Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26638 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26638 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore generale presso Corte d’appello di Catanzaro nel procedimento a carico di:
NOME NOME, nato a Badolato il DATA_NASCITA inoltre:
NOME, nato a Santa Caterina dello Ionio il DATA_NASCITA
NOME COGNOME, nato a Badolato il DATA_NASCITA
NOME NOME, nato a Catanzaro il DATA_NASCITA
NOME NOME nato a Chiaravalle il DATA_NASCITA
NOME, nata a Santa Caterina dello Ionio il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/05/2023 della Corte di appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito: – il difensore di COGNOME NOME, avvocato NOME COGNOME, che chiede l’inammissibilità del ricorso; – il difensore di COGNOME NOME, avvocata NOME COGNOME, in sostituzione dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO NOME COGNOME, chiede la inammissibilità del ricorso; – il difensore di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, avvocata NOME COGNOME, in sostituzione dell’avvocato NOME COGNOME, chiede la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Catanzaro impugna la sentenza della Corte di appello di Catanzaro che, decidendo in sede di rinvio, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Catanzaro, ha revocato la confisca disposta ex art. 12-sexies d.l. n. 309 del 1992, attuale art. 240-bis cod. pen., dei beni in sequestro nei confronti di NOME COGNOME e dei terzi NOME COGNOME (moglie), NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (figli).
1.1. Il “reato spia”, in ordine al quale sussiste ormai condanna definitiva all’esito della decisione di questa Corte del 4 novembre 2021, attiene ad ipotesi di estorsione aggravata relativa alla gestione delle attività economiche relative al Porto di Badolato, nel cui ambito si accertava la responsabilità, in concorso con altri soggetti, di NOME COGNOME nell’estorsione contrattuale, consumatasi nella primavera del 2008 e consistita nell’imporre a NOME COGNOME, socio della “RAGIONE_SOCIALE“, NOME NOME, in luogo di COGNOME NOME, quale persona a cui affidare le attività di gestione del citato porto, onde evitare conseguenze dannose e, segnatamente, “una guerra di ‘ndrangheta”, accreditando il NOME quale personaggio emergente ed influente nell’ambito della delinquenza organizzata della zona.
Il giudizio di legittimità, come riportato dalla decisione della Corte di appello, aveva messo in risalto la sussistenza di «limiti logici laddove, a fronte di un “reato spia” consumato nella primavera del 2008, valorizza a fini di correlazione temporale le dichiarazioni del teste COGNOME, desumendone la dedizione del prevenuto fin da anni precedenti al 2003 ad attività di riciclaggio in favore di associazioni criminali territoriali e retrodata, in assenza di adeguata giustificazione, il giudizio di illecita accumulazione a fine anni 70, risalendo di var lustri rispetto ai fatti giudicati».
La decisione puntualizza come il semplicistico giudizio espresso dalla Corte territoriale, là dove ha affermato (testualmente) che “può ritenersi che la liquidità
accumulata dal COGNOME NOME e dalla moglie attraverso tale iniziale quanto importante operazione edilizia ed immobiliare sia stata alla base delle successive operazioni immobiliari e finanziarie che tuttavia devono ritenersi conseguite attraverso un meccanismo derivato di illecita accumulazione”, risulta in contrasto con quanto affermato anche dal Giudice delle leggi affinché possa ritenersi costituzionalmente legittimo l’istituto della “confisca atipica” sotto il profilo de necessità e proporzionalità.
Rilevante, in particolare, è risultata l’assenza di qualsivoglia perimetrazione del periodo da prendere in esame ai fini della previa verifica della proporzionalità tra risorse finanziarie e l’acquisizione di beni, come la mancanza di indicazione sulle ragioni che portavano a ritenere che i beni intestati ai terzi fossero riconducibili al NOME COGNOME, non potendosi aggirare i principi reiteratamente espressi in ordine alla prova dell’interposizione, reale o fittizia, secondo lo schema tipico del ragionamento indiziario.
