Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9617 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 9617 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso 23346-2022 proposto da:
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME IMMACOLATA, COGNOME NOME, COGNOME NOME, domiciliate in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrenti –
nonchè contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE;
– intimate –
avverso la sentenza n. 1759/2022 della CORTE D’APPELLO di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, depositata il 27/04/2022 R.G.N. 963/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/02/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME convenivano in giudizio RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE affinché, accertata la nullità, invalidità e illegittimità dei verbali di conciliazione stipulati con quest’ultima società, fosse dichiarata la continuità ininterrotta del rapporto di lavoro con RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e la responsabilità di entrambe le società per tutti i diritti retributivi e contrattuali di cui erano titolari al momento dell’asserito trasferimento di azienda dalla prima alla seconda società; chiedevano inoltre la condanna in solido delle convenute al pagamento di somme a titolo di buoni pasto residui e scatti di anzianità, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.
Il giudice di primo grado rigettava la domanda nei confronti di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e la accoglieva nei confronti di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, condannando quest’ultima società al pagamento delle somme richieste, oltre accessori.
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava la nullità dei verbali di conciliazione impugnati nonché l’avvenuto trasferimento di azienda tra RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE liquidazione e RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e la continuità del rapporto di lavoro delle originarie ricorrenti con RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, confermando il rigetto della domanda di condanna ai buoni pasti residui e agli scatti di anzianità.
3.1. Per quel che ancora rileva in questa sede, la Corte di appello ha collegato l’accertamento della nullità dei verbali di conciliazione al vizio del consenso delle lavoratici indotto dalla violenza morale nei confronti delle stesse esercitata da RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE la quale aveva prospettato, in sintesi, la perdita del posto di lavoro ( rectius, la mancata assunzione da parte di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE) ove le lavoratrici non avessero accettato di essere assunte ex novo con rinunzia alle garanzie derivanti dall’art. 2112 c.c..
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE sulla base di sei motivi; NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno depositato controricorso; RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE liquidazione e NOME COGNOME non hanno svolto attività difensiva; entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c.: violazione e falsa applicazione degli artt. 1434 e 1435 c.c. nonché dell’art. 1362 c.c. con riferimento alla nota della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE del 27.10.2016; violazione e falsa applicazione degli artt. 1965 e 2112 c.c. e violazione e falsa applicazione degli artt. 410, 411 c.p.c.. Censura la sentenza impugnata per avere tratto dalla comunicazione di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE la prova della violenza morale alla base dell’annullamento dei verbali di conciliazione; sostiene che in tale lettera vi era stata una proposta di assunzione la quale legittimamente, come proprio di analoghe negoziazioni, subordinava l’assunzione a determinate condizioni.
Con il secondo motivo di ricorso deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c.: violazione e falsa applicazione degli artt. 1434 e 1435 c.c. nonché dell’art. 1362 c.c.; violazione e falsa applicazione degli artt. 1965 e 2112 c.c.; violazione e falsa applicazione degli artt. 410 e 411 c.p.c. Censura la sentenza impugnata in quanto implicitamente fondata sulla convinzione che l’assunzione fosse condizionata o incerta, laddove questa non era mai stata messa in discussione e nessuno la avrebbe mai potuta revocare o evitare secondo quanto evincibile anche dal riferimento, nella nota di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, al fatto che l’offerta era formulata in ottemperanza alla delibera del Consiglio del Comune di RAGIONE_SOCIALE per cui l’assunzione risultava vincolata; tale assunzione era già stata assicurata e, di fatto, realizzata ancor prima del verbale di conciliazione per cui alcun timore concreto poteva nascere in merito alla perdita del posto di lavoro.
Con il terzo motivo di ricorso deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c.: violazione e falsa applicazione degli artt. 1434 e 1435 c.c. nonché dell’art. 1362 c.c.; violazione e falsa applicazione degli artt. 1965 e 2112 c.c.; violazione e falsa applicazione degli artt. 410 e 411 c.p.c.; censura la sentenza impugnata sul rilievo dell’assenza nella concreta fattispecie dei requisiti elementari prescritti dagli artt. 1434 e 1435 c.c. per configurare una violenza morale.
