Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18426 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18426 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME, nato a Mesoraca il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 12/10/2023 del Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME AVV_NOTAIO, il quale ha concluso chiedendo che la sentenza impugnata sia annullata con rinvio;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 12/10/2023, il Tribunale di Catanzaro rigettava la richiesta di riesame che era stata proposta da NOME COGNOME contro l’ordinanza del 14/09/2023 del G.i.p. del Tribunale di Catanzaro con la quale era stata applicata, nei confronti dello stesso NOME COGNOME, la misura della custodia cautelare in carcere per essere egli gravemente indiziato dei reati di partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti di cui al cap 19) dell’imputazione provvisoria (associazione che, secondo l’assunto accusatorio, faceva capo a NOME COGNOME) e dei due reati-fine di cessione illecita di sostanze stupefacenti di cui ai capi 61) e 63) dell’imputazione provvisoria, avuto riguardo al pericolo che il suddetto indagato commettesse altri delitti della stessa specie.
Avverso tale ordinanza del 12/10/2023 del Tribunale di Catanzaro, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza di motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato di partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti di cui al cap 19) dell’imputazione provvisoria.
Il ricorrente lamenta che il Tribunale di Catanzaro, dopo avere argomentato in ordine all’esistenza di tale associazione, senza trattare della sua posizione, passando a motivare i gravi indizi della sua adesione al sodalizio criminoso – e, in particolare, del suo ruolo di fornitore di marijuana dello stesso sodalizio – avrebbe valorizzato il corpus indiziario relativo ai capi 58) e 59) dell’imputazione provvisoria, nonostante tali capi non gli fossero stati contestati e nonostante dal suddetto corpus nulla effettivamente emergesse in ordine al suo ritenuto ruolo associativo.
Ciò posto, il ricorrente deduce che la motivazione del Tribunale di Catanzaro con riguardo a tale ruolo sarebbe poi consistita solo in un generico richiamo all’ordinanza genetica del G.i.p. del Tribunale di Catanzaro, a chiusura dell’esposizione dei gravi indizi di colpevolezza dei due reati-fine a lui contestati a capi 61) e 63) dell’imputazione provvisoria, dalla quale contestazione, tuttavia, come esposto nel secondo motivo, emergerebbe solo il coinvolgimento del proprio fratello NOME COGNOME, e non il proprio, con la conseguenza che la motivazione dell’ordinanza impugnata in ordine ai gravi indizi di colpevolezza della sua partecipazione all’associazione criminosa sarebbe meramente apparente.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il vizio della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dei reati di cessione illecita d sostanze stupefacenti di cui ai capi 61) e 63) dell’imputazione provvisoria.
2.2.1. Quanto alla cessione contestata al capo 61), in favore di NOME COGNOME, del 14/02/2020, il ricorrente lamenta che il Tribunale di Catanzaro avrebbe omesso di rilevare che, dal contenuto delle conversazioni intercettate, era emerso che alla trattativa per la cessione dello stupefacente aveva partecipato solo il fratello NOME COGNOME, senza alcun suo coinvolgimento nella stessa trattativa, e che lo stesso Tribunale, nel valorizzare l’indicazione, da parte del fratello NOME COGNOME al COGNOME, quale luogo dello scambio della droga, della «strada nei pressi dell’abitazione di suo fratello NOME», non avrebbe considerato che la stessa indicazione non significava che all’appuntamento dovesse partecipare NOME COGNOME.
Il ricorrente contesta poi la valorizzazione, da parte del Tribunale di Catanzaro, del riferimento, fatto da NOME COGNOME, ai «”Puffi”» come a coloro che gli avevano consegnato poco prima lo stupefacente, sull’assunto che il COGNOME stesse «probabilmente alludendo alla statura dei NOME COGNOME, che per come indicato dal Gip sono alti, rispettivamente, 165 cm e 160 cm». Il ricorrente deduce al riguardo che egli «con la sua statura di 165 centimetri è ben lungi dall’essere un nanetto, paragonabile (come fa il COGNOME) agli ometti del cartone animato giapponese» e che, «e vi fosse stata interlocuzione con COGNOME NOME, oltretutto, il COGNOME non avrebbe esitato a fare concreti riferimenti a COGNOME NOME con COGNOME NOME (l’unico con il quale si è relazionato) o con gli altri sodali».