1.2. La Corte di appello, nell’ambito del giudizio di rinvio, ha ripercorso i contenuto delle decisioni di merito, riassunto gli aspetti salienti della decisione di annullamento ed ha provveduto a perimetrare in cinque anni, precedenti e successivi al fatto (dal 2003 al 2013), il periodo di ragionevolezza temporale entro il quale far valere le presunzioni di accumulo illecito dei beni attraverso l’analis delle caratteristiche del “reato spia” di estorsione, in ordine al quale era intervenuta condanna ormai definitiva, osservando come gli acquisti effettuati in tale periodo da NOME COGNOME e dai congiunti non potessero ritenersi sproporzionati rispetto alle risorse finanziarie possedute, così superando la questione connessa alla riconducibilità o meno dei beni acquistati dalla moglie e dai figli nell’ambito cronologicamente delimitato e pervenendo alla revoca della confisca nei confronti di NOME COGNOME e dei terzi NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Con articolato motivo ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. il Procuratore generale presso la Corte di appello di Catanzaro deduce la violazione dell’art. 12-sexies I. n. 356 del 1992 (ora 240-bis cod. pen.), dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen. e vizi di motivazione.
Il Procuratore ricorrente rileva l’illogicità della sentenza che ha portato alla revoca del provvedimento ablatorio nella parte in cui non giustifica la disponibilità finanziaria al 31 dicembre 2002, il cui accertamento non è stato condotto alla luce delle entrate reddituali e patrimoniali contenute nelle dichiarazioni dei redditi presentate dal 1979 al 2002 da NOME COGNOME e dal suo nucleo familiare.
2.1. Seppure la sentenza prenda in esame le sole dichiarazioni presentate negli anni 1981 e 1982 (senza enunciare l’ammontare dei relativi redditi), non
valuta, al fine di verificarne la sproporzione, il dato connesso alle dichiarazioni dei redditi dal 1983 al 2002, limitandosi la Corte di appello ad enumerare gli acquisti e gli investimenti senza alcun confronto tra il valore dei cespiti ed i redditi prodott negli anni dal 1979 al 2002. Le dichiarazioni ai fini fiscali complessivamente presentate da NOME COGNOME e del suo nucleo familiare in detto periodo, come desumibile dal prospetto redatto dagli investigatori, evidenziavano una costante sperequazione tra le entrate e le uscite.
Sino al 2002 i redditi dichiarati – si osserva – erano sproporzionati al valore delle vendite degli immobili edificati e comunque non erano idonei a dare conto della ritenuta “fiorente attività” svolta dalle ditte individuali a cui fa riferiment consulenza di parte di NOME COGNOME: dagli anni 1970 al 2002, periodo in cui vi è stata la “iniziale manifestazione di pericolosità sociale”, gli esigui redditi dichiara al fisco dai coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME non erano significativi del guadagno che si assume provenisse dall’attività svolta in materia edilizia, né la decisione spiega come sia stato possibile l’accumulo della disponibilità finanziaria di oltre 685 mila euro al 31 dicembre 2002, somma che ha permesso alla Corte territoriale di ritenere proporzionata, negli anni successivi, l’acquisizione di beni da parte di NOME COGNOME, della moglie e dei figli.
Secondo il ricorrente, la circostanza che il patrimonio in questione fosse illecito (e ciò anche in ipotesi di loro provenienza dalla violazione di obblighi fiscali) non consente di legittimarne l’accumulo e neutralizzarne la sperequazione riscontrata negli anni seguenti, potendosi affermare che il patrimonio utilizzato dal 2003 al 2013 sia il frutto di attività illecite o ne costituisca il reimpiego.
La non corretta valutazione dell’esatta consistenza delle risorse accumulate al 31 febbraio 2002 ha portato la Corte territoriale a violare l’art. 240-bis cod. pen. ed a rendere un’incoerente motivazione allorché è giunta a giudicare perequato il patrimonio incrementato da acquisti attraverso l’utilizzo di risorse illecite.
La Corte territoriale – si osserva – ha, altresì, violato ex art. 627, comma 3, cod. proc. pen. lo stesso principio di diritto contenuto nella sentenza di rinvio là dove questa Corte aveva richiamato l’impossibilità per l’imputato destinatario di provvedimento di sequestro finalizzato alla confisca di giustificare la legittima provenienza dei beni adducendo la derivazione delle risorse economiche da evasione fiscale anche in epoca precedente all’entrata in vigore della legge n. 161 del 2017.