Con il quarto motivo di ricorso deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c.: violazione ed errata applicazione dell’art. 2113 ult. comma c.c. e degli artt. 410 e 411 c.p.c.: sostiene, in sintesi, che, considerata la finalità dell’art. 411 c.p.c., di assicurare al lavoratore una negoziazione in sede protetta o assistita, la possibilità di impugnativa dell’accordo conciliativo doveva ritenersi assolutamente eccezionale e consentita solo per motivi tipizzati, attinenti prevalentemente
alla impropria composizione dell’organo amministrativo e/o alla violazione di fondamentali regole procedurali; non poteva, viceversa, investire le scelte dii merito delle parti; ciò anche in presenza di mere rinunzie dei lavoratori; in questa prospettiva contesta l’affermazione della Corte distrettuale secondo la quale il negozio conciliativo ha pacificamente contenuto di transazione e non può sostanziarsi in mere rinunce.
5. Con il quinto motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 1965 e ssg . c.c., dell’art. 2112 c.c.; deduce ex art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c. nullità della sentenza per motivazione inesistente in relazione all’art. 111, comma 6, Cost. all’art. 134 n. 2 e 4 c.p.c., all’art. 118 disp. att. c.p.c., nonché, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., omesso esame di un fatto controverso e decisivo. La sentenza impugnata è censurata nella parte in cui ha dichiarato la nullità dei verbali di conciliazione, dichiarato l’avvenuto trasferimento di azienda tra RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e la continuità del rapporto di lavoro con RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE , senza adeguata motivazione.
6. Con il sesto motivo di ricorso deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 563 l n. 147/2013 in relazione all’art. 2112 c.c.; censura la sentenza impugnata per avere affermato, la responsabilità solidale delle convenute per i crediti maturati nel periodo alle dipendenze di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE; richiama i verbali di conciliazione ed il riferimento in essi contenuto alla disciplina ex lege n. 147/2013 che escludeva la responsabilità solidale della ‘cessionaria’ ; sostiene che nello specifico vi era stato negozio novativo.
Preliminarmente si rileva la inammissibilità del ricorso nei confronti di NOME, per sopravvenuta carenza di interesse ad impugnare di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE alla luce del complessivo accordo conciliativo , ‘globale e novativo’, con quest’ultima raggiunto in data 3 aprile 2023, circostanza della quale parte ricorrente dà espressamente atto nella memoria depositata.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile. Il Collegio richiama a riguardo, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., il precedente di questa Corte, intervenuto in relazione ad identica vicenda (Cass. n. 27760 del 2022), il quale ha ritenuto inammissibili le censure articolate dalla società in quanto sotto l’apparente deduzione di vizi ex artt. 360 co. 1 nn.3 e 5, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, intese, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, come non consentito in sede di legittimità (cfr., SU n. 14476 del 2021). Deve inoltre soggiungersi che per consolidata giurisprudenza di questa Corte l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione. In questa prospettiva è stato, infatti, puntualizzato che ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato mentre la denuncia del vizio
di motivazione dev’essere, invece, effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. n. 19044 del 2010, Cass. n. 15604 del 2007, in motivazione, Cass. n. 4178 del 2007) dovendosi escludere che la semplice contrapposizione dell’interpretazione proposta dal ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata rilevi ai fini dell’annullamento di quest’ultima (Cass. n. 14318 del 2013, Cass. n. 23635 del 2010). Tale ultima ipotesi si è verificata nella concreta fattispecie nella quale la deduzione di violazione dei criteri ermeneutici legali non individua specifici vizi giuridici o logici del ragionamento decisorio della sentenza impugnata ma si limita alla prospettazione di un mero dissenso valutativo sulla portata della comunicazione di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE nella quale, secondo la sentenza impugnata, si sarebbe tradotta la indebita pressione nei confronti delle lavoratrici.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per le medesime ragioni alla base della statuizione di inammissibilità del primo motivo, fondate, in estrema sintesi,
sulla considerazione che parte ricorrente si limita a evidenziare un mero dissenso valutativo rispetto all’apprezzamento della Corte di merito relativo alla portata ed agli effetti della nota inviata alle lavoratrici da RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE al fine della verifica del vizio del consenso denunziato sub specie di violenza morale; invero la deduzione che in realtà tale nota non prospettasse, diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, la perdita del posto di lavoro quale conseguenza della mancata adesione delle lavoratrici all’accordo conciliativo non è veicolata secondo le corrette modalità di deduzione del vizio di violazione delle regole ermeneutiche di interpretazione quali sopra richiamate. Tanto assorbe la necessità di esame delle ulteriori violazioni di norme di diritto denunziate in rubrica.
10. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile. Secondo il costante insegnamento di questa Corte il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 n. 3 cod. prov. civ. deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie, diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. n. 16700 del 2020, Cass. n. 24298 del 2016, Cass. n. 5353 del 2007, Cass. n. 11501 del 2006). Parte ricorrente non ha osservato tale prescrizione atteso che le censure in concreto sviluppate, veicolate attraverso la formale deduzione di violazione e falsa applicazione di norma di diritto, non evidenziano alcuno
specifico errore ricognitivo della portata delle norme indicate in rubrica né, tantomeno, un vizio sussuntivo nella riconduzione ad esse della concreta fattispecie, ma risultano intese a rimettere in discussione l’accertamento di fatto alla base della decisione circa il ricorrere dei presupposti della violenza morale quale vizio del consenso, accertamento istituzionalmente riservato al giudice di merito e censurabile nei soli limiti della denunzia di vizio di motivazione e quindi ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5 c-p.-c. non prospettato neppure formalmente.
11. Il quarto motivo di ricorso è infondato posto che dal combinato disposto dell’art. 2113 c.c. e dell’art. 411 c.p.c. non è dato rinvenire, come viceversa opinato dalla odierna ricorrente, limitazioni attinenti ai motivi di impugnazione da parte del lavoratore del negozio giuridico di rinunzia o transazione; la disciplina dettata dall’art. 2113 c.c. in tema di rinunzie e transazioni aventi ad oggetto diritti derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti e accordi collettivi rende inoppugnabili tali negozi in caso di conciliazioni avvenute in sede protetta ma non limita in relazione a tale ambito la rilevanza dei vizi della volontà alla base del negozio stipulato; quanto alle ulteriori censure le stesse risultano inammissibili per difetto di pertinenza con le ragioni della decisione.
12. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile per difetto di autosufficienza. Secondo consolidati arresti di questa Corte, il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudice” posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e
delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; l’inosservanza di tale dovere pregiudica l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata e, pertanto, comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso, ponendosi in contrasto con l’obiettivo del processo, volto ad assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.), nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali del giusto processo (artt. 111, comma 2, Cost. e 6 CEDU), senza gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui. (Cass. Sez. Un. n. 37552 del 2021, Cass. n. 8425 del 2020, Cass. n. 8009 del 2019, Cass. n. 21297 del 2016, Cass. 17698 del 2014) .
12. In adempimento di tale onere, pertanto, l’odierna ricorrente non poteva limitarsi a denunziare, come in concreto avvenuto, l’omessa motivazione da parte della Corte di merito delle ragioni della ritenuta configurabilità nella concreta fattispecie di una vicenda traslativa ex art. 2112 c.c. ma doveva allegare e dimostrare, mediante l’adeguata esposizione dei fatti di causa ai sensi dell’art. 366, comma 1 n. 3 c.p.c. se ed in che termini tale questione risultava ancora in controversia davanti al giudice di appello; solo in tale ipotesi, infatti, poteva venire in rilievo una carenza di motivazione e non anche nella ipotesi in cui la esistenza di una vicenda traslativa ex art. 2112 c.c. doveva ritenersi pacifica tra le parti. La omissione da parte della odierna ricorrente della esposizione della vicenda processuale dipanatasi in relazione a tale aspetto non consente quindi la delibazione nel merito della censura articolata.
Il sesto motivo di ricorso è inammissibile. Il tema relativo al ‘passaggio’ delle lavoratrici da RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE in applicazione della speciale procedura destinata a realizzare, ai sensi della legge n. 147/2013, art. 1 commi da 563 e 568, processi di mobilità del personale fra l
onde impedire una valutazione di novità della questione, costituiva era onere del ricorrente quello di allegare l’avvenuta deduzione di esso innanzi al giudice di merito ed inoltre, in ossequio al principio di specificità del ricorso per cassazione, quello di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito (Cass. n. 20694 del 2018, Cass. n. 15430 del 2018, Cass. n. 23675 del 2013), come viceversa non è avvenuto.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del soccombente alla rifusione delle spese di lite, conn distrazione in favore del procuratore anticipatario, oltre che al pagamento, nella sussistenza dei presupposti processuali, dell’ulteriore importo del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti di NOME e lo rigetta nei confronti delle odierne ricorrenti . Nulla per le spese di lite nei confronti di NOME. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 7.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie
nella misura del 15% e accessori come per legge. Con distrazione.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 7 febbraio