Per tali ragioni, la motivazione della gravità indiziaria nei suoi confronti de reato di cui al capo 61) dell’imputazione provvisoria sarebbe meramente apparente.
2.2.2. Quanto alla cessione contestata al capo 63), sempre in favore di NOME COGNOME, del 06/06/2020, il ricorrente deduce che l’unico indizio a proprio carico sarebbe costituito dal contenuto della sua telefonata delle ore 13:52 dello stesso 06/06/2020 a NOME COGNOME, nella quale egli disse al COGNOME «se vuoi cominciare il lavoro lo facciamo», atteso che, nelle altre intercettate conversazioni riportate dal Tribunale di Catanzaro e intercorse tra NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, egli non era stato mai chiamato in causa.
Il ricorrente lamenta quindi il carattere apparente della motivazione, atteso che il contenuto della suddetta conversazione con NOME COGNOME delle ore 13:52 «può al più comportare un’ipotesi ex art. 115 c.p., ben diversa dall’offerta in vendita di stupefacente o, peggio, da una vera e propria cessione» e che il Tribunale di Catanzaro non avrebbe spiegato perché, «in assenza di altri indizi a carico di NOME NOME, egli debba essere ritenuto responsabile della cessione di 50 grammi di marijuana solo per il riferimento ad un lavoro ipotetico da fare nel futuro e non nella data della captazione telefonica, che, coincide anche con il tempus commissi delicti secondo il postulato accusatorio condiviso dal Tribunale della libertà».
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, con riguardo alle ritenute esigenze cautelari, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., l’illogicità della motivazione, e, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 275, comma 3, dello stesso codice.
Il ricorrente deduce che il Tribunale di Catanzaro avrebbe erroneamente ritenuto che sia onere della difesa dell’indagato dimostrare che la presunzione relativa di adeguatezza della misura cautelare carceraria in caso di sussistenza di gravi indizi di colpevolezza del reato di cui all’art. 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n 309, possa essere superata.
Il COGNOME deduce altresì che, nella memoria che era stata depositata dalla propria difesa nel corso dell’udienza di riesame – e che sarebbe stata del tutto ignorata dal Tribunale di Catanzaro – aveva allegato l’esistenza di elementi dai quali sarebbe risultato che le esigenze cautelari potevano essere soddisfatte con altre misure, segnatamente, il fatto che, a sostegno dell’accusa per il reato associativo, vi erano solo due reati-fine.
Inoltre, il Tribunale di Catanzaro avrebbe reso una motivazione anapodittica in ordine al cosiddetto “tempo silente”, il quale avrebbe dovuto essere adeguatamente valutato, tenuto conto che non vi sarebbe stato alcun elemento che consentisse di ritenere che egli, a distanza dì quattro anni dai fatti, mantenesse contatti con gli acquirenti della sostanza stupefacente e con gli altri sodali, e che, anzi, l’assenza di proprie condotte penalmente rilevanti durante il suddetto “tempo silente” era idonea a smentire la perduranza del vincolo associativo.
Sempre secondo il ricorrente, avrebbe altresì rilievo il fatto che le eseguite perquisizioni personale e domiciliare avevano avuto esito negativo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Occorre preliminarmente rammentare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo chiarito che, «n tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie» (Sez. U., n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 21582801).
Tale orientamento, dal quale il Collegio non ha ragione di discostarsi e al quale intende, perciò, dare continuità, è stato ribadito anche in pronunce più recenti di questa Corte (tra le altre: Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 25546001; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, COGNOME, Rv. 237012-01).
Da ciò consegue che «’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 stesso codice è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge od in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. (In motivazione, la S.C. ha chiarito che il
contro
llo di legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, n l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanz e concludenza dei dati probatori, onde sono inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito)» (tra le altre: Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400-01).
Ciò rammentato, il Collegio ritiene di dovere scrutinare, anzitutto, il secondo motivo.
Esso è manifestamente infondato.
2.1. Quanto ai ritenuti gravi indizi di colpevolezza della cessione di sostanza stupefacente del 14/02/2020 contestata al ricorrente al capo 61) dell’imputazione provvisoria, il Collegio rileva che, dalla motivazione dell’ordinanza impugnata, emerge che il Tribunale di Catanzaro ha ravvisato i suddetti gravi indizi sulla scorta: a) del contenuto della telefonata del 12/02/2020 fatta da NOME COGNOME a NOME COGNOME; b) del contenuto della conversazione del 14/02/2020 nell’abitazione di NOME COGNOME sempre tra gli stessi NOME COGNOME e NOME COGNOME, nel corso della quale, dopo che i due uomini avevano concordato la cessione della droga nella stessa giornata, NOME COGNOME indicava, come luogo dello scambio, «la strada nei pressi dell’abitazione di suo fratello NOME, sita in INDIRIZZO» (di Mesoraca); c) del contenuto della successiva conversazione sempre del 14/02/2020 nell’abitazione di NOME COGNOME nel corso della quale, dopo che NOME COGNOME aveva lasciato la stessa abitazione, il COGNOME riferiva al sopraggiunto NOME COGNOME di avere concordato con NOME COGNOME che quel giorno avrebbe prelevato mezzo chilo di marijuana, conversazione nella quale successivamente figura anche un riferimento a «NOME», là dove, nel conversare con la propria compagna NOME COGNOME, il COGNOME, all’affermazione della COGNOME «te ne deva dare un poco di più», replicava «gliel’ho detto, mo così gli parlo con NOME NOME»; d) dal contenuto della successiva conversazione, intercettata sempre lo stesso 14/02/2020 e sempre all’interno dell’abitazione del COGNOME, in cui questi, parlando con NOME COGNOME, lodava la qualità dello stupefacente del quale si era approvvigionato, riferendosi ai propri fornitori come ai “Puffi”, secondo il Tribunale di Catanzaro, «probabilmente alludendo alla statura dei NOME COGNOME, che per come indicato dal Gip sono alti, rispettivamente, 165 cm e 160 cm». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con riguardo a tale valutazione di gravità indiziaria, il Collegio osserva che, se è vero che, come è stato evidenziato dal ricorrente, la trattativa per la cessione della sostanza stupefacente risulta essere stata condotta dal solo NOME COGNOME, tuttavia, sia la frase pronunciata dal COGNOME «gliel’ho detto mo così gli parlo con NOME NOME» in replica alla sollecitazione della compagna NOME COGNOME «te ne deve dare un poco di più» – sollecitazione e frase che risultano pronunciate nel
contesto di un discorso che aveva per evidente oggetto il programmato scambio della droga – sia il riferimento fatto dallo stesso COGNOME, al plurale, ai «Puffi», com ai fornitori dai quali aveva poco prima ottenuto lo stupefacente, costituiscano il fondamento di una motivazione non illogica dei gravi indizi della partecipazione anche di NOME COGNOME (oltre che del fratello NOME COGNOME) allo scambio dello stupefacente.
Quanto alla contestata identificazione dei due NOME COGNOME con i «Puffi» fornitori della droga, essa, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, appare del tutto logica, atteso che, dagli indicati elementi indiziari, risultava che la trattativa pe fornitura della droga era stata senza dubbio condotta da NOME COGNOME, sicché, con l’affermare che la stessa droga era stata fornita dai «Puffi», il COGNOME non poteva che fare riferimento allo stesso NOME COGNOME e, atteso l’uso del plurale e il già ricordato intento manifestato dal COGNOME di parlare con «NOMENOME per avere più droga, anche a NOME COGNOME, utilizzando un soprannome che appare quindi in realtà effettivamente alludere alla non alta statura di entrambi i due NOME.
2.2. Quanto ai ritenuti gravi indizi di colpevolezza della cessione di sostanza stupefacente del 06/06/2020 contestata al ricorrente al capo 63) dell’imputazione provvisoria, il Collegio rileva che, dalla motivazione dell’ordinanza impugnata, emerge che il Tribunale di Catanzaro ha ravvisato i suddetti gravi indizi sulla scorta: a) del contenuto della telefona fatta dal ricorrente NOME COGNOME a NOME COGNOME alle ore 13:52 del 06/06/2020 nella quale, utilizzando, secondo il Tribunale di Catanzaro, «un linguaggio convenzionale», il primo disse al secondo «se vuoi cominciare il lavoro lo facciamo», al che il COGNOME replicava che quello stesso giorno avrebbe fatto una «camminata»; b) dal fatto che – dopo che, come risultava dagli acquisiti filmanti ripresi da una telecamera, il COGNOME e NOME COGNOME si erano allontanati insieme dall’abitazione del COGNOME alla successive ore 13:55, per farvi poi rientro alle ore 15:00 – il COGNOME, insieme con il COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME si dedicarono alle operazioni di suddivisione, pesatura e confezionamento di stupefacente, con il COGNOME che, come pure risultava dalle conversazioni registrate, riferiva il prezzo che aveva pagato per la sostanza stupefacente che stava maneggiando e indicava il prezzo al quale avrebbe potuto rivenderla.
Con riguardo a tale valutazione di gravità indiziaria, il Collegio osserva che l’utilizzazione, nella telefonata tra il ricorrente e NOME COGNOME, di un linguaggio evidentemente convenzionale e criptico – con il riferimento a un «lavoro» da fare e alla «camminata» che il COGNOME avrebbe fatto, in relazione a tale lavoro, quello stesso giorno – e la successiva disponibilità, da parte del COGNOME, poche ore dopo la suddetta telefonata e dopo che egli si era allontanato da casa e vi aveva poi fatto ritorno (insieme con il COGNOME), di un consistente quantitativo di
stupefacente ancora da suddividere, pesare e confezionare, del quale il COGNOME riferiva ai propri interlocutori il prezzo che aveva pagato, costituiscano fondamento di una motivazione non illogica del fatto che l’oggetto dei summenzionati «lavoro» e «camminata» era costituito proprio dallo scambio della droga di cui, poco dopo, il COGNOME è risultato essere in possesso e, quindi, dei gravi indizi della cessione della stessa droga da parte di NOME COGNOME a NOME COGNOME.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
Quanto al corpus indiziario relativo ai capi 58) e 59) dell’imputazione provvisoria che è stato valorizzato dal Tribunale di Catanzaro, è vero che – come lo stesso Tribunale non ha peraltro mancato di evidenziare – i due episodi delittuosi di cui ai suddetti capi 58) e 59 non erano stati contestati a NOME COGNOME.
Tuttavia, lo stesso Tribunale ha motivato come, dal contenuto delle conversazioni intercettate, emergesse come NOME COGNOME, al di là dei due specifici episodi delittuosi, fosse un fornitore continuativo dell’associazione criminosa, insieme con il fratello NOME COGNOME, e come i membri della stessa associazione potessero contare, al bisogno, sulla disponibilità del ricorrente. Tale interpretazione e valutazione del contenuto delle suddette conversazioni non appare manifestamente illogico, sicché esse non possono essere sindacate in questa sede di legittimità prospettando, come fa il ricorrente, quella che altro non è che una lettura alternativa dello stesso contenuto.
Si deve poi osservare che il Tribunale di Catanzaro ha ritenuto la sussistenza dei gravi indizi della partecipazione del ricorrente all’associazione finalizzata a traffico di stupefacenti che faceva capo a NOME COGNOME anche in considerazione del fatto che, anche dal corpus indiziario relativo ai due reati di cessione illecita di sostanza stupefacente di cui ai capi 61) e 63) dell’imputazione provvisoria, era emerso come NOME COGNOME fosse, insieme con il fratello NOME COGNOME, lo stabile fornitore di marijuana dell’associazione.
