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Trasferimento lavoratore: quando è illegittimo?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’azienda contro la sentenza che annullava il trasferimento di una lavoratrice. La dipendente, riammessa in servizio dopo una causa, era stata immediatamente trasferita in un’altra regione. L’azienda ha giustificato il provvedimento sulla base di un accordo sindacale per la gestione delle eccedenze di personale. La Suprema Corte ha stabilito che tale accordo non esonera il datore di lavoro dal provare le specifiche e concrete ragioni tecniche, organizzative e produttive che legittimano il singolo trasferimento lavoratore, confermando l’illegittimità della decisione aziendale.

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Pubblicato il 9 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Trasferimento lavoratore: l’accordo sindacale non basta a giustificarlo

Il tema del trasferimento lavoratore è una questione delicata che tocca gli equilibri tra le esigenze produttive dell’azienda e i diritti del dipendente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: un accordo collettivo, pur pensato per gestire situazioni di crisi o squilibrio occupazionale, non può sostituirsi alla prova concreta delle ragioni che giustificano il trasferimento del singolo dipendente. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine dalla riammissione in servizio di una lavoratrice a seguito di una sentenza che aveva accertato l’illegittimità di un precedente contratto di lavoro temporaneo, trasformandolo in un rapporto a tempo indeterminato. L’azienda, contestualmente alla comunicazione di riammissione presso la sede originaria, ne disponeva l’immediato trasferimento presso un’altra città, a centinaia di chilometri di distanza.

La motivazione addotta dall’azienda si basava sull’impossibilità di impiegare la dipendente nella sede di provenienza per mancanza di posti disponibili, facendo riferimento a un Accordo Quadro siglato con le organizzazioni sindacali per gestire le eccedenze di personale. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva giudicato illegittimo il trasferimento, ritenendo che l’azienda non avesse fornito prove adeguate delle necessarie ragioni tecniche, organizzative o produttive, come richiesto dall’art. 2103 del Codice Civile. L’azienda ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

Le motivazioni sul trasferimento lavoratore

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso dell’azienda inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. Le motivazioni della Suprema Corte sono chiare e si fondano su principi consolidati in materia di diritto del lavoro.

L’Onere della Prova a Carico del Datore di Lavoro

Il punto centrale della decisione è che il rispetto di un accordo sindacale non esonera l’azienda dall’onere di provare le ragioni legittimanti il singolo trasferimento lavoratore. La disciplina legale prevista dall’art. 2103 c.c. è di rango superiore rispetto a quella contrattuale collettiva. Pertanto, spetta sempre al datore di lavoro dimostrare, in modo specifico e puntuale, l’esistenza di effettive esigenze tecniche, organizzative e produttive che rendano necessario lo spostamento di quel determinato dipendente.

Nel caso di specie, l’azienda si era limitata a produrre elenchi generici di posti disponibili in altre regioni e report che attestavano la copertura totale dei posti nella sede di provenienza. Secondo la Corte, questi documenti non erano sufficienti, in quanto offrivano una visione statica e non rappresentativa della dinamica occupazionale reale, che avrebbe potuto evidenziare scoperture di posti anche nel breve periodo.

I Limiti dell’Autonomia Collettiva

La Corte ha inoltre ribadito che l’autonomia collettiva, ovvero il potere delle parti sociali (sindacati e associazioni datoriali) di regolare i rapporti di lavoro, non può derogare a norme di legge inderogabili. L’art. 2103 c.c., che tutela la stabilità della sede di lavoro del dipendente, è una di queste.

Di conseguenza, un accordo che preveda criteri generali per la mobilità del personale in situazioni di eccedenza non può essere interpretato come una ‘delega in bianco’ al datore di lavoro. L’accordo può stabilire le procedure, ma non può eliminare la necessità di una giustificazione concreta e verificabile per ogni singolo provvedimento di trasferimento.

Conclusioni

Questa ordinanza rafforza la tutela del lavoratore contro trasferimenti ingiustificati. La decisione della Cassazione serve da monito per le aziende: non è sufficiente invocare un accordo sindacale o una generica situazione di riorganizzazione per legittimare un trasferimento lavoratore. È indispensabile fornire prove concrete, specifiche e verificabili che dimostrino l’impossibilità di utilizzare il dipendente nella sede di origine e la necessità del suo impiego in quella di destinazione. In assenza di tale prova, il trasferimento è da considerarsi illegittimo e può essere annullato dal giudice, con il conseguente ordine di riassegnazione del lavoratore alla sede originaria o a una vicina.

Un accordo sindacale può da solo giustificare il trasferimento di un lavoratore?
No. Secondo la Corte di Cassazione, un accordo sindacale, anche se volto a gestire squilibri occupazionali, non esonera il datore di lavoro dal fornire la prova specifica delle ragioni tecniche, organizzative e produttive richieste dalla legge (art. 2103 c.c.) per ogni singolo trasferimento.

Chi deve provare la legittimità del trasferimento di un lavoratore?
L’onere della prova spetta sempre al datore di lavoro. È l’azienda che deve dimostrare in giudizio la sussistenza delle concrete esigenze che hanno reso necessario lo spostamento del dipendente.

Quale tipo di prova deve fornire il datore di lavoro per giustificare un trasferimento?
Il datore di lavoro deve fornire prove concrete e specifiche, non generiche. Documenti come elenchi di posti vacanti in altre sedi o report di copertura dell’organico nella sede di origine possono non essere sufficienti se non rappresentano la dinamica effettiva della realtà aziendale e non dimostrano l’impossibilità di impiegare il lavoratore nella sede di provenienza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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