulla base di elementi non considerati nella formulazione dell’originaria imputazione, in caso di circostanza aggravante o di modifica dell’imputazione, evita di precludere al pubblico ministero la possibilità di richiedere un accertamento completo del fatto-reato, in sede di giudizio. E ciò perché gli elementi modificativi od integrativi del fatto (quali le circostanze aggravanti) non potrebbero mai formare oggetto di autonomo giudizio penale, diversamente da quanto sostenuto erratamente nella sentenza impugnata. Si darebbe luogo NOMEmenti ad una contrazione dell’ambito di esercizio dell’azione penale; con ciò contravvenendosi al disposto dell’art. 112 Cost. Ed ancora, proprio a garanzia del diritto di difesa, l’art. 519 cod.proc.pen. dà facoltà all’imputato, nei cui confronti il pubblico ministero abbia proceduto a contestazione suppletiva (“salvo che la contestazione abbia per oggetto la recidiva”), di chiedere al giudice un termine per poter contrastare l’accusa perché in parte integrata o modificata. La norma in esame, peraltro, aggiunge che il tempo concesso dal giudice non può essere “inferiore al termine per comparire previsto dall’art. 429 (art. 519, comma 2), cioè non inferiore a venti giorni”.
1.4. GLYPH Si è detto che nel caso di cui è processo il pubblico ministero in dibattimento, nel primo segmento processuale utile, aveva richiesto la modifica dell’imputazione e la integrazione della rubrica della imputazione con la contestazione dell’aggravante di cui all’art. 625 n. 7 cod. pen. da cui derivava in astratto la procedibilità di ufficio del reato contestato ed il Tribunale ha sostanzialmente negato l’esercizio di tale potere-dovere rilevandone la tardività sul presupposto che erano decorsi i termini per proporre la querela da parte della persona offesa a seguito della modifica legislativa e ha deciso sulla base della originaria imputazione rilevando la improcedibilità ex art. 129 cod.proc.pen., violando tutti i principi del contraddittorio.
In riferimento al momento processuale in cui il potere di precisazione della contestazione, immediatamente derivante dal principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art. 112 Cost., deve essere esercitato, le direttrici ermeneutiche declinate dalla giurisprudenza di legittimità, nella sua più autorevole composizione, la citata Sez. U. COGNOME, non assegnano alcuna preclusione correlata alla preesistenza, rispetto all’apertura del dibattimento, degli elementi di fatto che portano alla modifica dell’imputazione di cui all’art. 516 cod. proc. pen. e alla contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante di cui all’art. 517 cod. proc. peni, poiché le nuove
contestazioni possono essere effettuate dopo l’avvenuta apertura del dibattimento e prima dell’espletamento dell’istruzione dibattimentale, e dunque anche sulla sola base degli atti già acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari.
Di guisa che il potere di procedere nel dibattimento alla modifica dell’imputazione o alla formulazione di nuove contestazioni va riconosciuto al Pubblico ministero senza specifici limiti temporali o di fonte, in quanto l’imputato ha facoltà di chiedere al giudice un termine per contrastare l’accusa, esercitando ogni prerogativa difensiva come la richiesta di nuove prove o il diritto ad essere rimesso in termini per chiedere riti alternativi o l’oblazione (ex multis, Sez. 6, n. 18749 del 11/04/2014, B.L. Rv. 262614; Sez.6 n. 44980 del 22.09.2009, Nasso, Rv. 245284).
Tale linea interpretativa non è smentita dalla recente sentenza delle Sez. U. n.49935 del 28.09.2023, NOME, che afferma l’obbligo del giudice di procedere immediatamente alla dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione nel caso di contestazione suppletiva della recidiva, in quanto tale sentenza, nel caso concreto esaminato, ha rilevato un’impossibilità di fatto volto a precludere l’integrazione della contestazione della recidiva rispetto ad un reato già prescritto, a causa dell’inesistenza stessa di idoneo «segmento processuale».
