Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26596 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26596 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MELICUCCO il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 06/09/2023 del TRIBUNALE di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO per l’inammissibilità del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO che si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Catanzaro, Sezione per il riesame, con ordinanza del 6/9/2023, depositata il 19/10/2023, ha rigettato la richiesta di riesame e per l’effetto ha confermato l’ordinanza con la quale il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Catanzaro in data 11/8/2023 ha applicato la misura degli arresti domiciliari nei confronti di COGNOME NOME in relazione al reato di cui agli artt. 56, 575, 577, comma primo nr. 3 e 4 cod. pen.
Il ricorrente è sottoposto a indagini in relazione al tentato omicidio commesso a Corigliano Calabro il 25 luglio 2017 in danno di NOME COGNOME, che aveva testimoniato in un processo per estorsione, da due persone in scooter che hanno sparato vari colpi di arma da fuoco nei confronti della persona offesa
mentre questa era in macchina all’interno di un parcheggio di un centro commerciale.
Il procedimento, in origine iscritto a carico di ignoti, nel quale erano state acquisite solo le immagini video, è stato inizialmente archiviato.
Successivamente in ordine ai fatti ha reso dichiarazioni NOME COGNOME, collaboratore di giustizia.
Lo stesso ha riferito di avere partecipato all’azione come autista di un furgone di appoggio e che gli altri due autori, le persone abbordo dello scooter, erano NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Nello specifico ha dichiarato di essere stato coinvolto da NOME COGNOME che una volta, mentre erano in un bar di Brescia, dopo aver parlato con COGNOME, gli aveva chiesto se era disponibile a “fare un lavoro delicato” insieme a COGNOME per 20.000,00 euro.
Ha riferito inoltre che COGNOME non gli aveva detto di cosa si trattava e che lui aveva risposto che avrebbe dovuto pensarci. Dopo alcuni giorni, aveva dato la sua disponibilità e quindi aveva parlato direttamente con COGNOME che gli aveva detto che avrebbero dovuto andare insieme in Calabria.
Secondo la ricostruzione del collaboratore di giustizia il viaggio, a sua richiesta, era stato rinviato e, quindi, COGNOME e anche COGNOME si sarebbero in qualche modo lamentati di questo suo comportamento.
Quando finalmente era andato in Calabria con COGNOME aveva saputo cosa avrebbero dovuto fare.
A fronte di tali dichiarazioni il pubblico ministero ha richiesto l’applicazione della misura degli arresti domiciliari nei confronti di COGNOME che il giudice per le indagini preliminari ha disposto.
La contestazione all’attuale ricorrente è nel senso di avere concorso nella commissione del reato per avere partecipato alla fase della programmazione in provincia di Brescia e di avere effettuato un primo sopralluogo a Corigliano Calabro con COGNOME.
L’indagato ha chiesto il riesame dell’ordinanza che il Tribunale ha rigettato.
La difesa ha censurato la ritenuta sussistenza di gravi indizi rilevando, da una parte, che non vi sarebbero elementi da quali poter desumere che il ricorrente avesse conoscenza e consapevolezza di quale fosse il “lavoro delicato” che COGNOME avrebbe dovuto fare e, dall’altra, che comunque non vi sarebbero elementi di riscontro individualizzanti alle dichiarazioni accusatorie rese da COGNOME nei confronti di COGNOME.
Il Tribunale ha ritenuto infondato il riesame ritenendo che dalle dichiarazioni del collaboratore emerge che COGNOME sapeva quale fosse la natura del lavoro delicato da fare in quanto si era interessato di creare il contatto e ne aveva parlato con COGNOME, con il quale si era recato in Calabria alcuni giorni prima dell’azione, tanto che proprio nel corso di tale viaggio aveva chiamato COGNOME per sollecitarlo a dare corso all’impegno che aveva assunto con COGNOME.
Quanto agli elementi di riscontro, poi, il giudice del riesame ha valorizzato la telefonata che il ricorrente ha effettuato dalla Calabria.