La Corte territoriale ha omesso di considerare come il decreto n. 31 del 1992 che ha rigettato la richiesta di misura di prevenzione personale nei confronti di NOME COGNOME, provvedimento citato dalla Corte di appello per smentire la pericolosità sociale, viene superato dalla condanna per il delitto di estorsione commesso nel 2008; la Corte di merito ha, inoltre, svalutato – si assume – tutte
le condanne per fatti di favoreggiamento personale commessi nel 1978 e nel 1983, l’ultima delle quali aveva ad oggetto la condotta fiancheggiatrice e di favoreggiamento in favore di NOME COGNOME, a cui il COGNOME era legato. La vicinanza all’associazione ex art. 416-bis cod. pen. è emersa anche dalle vicende che hanno dato causa al presente procedimento afferenti alla “locale” di Guardavalle e all’utilizzo del metodo mafioso nella realizzazione del delitto di estorsione contestato.
2.2. Osserva, inoltre, il ricorrente che la decisione non ha preso in esame tutti i beni oggetto di sequestro e destinati alla confisca acquistati tra il 2003 ed il 2013 da NOME COGNOME (indicati alle pagg. 222 della sentenza del Tribunale), da COGNOME NOME (immobili facenti parte del complesso turistico costruito tra il 2000 ed il 2006 denominato “Aquila” siti nel Comune di Badolato del valore di stima di euro 269.984,45; immobili con valore di stima di euro 491.022,00 e terreni), da COGNOME NOME (un terreno del valore di euro 5.000,00 il 20 febbraio 2012 ed il 25 % della società “RAGIONE_SOCIALE” sRAGIONE_SOCIALE il 15 luglio 2010), da NOME COGNOME (immobile registrato il 2 settembre 2009 per un valore di euro 8.267,00, quote sociali e compendio aziendale della società RAGIONE_SOCIALE con sede in Roma costituita il 27 gennaio 2010, in cui figura socio unico e rappresentante legale con capitale di euro 10.000,00 interamente versato, quote sociali pari al 50 % della società “RAGIONE_SOCIALE” sRAGIONE_SOCIALE con sede in Roma il 9 novembre 2012) e da NOME COGNOME (immobili siti nel comune di Satriano acquistati il 12 gennaio 2011, per il prezzo di euro 155.403,00).
In ordine a tutti gli immobili in questione non è stato effettuato un raffronto con i redditi dichiarati dagli intestatari, né è stato tenuto in considerazione che NOME COGNOME fosse inserito patrimonialmente nello stato di famiglia di NOME fino al 31 dicembre 2007, mentre NOME e NOME ne fossero fuoriusciti solo il 31 dicembre 2009.
La Corte territoriale non assegna alcuna rilevanza al fatto che NOME COGNOME sia stato condannato per corruzione in atti giudiziari al fine di ottenere la restituzione dei beni confiscati nell’ambito del presente procedimento dal Tribunale di Salerno.
3. l’AVV_NOTAIO, quale difensore di fiducia del terzo COGNOME NOME e l’AVV_NOTAIO, quale difensore di fiducia di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, terzi interessati, con memorie in data 14 e 24 maggio 2024, dopo aver rievocato la vicenda processuale e ripercorso le ragioni dell’annullamento, che hanno condiviso, hanno insistito, allegando gli atti a cui è stato fatto riferimento, per l declaratoria di inammissibilità o per il rigetto del ricorso del Procuratore generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, in quanto generico, manifestamente infondato e teso a chiedere a questa Corte una preclusa valutazione del compendio probatorio che ha portato alla revoca della confisca, deve essere dichiarato inammissibile.
Deve premettersi che la Corte di appello, sulla base delle statuizioni della sentenza di annullamento di questa Corte, ha innanzitutto perimetrato cronologicamente il periodo entro il quale svolgere la valutazione in ordine alla eventuale sussistenza dei presupposti per la confisca ex art. 240-bis cod. pen., già art. 12-sexies d.l. n. 306, del 1992, convertito con modifiche dalla I. n. 356 del 1992. Ha sul punto stabilito che, sulla base della tipologia del reato matrice, della data della sua commissione, inclusi i presupposti ex art. 133 cod. pen., che l’ambito cronologico dovesse essere circoscritto (pagg. 13 e 14) in cinque anni precedenti e successivi rispetto alla data del commesso reato oggetto di accertamento ormai divenuto irrevocabile.