Tale conclusione, ad avviso del Collegio, appare legittimata dagli elementi, che in parte si sono già evidenziati esaminando il secondo motivo, oltre che della pluralità degli episodi di cessione e dei quantitativi di droga che ne hanno costituito l’oggetto: a) dell’esistenza di un evidentemente già elaborato linguaggio convenzionale utilizzato da NOME COGNOME e dal capo dell’associazione NOME COGNOME nelle proprie conversazioni relative alla fornitura della marijuana («lavoro»; «camminata»); b) dell’esistenza di un evidentemente già collaudato modus operandi in ordine all’effettuazione di tal forniture (la «camminata» che, senza ulteriori specificazioni, stava a indicare le modalità con le quali lo scambio sarebbe avvenuto); c) la frase, pronunciata da NOME COGNOME, «questa è uno spettacolo veramente … non c’è niente per nessuno … i “Puffi” sono i “Puffi”» (pag. 18
dell’ordinanza impugnata), la quale appare mostrare un apprezzamento relativo non alla singola cessione fatta dai “Puffi” ma alla loro generale attività di fornitor
L’insieme degli elementi indicati appare costituire, ad avviso del Collegio, il fondamento di una motivazione non illogica dei gravi indizi della partecipazione di NOME COGNOME all’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, atteso il vincolo durevole che accomuna il fornitore della droga e l’associazione acquirente che, in via stabile, la riceve per immetterla nel mercato al consumo, con il conseguente consapevole contributo del fornitore al mantenimento in vita dell’associazione e alla realizzazione del fine comune di trarre profitto dal commercio della droga.
4. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
In tema di misure cautelari riguardanti il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, la prognosi di pericolosità non si rapporta sol all’operatività della stessa o alla data ultima dei reati-fine, ma ha a oggetto anche la possibile commissione di reati costituenti espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento nei circuiti criminali che caratterizzano l’associazione di appartenenza e postula, pertanto, una valutazione complessiva, nell’ambito della quale il tempo trascorso è solo uno degli elementi rilevanti, sicché la mera rescissione del vincolo non è di per sé idonea a far ritenere superata la presunzione relativa di attualità delle esigenze cautelari di cui all’art 275, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 16357 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 281293-01; Sez. 4, n. 3966 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 280243-01; Sez. 2, n. 19341 del 21/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 273435-01).
Nel caso in esame, il Tribunale di Catanzaro ha ritenuto la pericolosità del COGNOME alla luce non solo dell’allarmante capacità operativa che l’associazione aveva mostrato di possedere – associazione che aveva continuato a operare anche dopo l’arresto di alcuni acquirenti e corrieri e il sequestro di stupefacente – ma altresì prescindendo anche dalla presunzione prevista dal terzo periodo del comma 3 dell’art. 275 cod. proc. pen., della spiccata propensione dell’indagato al crimine del settore. Ricavata, questa, oltre che da due precedenti specifici, sia dalle modalità dei fatti sia dall’appurato inserimento del COGNOME in ambiti criminali rispetto ai quali egli aveva dimostrato un’estrema dimestichezza nel rapportarsi con i fronti sia dell’approvvigionamento sia della commercializzazione sul territorio dello stupefacente, essendo anche emerso come lo stesso COGNOME fosse in grado di rifornire di ingenti quantitativi di stupefacente non solo l’associazione ma anche altri soggetti, disponendo della capacità sia economica sia organizzativa necessarie per procurarsi e smerciare i suddetti ingenti quantitativi. Elementi, questi, che hanno indotto il Tribunale di Catanzaro a ritenere non favorevolmente valorizzabile l’elemento del tempo che era decorso dai fatti.
Lo stesso Tribunale di Catanzaro ha altresì escluso che la riscontrata pericolosità del COGNOME potesse essere contenuta con una misura meno afflittiva della custodia cautelare in carcere, in particolare, con la misura degli arresti domiciliari, anche se presidiata dal cosiddetto “braccialetto elettronico”, atteso che parte delle condotte criminose contestate al ricorrente erano state svolte proprio in un ambito «sostanzialmente “domestico”».
Tale motivazione non evidenzia alcuna violazione di norme di legge né alcuna illogicità, tanto meno manifesta, sicché essa, anche tenuto conto di quanto si è detto al punto 1, sfugge alle censure avanzate dal ricorrente in questa sede di legittimità.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 22/03/2024.