4.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 292, comma 2 lett. c) e c bis), 273, 192, comma 3, cod. proc. pen. e 56 e 575 cod. pen. in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza con riferimento all’inesistenza di elementi di riscontro individualizzanti quanto alla compartecipazione consapevole del ricorrente all’azione criminosa. Nel secondo motivo la difesa evidenzia che i giudici di merito non avrebbe proceduto alla corretta verifica quanto alla sussistenza di elementi esterni individualizzanti idonei a concludere nel senso dell’attendibilità estrinseca delle dichiarazioni rese dal collaboratore. Gli elementi indicati, le immagini di videosorveglianza sul posto dell’agguato relative alla dinamica dei fatti e i tabulati afferenti il viaggi
effettuato in Calabria da COGNOME COGNOME COGNOME alcune settimane prima, infatti, sarebbero neutre quanto alla responsabilità e al coinvolgimento del ricorrente nella commissione del reato.
4.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 291, comma 1, 292, comma 2 lett. c) bis, 178, comma 1 lett. c), e 191 cod. proc. pen. con riferimento alla ritenuta utilizzabilità dei tabulati telefonici a sostegno del giudizio di attendibilità delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Nel terzo e ultimo motivo la difesa censura la conclusione del Tribunale quanto alla ritenuta utilizzabilità dei tabulati telefonici che non sarebbero stati trasmessi con gli atti e che risulterebbero solo indicati in una informativa redatta dalla polizia giudiziaria. Tali atti, d’altro canto, di cui la difesa ha espressamente richiesto la copia, sarebbero stati messi a disposizione della parte solo il giorno dell’udienza e, pertanto, questo, anche considerato che non sarebbe affatto vero che erano comunque disponibili sul TIAP, renderebbe nulla sia l’ordinanza impugnata che quella originaria, emessa in assenza di una fonte di prova.
In data 23 aprile 2023 sono pervenuti in cancelleria i motivi nuovi nei quali l’AVV_NOTAIO insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso evidenziando che la lettura delle trascrizioni integrali degli interrogatori resi dal collaboratore di giustizia, anche se omissate, confermerebbero quanto evidenziato nel ricorso, cioè che la conclusione cui è pervenuto il Tribunale del ·riesame è il frutto di una congettura.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti che seguono.
Nei primi due motivi, poi ulteriormente illustrati nei motivi nuovi, la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza con riferimento alla ritenuta consapevolezza del ricorrente circa la natura dell’azione che il collaboratore avrebbe dovuto compiere in concorso con NOME COGNOME e quanto all’esistenza di riscontri esterni individualizzanti alle dichiarazioni accusatorie rese da NOME COGNOME.
Le doglianze sono fondate.
2.1. La formulazione dell’accusa e conseguentemente la decisione assunta dal Tribunale, come espressamente evidenziato nel provvedimento impugnato, si fonda su quattro fonti di prova.
La denuncia della persona offesa.
I filmati del sistema di videosorveglianza del luogo dove si sono svolti i fatti.
Le dichiarazioni rese NOME COGNOME, che ha affermato di essere uno degli autori materiali del reato.
Gli esiti delle indagini svolte, consistite essenzialmente in acquisizione di tabulati di utenze telefoniche e di cella.
Il coinvolgimento del ricorrente nei fatti, nello specifico, è desunto dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, ritenute sul punto adeguatamente riscontrate.
2.2. L’art. 192 cod. proc. pen. nei commi 3 e 4 indica i criteri di valutazione della chiamata in correità o in reità, diretta o de relato evidenziando che le dichiarazioni etero accusatorie rese da un coimputato o imputato in procedimento connesso o collegato devono trovare conferma in altri elementi di prova, con conseguente accentuazione, in ossequio alla previsione di cui al comma 1 dello stesso articolo, dell’obbligo di motivazione del convincimento del giudice.
La corretta individuazione dei criteri indicati nella norma, che costituisce la trasposizione legislativa dell’elaborazione della giurisprudenza di legittimità antecedente l’entrata in vigore del codice del 1989, è stata oggetto di numerose sentenze di questa Corte e, principalmente, di tre pronunce delle Sezioni Unite.
2.2.1. Da principio le Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, dep. 22/02/1993, Marino, Rv. 192465, hanno evidenziato che la corretta valutazione del mezzo di prova deve essere articolato dal giudice di merito in tre tempi:
prima deve essere verificata la credibilità soggettiva del dichiarante, desunta dalla sua personalità, dalle sue condizioni socioeconomiche e familiari, dal suo passato, dai rapporti col chiamato, dalla genesi remota e prossima delle ragioni che lo hanno indotto all’accusa nei confronti del chiamato;
in un secondo momento si deve procedere alla valutazione dell’attendibilità intrinseca della chiamata, in base ai criteri della precisione, della coerenza, della costanza, della spontaneità;
da ultimo si effettua la verifica esterna dell’attendibilità della dichiarazione, attraverso l’esame di elementi estrinseci di riscontro alla stessa.
