Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11326 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 11326 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso 32615 – 2019 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in Agropoli (SA), presso lo studio dell’AVV_NOTAIO dal quale sono rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Agropoli (SA), presso lo studio dell’AVV_NOTAIO dal quale è rappresentata e difesa giusta procura a margine del controricorso, con indicazione dell’ indirizzo pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 843/2019 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, pubblicata il 14/6/2019, notificata il 19/7/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/3/2023 dal consigliere NOME COGNOME;
letta la memoria delle parti ricorrenti.
FATTI DI CAUSA
Con due distinti atti di citazione del 29712/1999 e del 5/12/2000, poi riuniti, NOME COGNOME convenne in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Vallo della Lucania, NOME COGNOME e NOME COGNOME e, premesso che era proprietaria di un fondo sito nel Comune di Agropoli e che i convenuti avevano realizzato, nel terreno confinante, un fabbricato per civile abitazione in violazione delle distanze legali, invadendo per circa 68 mq una porzione di suolo in sua proprietà, chiese la condanna dei convenuti ad arretrare la costruzione fino alla distanza prescritta, oltre al risarcimento danni.
NOME COGNOME e NOME COGNOME chiesero, in riconvenzionale, dichiararsi l’intervenuta usucapione della porzione di terreno asseritamente occupata; NOME COGNOME chiese altresì la dichiarazione di usucapione del diritto di servitù di mantenere l’opera a distanza inferiore a quella legale.
Con sentenza n. 36/2013, il Tribunale di Vallo della Lucania, in parziale accoglimento della domanda principale e rigettando le domande riconvenzionali, condannò i convenuti ad arretrare, mediante abbattimento, i manufatti indicati nella c.t.u. fino alla distanza di 5 mt dal confine naturale con la porzione di terreno in proprietà dell’attrice ; rigettò la domanda di rilascio della porzione di terreno; condannò i convenuti al pagamento della somma di Euro 7.000 a titolo di risarcimento del danno e al rimborso delle spese.
Con sentenza n. 843/2019, la Corte di Appello di Salerno ha rigettato l’appello di NOME COGNOME e NOME COGNOME, escludendo, per quel che qui ancora rileva, l’inuti lizzabilità dei documenti prodotti da
parte attrice per deposito del fascicolo di parte oltre i termini di cui all’art. 169 cod. proc. civ., l’erroneità della sentenza nella parte in cui aveva ritenuto provato che fosse stato costruito un fabbricato per civile abitazione, la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. laddove era stata individuata la violazione delle distanze legali rispetto ad una particella diversa da quella indicata in citazione e, infine, la violazione del principio della soccombenza reciproca nella statuizione sulle spese.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, illustrati da memoria. NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Con provvedimento del 10.4.2024 il Presidente del Collegio, ai sensi degli artt. 380 e 276 cpc, ha designato come estensore il cons. NOME COGNOME, stante l’impedimento del relatore cons. COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve escludersi l’eccepita inammissibilità del controricorso che, ritualmente articolato in fatto e in diritto, in osservanza dell’art. 366 cod. proc.civ., risulta notificato il 14/11/2019, dopo meno di trenta giorni dalla notifica del ricorso avvenuta in data 18/10/2019 e depositato in data 25/11/2019, nel rispetto dei venti giorni dalla notificazione, come prescritto dal terzo comma dell ‘art. 370 cod. proc. civ. nella formulazione anteriore all’art. 3, comma 27, lett. f) num. 2) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, applicabile alla fattispecie ratione temporis per la disciplina transitoria stabilita dall’art. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall’art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197. Al fine del rispetto del termine di deposito suindicato, non rileva, evidentemente, la data di inserimento del controricorso nel fascicolo telematico (20 settembre 2022) perché questo fascicolo è stato formato successivamente a quello cartaceo del 2019, in attuazione della transizione al processo telematico verificatasi
anche nella Corte di legittimità, con inserimento delle copie degli atti regolamentari già depositati, tra cui il controricorso.
Con il primo motivo, articolato in riferimento ai n. 3 e 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno lamentato, con un primo profilo, la v iolazione dell’art. 2697 cod. civ., per avere la Corte d’appello ritenuto provata la violazione delle distanze, sebbene con la c.t.u. espletata fosse stata accertata soltanto la realizzazione di tre manufatti, ma non di un fabbricato per civile abitazione, come dedotto in citazione; in tal senso, con il secondo profilo, sarebbe stato omesso l’ esame del fatto decisivo costituito dall’inesistenza del fabbricato come risultata dalla c.t.u..