A tal fine è stato ritenuto rilevante, a prescindere dalla significativa condotta contestata ai fini della pericolosità sociale implicita nella ratio del ‘ rt. 240-bis cod. pen., che, all’esito del processo, la figura di NOME COGNOME fosse uscita notevolmente ridimensionata proprio perché il capo della locale “ndrina” lo aveva fatto punire per la non tollerata autonomia dimostrata nella vicenda afferente all’estorsione contrattuale consistita nell’imporre l’affidamento della gestione di attività all’interno del porto a soggetto dal medesimo individuato.
La Corte territoriale ha, infatti, correttamente richiamato, oltre alla statuizione della sentenza di rinvio, la giurisprudenza di legittimità che evidenzia come debba, in ipotesi di “confisca atipica” ex art. 240-bis cod. pen., essere circoscritto un ambito di ragionevolezza temporale, dovendosi dar conto che i beni non siano “ictu ocufi” estranei rispetto al reato matrice perché acquistati in un periodo di tempo eccessivamente antecedente (in tal senso si sono pronunciate, tra le altre, Sez. 2, n. 52626 del 26/10/2018, COGNOME, Rv. 274468; Sez. F., n. 56596 del 03/09/2018, COGNOME, Rv. 274753-03; Sez. 5, n. 21711 del 28/02/2018, COGNOME, Rv. 272988) o successivo alla sua commissione.
Eseguita la citata perimetrazione, rilevato come il periodo da prendere in esame dovesse essere circoscritto a quello intercorrente tra il 2003 ed il 2013 (pagg. 12 e 13 sentenza), presi in esame i redditi di NOME COGNOME e del nucleo familiare nel periodo in argomento, dato atto che tra il 1979 ed il 1985, periodo in cui NOME COGNOME e la moglie avevano acquistato rilevanti risorse finanziarie, non fosse stato possibile, a causa dell’omesso reperimento di documentazione
bancaria, contabile e fiscale (lacuna connessa al tempo trascorso), ricostruire con precisione i flussi finanziari (pag. 15), apprezzate le sostanzialmente convergenti posizioni assunte sul punto dalla perizia d’ufficio e da quelle di parte (Procura della Repubblica e parti private), la Corte di appello ha ritenuto che gli acquisti intervenuti in detto periodo di tempo fossero proporzionati alle risorse finanziarie di NOME COGNOME e del suo nucleo familiare.
Conformandosi a quanto stabilito da questa Corte, i Giudici del merito hanno escluso che l’indagine sulla formazione della provvista economica finanziaria che aveva generato, per progressiva derivazione, il patrimonio dell’imputato nel periodo di “ragionevolezza temporale” potesse ampliarsi a ritroso; hanno, inoltre, evidenziato come l’onere di allegazione e, soprattutto, di prova gravante sull’imputato dovesse ritenersi progressivamente affievolito, fino ad essere sufficiente, in relazione ad acquisti effettuati in epoca remota, la sola prova dell’avere svolto attività economica o essere stato titolare di rapporti giuridici che, in astratto, siano idonei a generare la ricchezza.
Proprio la vetustà dei rapporti economici e dell’acquisto delle risorse frutto di plurime e variegate attività imprenditoriali nel campo dell’edilizia e gli investimenti finanziari, pertanto, che non si sono potuti analizzare con la dovuta precisione anche a causa del mancato reperimento di documentazione in ragione del lungo tempo trascorso, hanno consentito di ritenere che nessun elemento potesse avvalorare la tesi secondo cui il patrimonio accumulato a disposizione dell’imputato e dei congiunti fosse illecito.