Le Sezioni Unite NOME al paragrafo 7 ribadiscono, invero, i principi sopra illustrati in tema di esercizio della contestazione suppletiva da parte del Pubblico ministero e affermano: “Va altresì considerato che, in caso di contestazione suppletiva della recidiva in dibattimento, l’imputato presente non ha diritto a un termine a difesa, diversamente da quanto previsto qualora sia contestata una qualsiasi altra circostanza aggravante (art. 519, comma 1, cod. proc. pen.). Quanto sinora evidenziato, però, non consente di escludere, de iure condito, che il pubblico ministero possa procedere alla contestazione suppletiva della recidiva solo in dibattimento, ai sensi delle citate disposizioni, non solo nei casi in cui la sussistenza della circostanza aggravante sia emersa dopo l’esercizio dell’azione penale (invero assai difficilmente ipotizzabili: si pensi all’accertamento di precedenti penali risultanti a carico dell’imputato con un alias la cui conoscenza sia emersa solo nel corso del dibattimento), ma anche qualora il pubblico ministero supplisca a una inerzia, rimedi a un errore ovvero compia una diversa valutazione discrezionale rispetto a quella fatta al momento dell’esercizio dell’azione penale.
Tale conclusione risulta allo, stato coerente rispetto alla risalente pronuncia delle Sezioni Unite (Sez. U. citata Barba gallo) secondo la quale
«le contestazioni ai sensi degli artt. 516 e 517 possono essere effettuate dopo l’avvenuta apertura del dibattimento e prima dell’espletamento dell’istruzione dibattimentale, cioè sulla base degli atti già acquisiti da pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari» (in senso conforme v. Sez. 2, n. 45298 del 14/10/2015, COGNOME, Rv. 264903-01; Sez. 5, n. 8631 del 21/09/2015, COGNOME, dep. 2016, Rv. 266081-01; Sez. 5, n. 16989 del 02/04/2014, COGNOME, Rv. 259857-01)
Non è in discussione, dunque, la facoltà da parte del pubblico ministero di procedere alla contestazione suppletiva ( nel caso di specie) della recidiva, che peraltro non richiede l’autorizzazione del giudice (nei casi di cui all’art. 517 cod. proc. pen. «il pubblico ministero contesta all’imputato» una circostanza aggravante), a differenza di quanto previsto ,per la contestazione del fatto nuovo, in presenza dei presupposti previsti dall’art. 518, comma 2, del codice di rito”.
1.5. Nel caso all’esame del Collegio, deve GLYPH rilevarsi che il Tribunale, nel pronunciare sentenza di immediata declaratoria del proscioglimento dell’imputato per mancanza della condizione di procedibilità del reato di furto pluriaggravato nell’escludere, nel corso del dibattimento, la facoltà del Pubblico ministero di procedere alla contestazione suppletiva della circostanza aggravante della destinazione “a pubblico servizio” di cui all’art.625 comma 1 n.7 ultima parte cod.pen., ha anticipato la decisione, pervenendo ad una declaratoria ai sensi dell’art.129 cod.proc.pen, così dettando, ancor prima della chiusura della istruzione dibattimentale, i termini della discussione finale (limitata alla ricorrenza di un mutamento del regime della procedibilità del reato ascritto), nonostante fosse stato sollevato dall’organo della Procura l’incidente relativo alla contestazione suppletiva.
In sostanza, pertanto, il Tribunale non ha considerato che il Pubblico ministero aveva formulato una contestazione suppletiva la quale – in astratto – avrebbe consentito di ricondurre la fattispecie nell’alveo della punibilità di uffici omettendo del tutto di riconoscere all’imputato le garanzie previste dall’art.519 cod.proc.pen. una volta che la contestazione suppletiva era divenuta patrimonio del processo e di valutare le sopravvenienze istruttorie, pure intervenute nel corso del giudizio, le quali avrebbero potuto concorrere a confortare la plausibilità della contestazione suppletiva medesima limitandosi a rilevare la sopravvenuta improcedibilità dell’azione penale per mancata presentazione della querela da parte della persona offesa entro il termine di legge e invitando le parti a confrontarsi solo su tale tema, riconosciuto come pregiudiziale.
Ne consegue che l’ingiustificata accelerazione verso l’epilogo de plano del giudizio, come sopra evidenziata, ha determinato un rilevante vulnus alla pienezza del contraddittorio sui temi che formavano oggetto del procedimento, da cui è conseguita altresì la limitazione dell’iniziativa dell’ufficio del Pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale in una prospettiva di precisazioneintegrazione del capo di imputazione, con riferimento alla ricorrenza di una circostanza aggravante, la quale, se effettivamente riconosciuta come esistente, anche a seguito di contestazione suppletiva, avrebbe assicurato la resistenza della fattispecie incriminatrice al mutamento delle condizioni di procedibilità pure introdotto, a fare data dal 30 dicembre 2022, dalla disciplina della riforma Cartabia.