1.1. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
Per principio consolidato, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, non anche quando si prospetti una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, nel senso che si sostenga non effettivamente assolto, dalla parte onerata, l’onere della prova (Cass. Sez. L, n. 17313 del 19/08/2020; Sez. 3, n. 19064 del 05/09/2006): in questo caso, infatti, prospettato è, in realtà, un erroneo apprezzamento dell’esito della prova, sindacabile però in sede di legittimità soltanto per il vizio di motivazione di cui al n. 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ..
Nella specie, tuttavia, ogni profilo di censura articolato in riferimento al n. 5 è inammissibile per il V comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ., nella formulazione anteriore all’ abrogazione disposta dall’art. 3, comma 26, lett. e) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, applicabile alla fattispecie ratione temporis per la disciplina transitoria
stabilita dall’art. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall’art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197: ogni questione di fatto ex n. 5, è, infatti, preclusa perché la sentenza d’appello ha interamente confermato in merito la decisione di primo grado.
Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., i ricorrenti hanno denunciato la v iolazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per non avere la Corte territoriale ritenuto viziata da «ultra o extrapetizione» la pronuncia di primo grado, nella parte in cui aveva disposto l’arretramento di tre manufatti non indicati dall’attrice ; in citazione sarebbe stata invece lamentata la violazione delle distanze in riferimento ad un unico fabbricato per civile abitazione.
2.1. Il motivo è infondato. Il vizio di ultrapetizione sussiste quando il giudice attribuisce alla parte un bene della vita diverso da quello richiesto: nell’atto di citazione, come riportato dalla Corte d’appello (pagina 8 della sentenza), l’attrice aveva esplicitamente richiesto la condanna all’arretramento delle opere per quanto necessario a ripristinare le distanze legali e aveva proprio inteso tutelare il diritto a vedere rispettata la distanza tra le costruzioni edificate sulla particella in proprietà dei convenuti attuali ricorrenti, n. 1287 e la particella in sua proprietà n. 1002. In tal senso, allora, la Corte d’appello non ha attribuito un bene diverso da quello domandato perché ha ripristinato il diritto dell’attrice a veder rispettate le distanze legali dalla specifica particella di proprietà indicata in citazione.
Con il terzo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., COGNOME e COGNOME hanno prospettato la violazione degli artt. 169 e 190 cod. proc. civ. per avere la Corte di appello rigettata l’eccezione di inammissibilità della documentazione prodotta da parte attrice, nonostante ella avesse restituito il fascicolo
di parte dopo la scadenza del termine concesso per il deposito della comparsa conclusionale in primo grado; in particolare, la Corte avrebbe infondatamente ritenuto «la non verificabilità della data del deposito di detto fascicolo» laddove la tardività risultava dalle certificazioni presenti in atti; in conseguenza , dall’inutilizzabilità del fascicolo di parte attrice e dei documenti in esso contenuti, sarebbe derivata pure la violazione dell’art. 2697 cod. civ., per la mancata prova dei fatti costitutivi posti a fondamento della domanda.
3.1. Il motivo è inammissibile per più ragioni.
Innanzitutto, deve rilevarsi che, come più volte ribadito da questa Corte, l’inosservanza del termine entro il quale – a norma dell’art. 169, secondo comma, cod. proc. civ. – deve avvenire, in primo grado, la restituzione del fascicolo di parte, ritirato all’atto della rimessione della causa al collegio e la conseguente inutilizzabilità del fascicolo, tardivamente depositato nel grado, non producono alcun effetto una volta che, come nella fattispecie, il processo sia trasmigrato in appello: poiché, infatti, il riferimento dell’art. 345 cod. proc. civ. è alle sole prove nuove e, quindi, ai documenti non introdotti prima del grado di appello, sono al contrario certamente utilizzabili quelli contenuti nel fascicolo di parte di primo grado come depositato con l’atto di appello , purché prodotti (ma sul punto non vi è controversia) nell’osservanza delle preclusioni probatorie di cui agli artt. 165 e 166 cod. proc. civ. (Cass. Sez. 3, n. 28462 del 19/12/2013; Sez. 6 – 2, n. 29309 del 06/12/2017; Sez. 2, n. 21571 del 07/10/2020).
In tal senso, allora, la questione della tardività del nuovo deposito del fascicolo di parte risulta priva di alcuna rilevanza atteso che il giudizio era pervenuto in fase di appello e il merito della decisione era nuovamente esaminabile dal Giudice sulla scorta dei documenti acquisiti in primo grado nei termini delle preclusioni istruttorie.
A ciò si aggiunga -e in tal senso la censura è ulteriormente inammissibile per difetto di interesse (v. Cass. Sez. 5, n. 11493 del 11/05/2018) – che l a Corte d’appello non si è limitata ad escludere la prova del mancato rispetto dei termini dell’art. 169 cod. proc. civ., ma ha aggiunto, con ulteriore ratio autonoma qui non censurata, che la decisione era stata pienamente fondata sui documenti comunque presenti nel fascicolo d’ufficio alla data della decisione e sulla c.t.u. espletata.
