Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 13961 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 13961 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a Prato il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a Prato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/11/2023 della CORTE di APPELLO di FIRENZE
PARTE CIVILE: COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE
Esaminati gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
dato atto che si procede nelle forme di cui all’art. 23, comma 8, d.l. n.137 del 2020 conv. in I. n. 176 del 2020;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi;
lette le conclusioni del difensore della parte civile, AVV_NOTAIO del foro di Vicenza che ha chiesto l’inammissibilità o il rigetto del ricorso, con rifusione delle spese e competenze professionali.
FATTO E DIRITTO
Con sentenza del 20/11/2023 la Corte di Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza emessa in data 23/09/2022 dal Tribunale di Firenze, appellata dalle imputate NOME COGNOME e NOME COGNOME, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti delle stesse in ordine al reato di appropriazione indebito ascritto perché estinto per intervenuta prescrizione, confermando le statuizioni civili.
1.1. Con memoria di replica del 29 febbraio 2024 la difesa della parte civile ha confutato i motivi di ricorso, concludendo come in epigrafe.
Avverso la sentenza di appello propone ricorso per cassazione il difensore di fiducia e procuratore speciale della COGNOME e della COGNOME sulla base di tre motivi:
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta tempestività della querela del maggio 2017, in considerazione della data di decorrenza del termine (14 gennaio 2016, giorno di ricevimento della richiesta di restituzione dei beni);
violazione di legge circa la determinazione del termine di prescrizione, decorso prima della pronuncia della sentenza di primo grado, nel settembre 2022, in quanto il reato appropriativo doveva considerarsi commesso nel dicembre 2014, quando la ditta delle ricorrenti aveva ceduto a terzi i beni in oggetto;
violazione di legge e vizio di motivazione relativamente al riconoscimento della responsabilità civile, per erronea applicazione dell’art. 1524, comma 2, cod. civ. in tema di vendita con patto di riservato dominio, dell’art. 11 d.lgs. 231/2002 sull’apposizione della clausola sulle singole fatture, dell’art. 2043 cod. civ. i relazione a NOME COGNOME, arbitrariamente ritenuta prestanome della ditta alla quale i macchinari furono trasferiti dalla COGNOME, sua figlia.
I ricorsi sono inammissibili, perché presentati per motivi non consentiti, comunque privi della specificità necessaria ex artt. 581, comma 1, e 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., oltre che manifestamente infondati.
Il primo ed il secondo motivo possono essere trattati congiuntamente, perché riguardano una questio facti rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, estranea al sindacato di legittimità (individuazione della data in cui la persona offesa ebbe piena consapevolezza che i beni non gli sarebbero stati più restituiti per fatto e scelta altrui; epoca di commissione del reato appropriativo).
Con argomentazioni immuni da vizi logici la corte territoriale (pag. 6 della sentenza impugNOME), ricostruita la vicenda inerente ai macchinari, ha stabilito che solo con la pubblicazione della sentenza di fallimento della società della RAGIONE_SOCIALE, in data 22/02/2017 la parte civile ebbe conoscenza che i beni non sarebbero stati restituiti. Inoltre, l’interversio possessionis momento che individua la consumazione del reato ex art. 646 cod. pen. – è stata individuata nella data dell’1/12/2015, coincidente con il trasferimento dei beni oggetto di vendita con patto di riservato dominio alla ditta della RAGIONE_SOCIALE, considerata prestanome della figlia al fine di realizzare la condotta appropriativa, con conseguente prescrizione
del reato solo nel corso del giudizio di appello, secondo le corrette scansioni temporali riportate in motivazione (pag.7).
Il terzo motivo, sulle statuizioni civili, è manifestamente infondato.
La Corte di appello ha richiamato correttamente la disciplina civilistica di riferimento, evidenziando che la vendita con patto di riservato dominio non aveva trasferito la proprietà dei beni alla COGNOME e che solo con l’integrale pagamento del prezzo si sarebbe verificato l’effetto traslativo; che, perdurando l’inadempimento all’obbligo di pagamento rateale del prezzo, nel dicembre del 2015, la COGNOME, per conto della società acquirente, aveva sottratto definitivamente i macchinari al proprietario, cedendoli e trasferendoli alla ditta della madre.
Circa la responsabilità di quest’ultima, sono state indicate le ragioni che ne giustificano la condanna ai fini civili (pag. 10), con riferimento specifico al risultanze documentali ed alle dichiarazioni testimoniali, attestanti l’estraneità all’attività imprenditoriale, creata al solo fine di interporre un soggetto giurid diverso nella vicenda traslativa tra venditore e acquirente, in tal modo consentendo la realizzazione della condotta appropriativa.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende che si ritiene equo determinare in euro tremila.
Le ricorrenti sono altresì condannate in solido alla rifusione delle spese del grado in favore della parte civile, nella misura liquidata in dispositivo.
PQM
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, nonché in solido alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE che liquida in complessivi euro 4.500,00, oltre accessori di legge.
Il Presid
Così deciso in Roma il giorno 7 marzo 2024
Il Consigliere estensore