Come specificato successivamente dalla giurisprudenza di questa Corte, d’altro canto, i tre tempi indicati non delineano una sequenza rigorosamente rigida in quanto il percorso valutativo dei vari passaggi non deve, e spesso non può, muoversi lungo linee separate.
La credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva del suo racconto, influenzandosi reciprocamente, al pari di quanto accade per ogni altra prova dichiarativa, ad esempio, devono essere valutate unitariamente e ciò in
quanto l’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., non pone alcuna deroga al riguardo (cfr. Sez. 4, n. 34413 del 8/06/2019, Khess, Rv. 276676 – 01 Sez. 1, n. 22633 del 05/02/2014, COGNOME, Rv. 262348 – 01; Sez. 1, n. 19759 del 17/05/2011, COGNOME, n. m. sul punto; Sez. 6, n. 11599 del 13/03/2007, COGNOME, Rv. 236151) così che le eventuali riserve circa l’attendibilità del narrato, vagliata la valenza probatoria anche alla luce di tutti gli altri elementi di informazione legittimamente acquisiti, possono essere superate.
2.2.2. L’operazione logica di verifica giudiziale al fine di ritenere che la chiamata possa assurgere a prova idonea a giustificare l’affermazione di responsabilità si deve concludere con la verifica circa l’esistenza di riscontri esterni, convergenti e individualizzanti in relazione al fatto che forma oggetto dell’accusa e alla specifica condotta criminosa dell’incolpato e in tal caso, qualora la dichiarazione sia de relato, il controllo narrativo della stessa e della sua efficacia dimostrativa deve essere particolarmente rigoroso e approfondito essendo necessario, per la natura indiretta dell’accusa, un più attento e approfondito controllo del contenuto (cfr. Sez. U, Sentenza n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255145 – 01; Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, COGNOME, Rv. 226090).
In ordine alla tipologia e all’oggetto dei riscontri, come affermato dalle Sezioni Unite, deve ritenersi che la genericità dell’espressione “altri elementi di prova” utilizzata dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. legittimi l’interpretazione secondo cui in questa materia vige il principio della “libertà dei riscontri”, nel senso che questi, non essendo predeterminati nella specie e nella qualità, possono essere di qualsiasi tipo e natura così da poter essere costituiti non soltanto da prove storiche dirette, ma da ogni altro elemento probatorio, anche indiretto, legittimamente acquisito al processo e idoneo, anche sul piano della mera consequenzialità logica, a corroborare, nell’ambito di una valutazione probatoria unitaria, il mezzo di prova ritenuto ex lege bisognoso di conferma.
Il riscontro, d’altro canto, non deve integrare ex se la prova del fatto in quanto, se così fosse, l’elemento perderebbe la sua funzione e gregaria e sarebbe da solo sufficiente a sostenere il convincimento del giudice facendo nella sostanza venire meno la necessità della prova principale, da sola non sufficiente.
L’unico dato certo, evincibile dalla previsione letterale dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., è costituito dall’esigenza che i riscontri alle devono essere caratterizzati dalla necessaria estraneità, devono cioè essere esterni, rispetto alla dichiarazione stessa.
Tenuto conto della mancanza di qualsiasi indicazione normativa in senso contrario, d’altro canto, deve escludersi che i riscontri debbano essere necessariamente di natura diversa rispetto alla categoria probatoria considerata.
La norma, infatti, fa riferimento ad “altri” elementi di prova, da intendersi come elementi “ulteriori”, da utilizzare in chiave corroborativa, il che chiarisce che si è inteso evocare un parametro meramente quantitativo e non qualitativo di tali elementi, senza alcuna pretesa di una imprescindibile differenziazione di tipo ontologico dei medesimi rispetto alla prova dichiarativa da riscontrare.
Ciò posto, il riscontro estrinseco alla chiamata in correità o in reità, diretta o de relato, ben può essere offerto dalle dichiarazioni di analoga natura rese da uno o più degli altri soggetti indicati nella norma in quanto elemento probatorio, diretto o indiretto che sia, purché estraneo alle dichiarazioni da riscontrare, può essere legittimamente utilizzato a conferma dell’attendibilità delle stesse.
In tale prospettiva, pertanto, il riscontro di qualsivoglia chiamata, sia esse diretta o indiretta, può essere costituito anche da una diversa e seconda chiamata, anche se questa è del pari de relato, ciò in quanto nessuna norma processuale prevede una tale limitazione al principio del libero convincimento del giudice (Sez. U, Sentenza n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255145 – 01 da ultimo cfr. Sez. 1, n. 41238 del 26/06/2019, COGNOME, Rv. 277134 – 01).
2.2.3. Nel caso in cui non siano emersi ovvero non siano stati acquisiti elementi di riscontro su di un segmento significativo della narrazione, ovvero addirittura esistano elementi di chiara smentita tali da incidere sull’attendibilità di quanto dichiarato, il giudice di merito, tenendo conto degli elementi di fatto chiaramente antagonisti rispetto ai contenuti narrativi portati dal dichiarante, è tenuto a esporre in modo logico i criteri adoperati per realizzare, ove ciò sia possibile, il c.d. frazionamento della dichiarazione complessa.
Tale operazione, però, non si riferisce a situazioni nelle quali l’elemento di smentita sia irrilevante, quando cioè questo si riferisce a un aspetto marginale nell’economia del racconto (Sez. 1, n. 34102 del 14/07/2015. Barraco, Rv. 264368 – 01) quanto, piuttosto, laddove la smentita sia su un fatto specifico rilevante e la narrazione sia stata positivamente vagliata in riferimento ad altri episodi storici.
Il limite intrinseco della frazionabilità, infatti, è rappresentato dall complessità e articolazione della dichiarazione che, per essere frazionabile, deve avere ad oggetto episodi storici autonomi e distinti, non intimamente correlati.
Ciò in quanto la c.d. valutazione frazionata delle dichiarazioni accusatorie (per la quale l’attendibilità del dichiarante, anche se denegata per una parte del suo racconto, non viene necessariamente meno con riguardo alle altre parti, quando queste reggano alla verifica giudiziale del riscontro), in tanto è ammissibile in quanto non esista un’interferenza fattuale e logica fra la parte del narrato ritenuta falsa e le rimanenti parti che siano adeguatamente riscontrate.
Detta interferenza, peraltro, si verifica solo quando fra la prima parte e le altre esista un rapporto di causalità necessaria ovvero quando l’una sia imprescindibile antecedente logico dell’altra (Sez. 5, n. 46471 del 19/10/2015, COGNOME, Rv. 265874 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 40000 del 10/07/2013, COGNOME, Rv. 256917 – 01; Sez. 6, n. 35327 del 18/07/2013, COGNOME, Rv. 256097 – 01 Sez. 1, n. 16723 del 16/03/2001, COGNOME, Rv. 218720 – 01).
2.3. Nel caso di specie il Tribunale, che pure risulta avere coerentemente effettuato la valutazione circa la credibilità intrinseca della chiamata di correo, adeguatamente confermata dal tenore della denuncia della persona offesa, dalle videoriprese in atti e anche dalle ulteriori indagini effettuate, ha fornito una risposta carente quanto alla ritenuta consapevolezza del ricorrente in ordine all’azione da compiere e non ha dato adeguato conto dell’esistenza dei necessari elementi di riscontro individualizzanti direttamente riferibili al ricorrente.
2.3.1. A fronte della ritenuta attendibilità delle dichiarazioni rese dal collaboratore -che ha specificato che il ricorrente non aveva saputo in cosa consistesse il “lavoro delicato”, pure ribadita raccontando la circostanza che l’indagato aveva interrotto i rapporti con COGNOME proprio perché aveva coinvolto lo stesso COGNOME in una cosa così grave- l’affermazione per cui “appare inverosimile sostenere che COGNOME non avesse contezza del lavoro delicato proposto al COGNOME” è apodittica.
Questa, infatti, in assenza di specifici elementi e di un’adeguata spiegazione sul punto, si fonda su di un argomento, la considerazione secondo la quale “dalle parole del COGNOME si evince che in quel momento COGNOME non sapeva in cosa consistesse esattamente il lavoro delicato, ma ne conosceva il valore (illecito) di ventimila euro”, costituito da una mera congettura.
Ciò anche considerato che lo stesso collaboratore ha dichiarato di avere saputo in cosa consisteva il lavoro solo il giorno prima dell’azione e, come risulta pag. 11 dell’ordinanza, che “..COGNOME non sapeva in cosa consisteva esattamente questo lavoro ma mi disse che mi avrebbe dato 20.000, euro …”
2.3.2. La motivazione circa il rilievo di elemento di riscontro esterno individualizzante attribuito al viaggio effettuato in Calabria dal ricorrente e COGNOME è contraddittoria.
L’affermazione per cui il viaggio stesso avvalora comunque la tesi che i due erano insieme durante la chiamata per lamentarsi con NOME del fatto che non era ancora pronto ad agire è la conclusione di un ragionamento circolare nel quale ciò che deve essere riscontrato, quanto dichiarato circa la condotta concorsuale tenuta dal ricorrente, è utilizzato come chiave di lettura del valore da riconoscere all’elemento indicato come riscontro.
A fronte della considerazione per cui non emerge chiaramente dagli atti se i due si erano recati in Calabria a fare un giro di perlustrazione o, piuttosto, per motivi familiari, infatti, non risulta corretto fondare la conclusione che COGNOME “non poteva non conoscere i dettagli de/lavoro delicato” sulla considerazione che questo “rimane colui che ha proposto a COGNOME di compiere un lavoro delicato per conto di COGNOME“.
Ciò in quanto in tal modo lo stesso fatto da riscontrare, le dichiarazioni del collaboratore in ordine alla partecipazione del ricorrente (di averlo cioè coinvolto nella commissione del delitto), è così usato come l’argomento significativo sul quale si regge il riscontro stesso.
2.4. Le ragioni esposte impongono l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Catanzaro affinché, libero nel merito, proceda a un nuovo giudizio.
Il terzo motivo – nel quale la difesa deduce la nullità dell’ordinanza impugnata per la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione agli artt. 291, comma 1, 292, comma 2 lett. c) bis, 178, comma 1 lett. c), e 191 cod. proc. pen. con riferimento alla ritenuta utilizzabilità dei tabulati telefonici sostegno del giudizio di attendibilità delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia – è in parte infondato e in parte assorbito dal disposto annullamento.
3.1. La censura secondo la quale il deposito delle sole informative e annotazioni nelle quali la polizia giudiziaria riferisce dei tabulati senza che a queste siano allegati anche i tabulati stessi determinerebbe la nullità dell’ordinanza genetica è infondata.
L’art. 291, comma 1, cod. proc. pen., infatti, non impone al pubblico ministero che richiede l’applicazione di misure cautelari la trasmissione di tutti gli atti, ma soltanto di quegli elementi su cui la richiesta si fonda, nonché degli elementi a favore dell’imputato e degli eventuali atti già depositati dalla difesa (Sez. 3, n. 19198 del 05/02/2015, Rv. 263798; con specifico riferimento ai decreti autorizzativi cfr. Sez. 6, n. 21872 del 02/07/202, COGNOME, Rv. 279558 01).
Nello stesso senso, d’altro canto, anche l’omesso deposito della medesima documentazione al Tribunale del riesame non è sanzionato da nullità o inutilizzabilità, dovendosi ritenere sufficiente la trasmissione, da parte dell’organo dell’accusa, di una documentazione anche sommaria e informale, che dia conto sinteticamente del contenuto degli elementi e delle conversazioni riferite negli atti della polizia giudiziaria, fatto salvo l’obbligo del Tribunale fornire congrua motivazione in ordine alle eventuali difformità specificamente
indicate dalla parte (Sez. 6, n. 22570 del 11/04/2017, Cassese, Rv. 270036 01)
Sotto altro profilo, d’altro canto, si deve rilevare che la difesa, che ha comunque ottenuto copia degli atti dal pubblico ministero prima della celebrazione dell’udienza avanti al Tribunale, non ha evidenziato nel ricorso alcuna specifica difformità tra il contenuto degli atti inizialmente tramessi e quelli ottenuti solo in un secondo momento.
3.2. Le censure in ordine al valore indiziario da attribuire ai tabulati, afferendo il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, sono assorbite nell’annullamento.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro, Sezione per il riesame.
Così deciso a Roma il 19 marzo 2024.