Per il resto, la censura si risolve, ancora una volta, in una richiesta di rivalutazione in merito della sussistenza della prova, preclusa invece in questa sede di legittimità.
Con il quarto motivo, articolato in riferimento ai n. 3 e 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., COGNOME e COGNOME hanno sostenuto la violazione degli artt. 872, 873 e 2697 cod. civ. e dell’art. 116 cod. proc. civ., per avere la Corte di appello ordinato l’ arretramento dei manufatti sul presupposto che tali opere siano state realizzate nella vigenza delle norme di fabbricazione adottate dal Comune di Agropoli che impongono alle costruzioni una distanza di 5 mt. dal confine, sebbene l’attrice non avesse provato la data di realizzazione delle costruzioni.
4.1. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
La Corte d’appello ha dapprima individuato l’epoca di realizzazione dei manufatti, esplicitamente affermando sul punto (pag. 9 della sentenza) che, in riferimento alle foto aeree acquisite, deve essere temporalmente collocata tra il 1988 e il 1994; quindi, ha correttamente applicato le norme tecniche vigenti a tale epoca.
Pertanto, in riferimento al n. 3 la censura è infondata, perché nessuna violazione di legge si ravvisa nell’applicazione delle norme tecniche, in conformità con la giurisprudenza di questa Corte secondo
cui le disposizioni in materia edilizia, nell’ipotesi di successione di norme nel tempo, sono di immediata applicazione poiché i piani regolatori, come i regolamenti edilizi comunali, essendo essenzialmente diretti alla tutela dell’interesse generale nel campo urbanistico, prescindono dall’interesse del privato; conseguentemente, se, dopo la concessione della licenza edilizia, sopravviene una diversa regolamentazione sulle distanze fra edifici, le costruzioni devono adeguarsi alla disciplina vigente al momento della loro realizzazione, a nulla rilevando la legittimità della precedente autorizzazione a costruire ( ex plurimis , Sez. 2 – , Ordinanza n. 26713 del 24/11/2020).
A ciò deve aggiungersi che, per principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. ricorre soltanto se il giudice abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali o abbia disatteso, basandosi sul prudente apprezzamento, delle prove legali ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (in ultimo, Cass. Sez. 1, n. 6774 del 01/03/2022); la censura per violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., non può, pertanto, risolversi nella richiesta a questo Giudice di legittimità di una diversa valutazione del materiale probatorio raccolto.
Con la loro censura, invero, i ricorrenti hanno proprio chiesto, inammissibilmente, una rivalutazione in merito di prove diverse e ulteriori rispetto alle foto considerate in sentenza quale prova prevalente. Sul punto, la Corte di appello ha rinviato per relationem alle argomentazioni del giudice di prime cure, ritenendole puntuali e condividendole.
A fronte della valutazione in merito operata dalla Corte territoriale sull’epoca di realizzazione dei manufatti, il motivo è quindi
inammissibile anche in riferimento al n. 5, perché, come evidenziato al punto 1.1., opera nella specie la preclusione del V comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ. nella formulazione applicabile ratione temporis , ricorrendo un’ipotesi di «doppia confome».
Con il quinto motivo, articolato in riferimento al n. 3 e al n. 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., i ricorrenti lamentano la v iolazione degli artt. 1158, 873 e 2697 c.c. nonché dell’art. 116 cod. proc. civ. perché la Corte d’appello , con riferimento alla riconvenzionale proposta, avrebbe omesso di valutare la testimonianza resa dai testi COGNOME e COGNOME, secondo cui i fabbricati di cui trattasi erano ubicati nel fondo sin dal 1975.
5.1. Il motivo è, ancora una volta, in parte infondato e in parte inammissibile per le considerazioni già svolte al precedente punto 4.1. sulla configurabilità in diritto della violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. e sulla non sindacabilità del giudizio reso, in merito, sull ‘epoca di realizzazione dei manufatti.
In particolare, risulta inammissibile la rivalutazione del contenuto della prova per testi ritenuto dalla Corte d’appelloe dal Tribunale prima ancora -superato dal riscontro oggettivo delle foto aeree.
Con il sesto motivo, COGNOME e COGNOME hanno denunciato la «violazione o falsa applicazione degli artt. 872, 873, 2043 e 2697 cod. civ. e degli artt. 1226 cod.civ. e 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 cod. proc. civ.» (così nella rubrica), per avere la Corte di appello pronunciato nei loro confronti condanna al risarcimento dei danni conseguenti alla violazione delle distanze legali, sebbene mai chiesta da parte attrice che avrebbe soltanto lamentato l’illegittima occupazione di una porzione del suo terreno; peraltro, non sarebbe stata offerta alcuna prova sull’ammontare di tali danni, né sui criteri di quantificazione adoperati (come la vocazione turistica del fondo); in
ogni caso sarebbe stato liquidato in via equitativa un danno invece mai provato neppure nell’ an , mancando la prova «che l’attrice avesse avuto problemi di edificabilità» (così in ricorso); infine, sarebbe stato loro imputato il preteso danno conseguente alla violazione delle distanze in violazione dell’art. 2043 cod. civ., atteso che era risultato che le opere erano state realizzate prima che iniziasse la detenzione del bene da parte loro.