L’ inosservanze in cui è incorso il Tribunale sono riconducibili a ipotesi di nullità di ordine generale di cui all’art.178 cod.proc.pen. laddove attengono ai limiti dell’esercizio dell’azione penale ai sensi dell’art.179 in relazione all’art.178 lett.b cod.proc.pen. e al conseguente diritto delle parti private di contraddire sul punto; esse, peraltro, si atteggiano altresì quali vulnus alla stessa integrità del contraddittorio nel corso del giudizio, in quanto hanno determinato una ingiustificata limitazione al potere di intervento delle parti su temi decisivi del giudizio.
Le Sezioni unite. n. 12283 del 25/01/2005 (dep. 30/03/2005 ) Rv. 230531 01, COGNOME, hanno ben chiarito che «l’art. 129 c.p.p. non attribuisce al giudice un potere di giudizio ulteriore ed autonomo rispetto a quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l’epilogo proscioglitivo nelle varie fasi e nei diversi gradi del processo – artt. 425, 469, 529, 530 e 531 stesso codice -, ma enuncia una regola di condotta rivolta al giudice che, operando in ogni stato e grado del processo, presuppone un esercizio della giurisdizione con effettiva pienezza del contraddittorio».
L’art. GLYPH 129 cod. GLYPH proc. pen. – si è evidenziato GLYPH – enuncia GLYPH una regola di condotta rivolta al giudice, data la sua collocazione sistematica nell’ambito del capo relativo GLYPH ad “atti e provvedimenti” giudiziali, e «prevede GLYPH l’obbligo GLYPH (recte dovere) GLYPH dell’immediata GLYPH declaratoria, d’ufficio, di determinate cause di non punibilità che il giudice “riconosce” come già acquisite agli atti. Si è di fronte ad una prescrizione generale di tenuta del sistema, nel senso che, nella prospettiva di privilegiare l’exitus processus ed il favor rei, s’impone al giudice il proscioglimento immediato dell’imputato, o ve ricorrano determinate e tassative condizioni, che svuotano di contenuto – per ragioni di merito l’imputazione o ne fanno venire meno – per la presenza di ostacoli
processuali (difetto di condizioni di procedibilità) o per l’avverarsi di una causa estintiva – la effettiva ragion d’essere.
La citata sentenza COGNOME ha poi osservato che “l’espressione immediata declaratoria, presente GLYPH soltanto GLYPH nella rubrica GLYPH dell’art. GLYPH 129 c. p . p., assume una valenza GLYPH diversa GLYPH da GLYPH quella GLYPH percepibile GLYPH prima GLYPH facie: non denuncia una connotazione di “tempestività temporale” assoluta, fino a legittimare, pur nel silenzio della norma, il rito c.d. de plano ; ma evidenzia la precedenza che tale declaratoria deve avere, ove ne ricorrano le condizioni, su NOME eventuali provvedimenti decisionali adottabili dal giudice”.
Con I a sentenza COGNOME (Sez. U, n . 35490 del 28/05/2009, Rv. . 244274-01), le Sezioni Unite hanno affermato che, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione ictu o cui/ che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento. Inoltre, a conferma della prevalenza della pronuncia di proscioglimento su ogni ulteriore approfondimento- la sentenza ha ribadito che i vizi della motivazione del provvedimento impugnato non sono rilevabili in sede di legittimità in presenza di una causa estintiva, in quanto il giudice, cui andrebbero rimessi gli atti per il giudizio rescissorio al fine di riparare il tessuto motivazionale della decisione, avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva, principio applicabile anche in presenza di una nullità di ordine generale, come già affermato nella sentenza Cremonese (Sez. U, n. 1021 del 28/11/2001, dep. 2002, Rv. 22051101). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In definitiva, il giudice non può pronunciarsi ex abrupto a norma dell’art. 129 cod.proc.pen., senza coinvolgere le parti.
1.6. Nel caso in esame, qualificata l’impugnazione del pubblico ministero quale ricorso per saltum, Sez. U, n. 3512 del 28/10/2021 Ud. (dep. 31/01/2022), COGNOME, Rv. 282473 01, pur ritenuto che il Tribunale è incorso in una nullità assoluta di ordine
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generale prevista dagli artt. GLYPH 178 e 179 cod.proc.pen., che attiene alla formulazione della imputazione e all’esercizio dell’azione penale, va rilevato il reato così come contestato nel capo di imputazione si è prescritto, in quanto commesso dal 27.09.2014 al 30.11.2014: sono pertanto decorsi i termini massimi previsti dagli artt. 157 e 161 cod. pen. di anni sette e mesi sei.
Va conseguentemente disposto l’annullamento senza rinvio per essere i reati estinti per prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.
Così deciso il 27.03.2024