A fronte di completa a e logica motivazione che ha dato conto del perché la provvista economica dell’imputato non potesse essere ulteriormente monitorata, rappresentando quali fossero i limiti incombenti sul Collegio di merito nel giudizio di rinvio, il ricorrente, senza alcun confronto con la logica e corretta perimetrazione che non costituisce oggetto di censura in sede di ricorso, rileva una manifestamente infondata e generica illogicità della motivazione e la violazione dall’art. 627, comma 3, cod. proc. pen..
I citati rilievi sono, invero, in palese contrasto proprio con le ragioni dell’annullamento, là dove la decisione di questa Corte aveva richiesto la previa perimetrazione del periodo da prendere in esame ed all’esito, alla luce di una attenta ed analitica valutazione, l’accertamento della sussistenza o meno (in detto periodo “ragionevole”) di sproporzione tra risorse finanziarie disponibili ed acquisti effettuati.
Nonostante la rilevata impossibilità di poter adeguatamente ricostruire le operazioni finanziarie, contabili e latu sensu economiche che avevano portato all’accumulo di un rilevante patrimonio in capo all’imputato nel periodo precedente
a quello cronologicamente perimetrato e ritenuto ragionevole, il ricorrente prospetta un illecito accumulo sulla base della sola incongruità delle dichiarazioni presentate ai fini fiscali in detto periodo (precedente a quello ritenuto dalla Corte territoriale “ragionevole”), pretendendo di far conseguire effetti utili, a cascata, sulla sproporzione negata con riferimento al periodo successivo, a partire dal 1 gennaio 2003.
Ed infatti, seppure questa Corte abbia rilevato che i termini di raffronto della sproporzione del denaro ai fini dell’applicazione della confisca prevista dall’art. 240-bis cod. pen., dei beni e delle altre utilità possedute dal condannato debbano fissarsi nel reddito dichiarato o nelle attività economiche esistenti al momento dei singoli acquisti, rispetto al valore dei beni di volta in volta acquisiti, potendo, i questa analisi, i saldi negativi di un anno essere riportati tra le passività delle annualità successive, non per effetto di mero trascinamento, ma solo dopo un’analitica valutazione del loro concreto impatto su tali successive annualità (Sez. 3, n. 38009 del 10/05/2019, Assisi, Rv. 278166 – 10), ciò riguarda il periodo di tempo che, non eccessivamente distante dal “reato spia”, consenta di ritenere legittima l’illazione – secondo i criteri di ragionevolezza cui fa riferimento la Corte costituzionale con sentenza n. 33 del 2018 – che il delitto per cui è intervenuta condanna sia idoneo a generare ricchezza e presenti un’attitudine a produrre, pur in assenza di specifici indici causali, accumulazioni sproporzionate rispetto all’accertata capacità reddituale del condannato e alle attività lecitamente svolte.
Nonostante la decisione di rinvio abbai ritenuto eccentrico l’ipotizzato reimpiego ex art. 648-ter cod. pen. di risorse provenienti da delitto in un periodo remoto rispetto al delitto di estorsione contrattuale posto in essere con modalità mafiose, il ricorrente Procuratore generale, senza prendere in esame la rilevata perimetrazione, reputa determinante proprio la censurata sproporzione tra redditi dichiarati ed entità degli acquisti relativi a periodo di tempo remoto, ritenuta, secondo quanto rilevato dai Giudici di merito, non significativa sul punto.
Eguale genericità e manifesta infondatezza si rinviene là dove il ricorrente deduce la carenza di motivazione in ordine alla revoca della confisca intervenuta nei confronti dei terzi (moglie e figli di NOME COGNOME) sul presupposto che le acquisizioni in questione sarebbero intervenute proprio nel periodo di dieci anni fissato dalla Corte di appello.
4.1. Innanzitutto, occorre precisare che anche in tal caso il ricorrente non prende in esame e confuta la ritenuta insussistente sproporzione tra patrimonio di cui disponeva il nucleo familiare (salvo rilevarne l’illegittimo accumulo di cui sopra) e gli acquisti effettuati in detto arco di tempo, circostanze che rende ex se il motivo generico (pagg. da 18 a 21).