6.1. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
Contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti, dalla sentenza impugnata emerge che la domanda risarcitoria risulta essere stata ritualmente proposta dall’attrice negli atti introduttivi , senza alcuna limitazione al solo danno da sconfinamento; in tal senso la censura difetta di autosufficienza perché non riporta quali parti della citazione o delle prime memorie ex art. 183 cod. proc. civ. consentano di escludere l’avvenuta proposizione di questa domanda .
Per principio consolidato, infatti, anche la denuncia di un error in procedendo deve essere compiutamente formulata in attuazione del principio di autosufficienza, perché l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto a questa Corte in tale ipotesi di vizio, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo: la parte ricorrente, pertanto, ha l’onere di riportare gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti, l’asserito errore , dovendosi escludere la possibilità di una generale verifica degli atti (Cass. Sez. 6 – 1, n. 23834 del 25/09/2019; Sez. L, n. 11738 del 08/06/2016).
Ciò precisato, l ‘art. 872 cod. civ. stabilisce che colui che, per effetto della violazione, ha subito danno deve essere risarcito, salva la facoltà di chiedere la riduzione in pristino e, per principio consolidato, nei casi di inosservanza delle distanze il danno è in re ipsa : in
conseguenza, non incombe sul danneggiato l’onere di provare la sussistenza e l’entità concreta del pregiudizio patrimoniale subito al diritto di proprietà, dovendosi, di norma, presumere, sia pure iuris tantum , tale pregiudizio, fatta salva la possibilità per il preteso danneggiante di dimostrare che, per la peculiarità dei luoghi o dei modi della lesione, il danno debba, invece, essere escluso (Cass. Sez. 6 – 2, n. 25082 del 09/11/2020; Sez. 2, n. 21501 del 31/08/2018).
In tal senso, quanto, alla prova del quantum , l’art. 1226 cod. civ. ne affida la determinazione al prudente apprezzamento del giudice e, nella fattispecie, il Tribunale, come riportato nella sentenza impugnata, ha chiarito quali criteri abbia utilizzato: non è sufficiente allora, sul punto, una generica contestazione della congruità dei parametri individuati per la liquidazione.
Infine, è infondata anche la denuncia di violazione dell’art. 2043 cod. civ.: per principio altrettanto consolidato, l’azione di risarcimento del danno per violazione delle distanze legali fra costruzioni, al pari di quella di riduzione in pristino, si ricollega ad una obbligazione propter rem e va di conseguenza proposta nei confronti dell’attuale proprietario dell’edificio trovantesi in obiettiva situazione di lesione del diritto del vicino, indipendentemente dal fatto che l’edificio stesso sia stato in precedenza da altri realizzato (Cass. Sez. 2, n. 6078 del 16/06/1990; Sez. 3, n. 7680 del 10/07/1991).
Con il settimo motivo, articolato in riferimento ai n. 3 e 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., i ricorrenti hanno infine censurato la statuizione sulle spese dell’impugnata sentenza per violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ.: la Corte d ‘ appello non avrebbe considerato la reciproca soccombenza, conseguente al rigetto della domanda relativa alla pretesa occupazione di una porzione di suolo.
7.1. Il motivo è infondato. Per principio consolidato, il sindacato della Corte di Cassazione sulla statuizione sulle spese è limitato ad accertare che non risulti violato il principio di non imputabilità delle stesse alla parte totalmente vittoriosa: in conseguenza, esorbita dall’ambito di questo sindacato , perché investe l’esercizio di un potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass. Sez. 5, n. 15317 del 19/06/2013; Sez. 6 – 3, n. 24502 del 17/10/2017). Nella specie, la Corte d’appello ha esplicitamente motivato la condanna alle spese del doppio grado per la soccombenza «sostanziale».
Il ricorso è perciò, respinto, con conseguente condanna solidale dei ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo in relazione ai parametri fissati per le cause di valore indeterminabile.
Non ricorrono i presupposti per la condanna dei ricorrenti al pagamento di un’ulteriore somma ai sensi dell’art. 96 comma 3 cod. proc. civ., come richiesto dalla controricorrente, perché il ricorso, seppure risultato infondato, non costituiva abuso dello strumento dell’impugnazione.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro
3.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda