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Associazione a delinquere: indizi e custodia cautelare

Un individuo ricorre in Cassazione contro l’ordinanza di custodia cautelare per partecipazione a un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. La Corte Suprema ha rigettato il ricorso, stabilendo che un insieme di indizi convergenti (linguaggio criptico, modus operandi stabile, riferimenti plurimi tra coindagati) costituisce un quadro indiziario grave e sufficiente a giustificare la misura cautelare, superando le contestazioni sulla debolezza dei singoli elementi. La pericolosità sociale, in casi di associazione a delinquere, viene valutata sulla base della stabilità del vincolo criminale, non solo sulla data degli ultimi reati commessi.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Associazione a delinquere: la valutazione degli indizi per la custodia cautelare

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18426/2024, si è pronunciata su un caso di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, offrendo importanti chiarimenti sui criteri di valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e sulla giustificazione della custodia cautelare in carcere. La decisione analizza come una serie di elementi, anche se singolarmente non risolutivi, possano comporre un quadro probatorio solido e coerente, legittimando le misure restrittive più severe.

I Fatti del Caso: le Accuse di Traffico di Stupefacenti

Il caso nasce dal ricorso di un individuo contro un’ordinanza del Tribunale del Riesame che aveva confermato la misura della custodia cautelare in carcere. L’indagato era accusato di far parte di un’associazione criminale dedita al traffico illecito di sostanze stupefacenti e di aver commesso due specifici episodi di cessione di droga.

Secondo l’accusa, l’indagato e suo fratello agivano come fornitori stabili di marijuana per il gruppo criminale. La difesa, tuttavia, contestava la solidità degli indizi a suo carico, sostenendo che le prove raccolte fossero insufficienti a dimostrare un suo coinvolgimento diretto e consapevole.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Il ricorrente ha basato la sua difesa su tre motivi principali, contestando sia la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza sia la necessità della misura cautelare applicata.

La contestazione sugli indizi di colpevolezza

In primo luogo, la difesa lamentava una motivazione carente o meramente apparente riguardo alla partecipazione del proprio assistito all’associazione a delinquere. Si sosteneva che le conversazioni intercettate, relative a due episodi di cessione di droga, non dimostrassero un suo ruolo attivo, ma al massimo un coinvolgimento marginale o del solo fratello. In particolare, veniva contestata l’interpretazione di alcuni dialoghi e l’attribuzione di un soprannome (“Puffi”) ai fratelli fornitori, ritenuta illogica.

La critica alle esigenze cautelari

In secondo luogo, veniva criticata la valutazione del Tribunale sulle esigenze cautelari. La difesa riteneva che la corte di merito avesse erroneamente applicato la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere prevista per questo tipo di reati, senza considerare elementi favorevoli all’indagato come il considerevole tempo trascorso dai fatti (“tempo silente”) e l’esito negativo delle perquisizioni.

Associazione a delinquere e prove: l’interpretazione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo infondati tutti i motivi proposti. I giudici di legittimità hanno confermato la correttezza e la logicità della motivazione del Tribunale del Riesame. La Corte ha sottolineato che, ai fini della valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, non è necessario che ogni singolo elemento sia una prova schiacciante, ma è sufficiente che l’insieme degli indizi sia coerente, convergente e logico.

Nel caso specifico, elementi come il riferimento all’abitazione dell’indagato quale luogo per lo scambio della droga, le conversazioni successive in cui il capo del gruppo manifestava l’intenzione di contattarlo per avere più merce e l’uso di un soprannome al plurale, sono stati considerati tasselli di un mosaico indiziario che, letto nel suo complesso, indicava chiaramente la partecipazione di entrambi i fratelli al traffico illecito in modo stabile e non occasionale.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha spiegato che la valutazione del Tribunale non era illogica. L’uso di un linguaggio convenzionale e criptico (“lavoro”, “camminata”) tra l’indagato e il capo dell’associazione, seguito poche ore dopo dalla disponibilità effettiva di un consistente quantitativo di droga, costituiva un fondamento logico per ritenere che l’oggetto della conversazione fosse proprio uno scambio di stupefacenti. La lettura alternativa proposta dalla difesa è stata respinta in quanto tentativo di riesaminare il merito dei fatti, non consentito in sede di legittimità.

Per quanto riguarda l’associazione a delinquere, la Corte ha evidenziato che la stabilità del rapporto di fornitura emergeva non solo dalla pluralità degli episodi, ma anche dall’esistenza di un linguaggio e di un modus operandi già collaudati, indicativi di un vincolo durevole tra i fornitori e l’associazione acquirente.

Infine, riguardo alle esigenze cautelari, la Cassazione ha ribadito che per i reati associativi la prognosi di pericolosità si basa sulla professionalità criminale e sull’inserimento in determinati circuiti. La spiccata propensione al crimine dell’indagato, la sua capacità di movimentare ingenti quantitativi e la sua “estrema dimestichezza” con gli ambienti criminali sono stati ritenuti elementi prevalenti sul tempo trascorso, giustificando la misura carceraria come unica idonea a contenere tale pericolosità.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio fondamentale in materia di misure cautelari per reati associativi: la gravità indiziaria può essere raggiunta attraverso una valutazione complessiva e logica di una pluralità di elementi convergenti. La decisione sottolinea inoltre che la pericolosità sociale in contesti di criminalità organizzata deve essere valutata in una prospettiva più ampia, che consideri la stabilità del vincolo associativo e la capacità operativa dell’indagato, rendendo più difficile superare la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere.

Quando più indizi, presi singolarmente, possono essere considerati ‘gravi indizi di colpevolezza’ per un’associazione a delinquere?
La Corte chiarisce che una serie di elementi convergenti, come l’uso di un linguaggio criptico e convenzionale, un modus operandi collaudato, e riferimenti incrociati tra i membri del gruppo, possono costituire, nel loro insieme, un quadro indiziario grave, logico e sufficiente a dimostrare la partecipazione stabile a un’associazione a delinquere, anche se ogni singolo elemento potrebbe apparire debole.

La partecipazione a una trattativa per la cessione di droga da parte di un familiare esclude automaticamente la responsabilità di un altro?
No. La sentenza dimostra che, sebbene la trattativa diretta sia stata condotta da un fratello, il coinvolgimento dell’altro può essere desunto da altri elementi, come l’indicazione della sua abitazione come luogo di scambio e le successive conversazioni in cui si manifesta l’intenzione di parlargli per ottenere più sostanza.

Il tempo trascorso dai fatti è sufficiente a escludere la pericolosità di un indagato per un reato di associazione a delinquere?
No. Per i reati associativi, la valutazione della pericolosità non si lega solo alla data dell’ultimo reato, ma alla stabilità del vincolo criminale e all’inserimento dell’individuo in certi circuiti. La Corte ha ritenuto che la spiccata propensione al crimine e la capacità di rifornire ingenti quantitativi di droga fossero elementi prevalenti rispetto al tempo trascorso, giustificando il mantenimento della misura cautelare in carcere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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