È pur vero che la Corte territoriale, ai fini dell’accertamento della sussistenza dell’eventuale sproporzione, avrebbe potuto ritenere che, la sommatoria di tutti i beni acquisiti in detto periodo, comprensivi di quelli che si assume non siano stati analizzati ed appartenenti alla moglie ed ai figli, potessero condurre ad una differente valutazione sul punto, ma:
quanto alla moglie, la Corte territoriale ha fornito ampia spiegazione circa consistenza delle possidenze economiche complessive del nucleo familiare che disponeva, già prima del periodo “utile”, di ingente patrimonio (a cui si andava a sommare il cospicuo risarcimento conseguito a seguito di vittoriosa controversia intrapresa nei confronti di un istituto di credito) e gestiva plurime attivit imprenditoriali, in ordine alle quali nulla il ricorrente Procuratore generale prospetta in sede di legittimità onde confutare l’analitica valutazione effettuata dai Giudici di merito;
quanto ai figli, ferma restando analoga assenza di rilevata sproporzione specie per quel che riguarda NOME (pag. 23) che disponeva di proprie risorse, lo stesso ricorso si presenta manifestamente infondato nella parte in cui vorrebbe far discendere la prova della fittizietà dell’intestazione dei beni dalla figurativa presenza nello stato di famiglia dei figli, salvo poi censurare la mancanza di motivazione in ordine alla proporzionalità di detti acquisti che, invero, risultano effettuati – senza eccezione alcuna – in data successiva alla fuoriuscita di ognuno dal nucleo familiare.
4.2. Seppure la presunzione relativa circa l’illecita accumulazione patrimoniale, prevista nella speciale ipotesi di confisca di cui all’art. 240-bis cod. pen., operi, oltre che in relazione ai beni del condannato, anche per quelli intestati al coniuge e ai figli, qualora la sproporzione tra il patrimonio in capo a tali soggetti e l’attività lavorativa dagli stessi svolta, che rapportata alle ulteriori circostanz del fatto concreto, appaia dimostrativa della natura simulata dell’intestazione (Sez. 2, n. 23937 del 20/05/2022, Fasciani, Rv. 283177 – 01), non può non rilevarsi che la citata presunzione relativa non opera nel caso in cui il cespite sequestrato sia formalmente intestato ad un terzo, situazione che non tollera semplificazioni probatorie e deficit di accertamenti, né è consentito il solo riferimento all’indagine sulla sproporzione ed alla natura alternativa o cumulativa dei parametri richiamati dallo stesso art. 12-sexies cit. (Sez. 6, n. 49876 del 28/11/2012, COGNOME, Rv. 253957 – 01).
Proprio la sentenza di annullamento, che al citato principio ha specificamente fatto riferimento affinché il Giudice del rinvio si conformasse (pag. 82, punto 10.6, Sez. 2, n. 15551, del 04/11/2021), ha osservato come la Corte di appello avesse operato nella sentenza poi annullata, con riferimento alle posizione dei terzi interessati, una “semplificazione probatoria” che non si confrontava «con i principi
affermati dalla giurisprudenza di legittimità, sia con riguardo al riparto dell’onere probatorio, che all’assenza di puntuale confutazione delle prospettazioni condensate nelle relazioni tecniche di parte e negli scritti difensivi in punto di effettiva disponibilità dei beni in capo all’imputato e di ricostruzione analitica e dinamica dei flussi economici e dei dati patrimoniali”.
Generica, pertanto, si rivela la censura cumulativamente effettuata in ordine a tutti i congiunti di NOME COGNOME, là dove si assume essere rilevante la apoditticamente prospettata sproporzione patrimoniale e l’inclusione nello stato patrimoniale di famiglia dei figli (evenienza erronea proprio quanto ad acquisti di beni che si afferma non siano stati presi in considerazione da parte della Corte di appello), di fatto sottoponendo gli elementi probatori ad un precluso vaglio di questa Corte che il Giudice del rinvio ha dimostrato di aver correttamente effettuato.
Manifestamente infondata risulta la dedotta omessa valutazione del fatto che il figlio di NOME COGNOME, NOME COGNOME, sia stato condannato da parte del Tribunale di Salerno, vicenda che non riverbera effetti sulla accertata proporzione tra redditi del nucleo familiare di NOME COGNOME ed acquisti effettuati.
P.Q.M.