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Spese di lite: quando paga la parte vittoriosa?

Una farmacia, dopo aver ricevuto il pagamento del capitale dovuto da un’Azienda Sanitaria Locale, proseguiva la causa per ottenere gli interessi moratori. La Corte d’Appello negava gli interessi e compensava parzialmente le spese di lite. La farmacia ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo di non dover pagare le spese essendo vincitrice sulla domanda principale. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, chiarendo che in caso di soccombenza parziale, il giudice ha il potere discrezionale di ripartire le spese di lite, con l’unico limite di non poterle addebitare alla parte totalmente vittoriosa.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Spese di lite e soccombenza parziale: chi paga quando si vince a metà?

La gestione delle spese di lite rappresenta uno degli aspetti più delicati di un contenzioso. La regola generale è semplice: chi perde, paga. Ma cosa succede quando l’esito non è una vittoria netta? Se una parte vince sulla richiesta principale ma perde su un punto accessorio, può essere comunque tenuta a pagare una parte dei costi? A questa domanda ha dato una risposta chiara la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 8909/2024, delineando i confini del potere del giudice nella ripartizione dei costi processuali.

I Fatti del Caso: Dagli Interessi Moratori alla Questione sulle Spese di Lite

La vicenda trae origine da un contenzioso tra il titolare di una farmacia e un’Azienda Sanitaria Locale (ASL) per il ritardato pagamento di alcune forniture di medicinali. Prima che il decreto ingiuntivo venisse notificato, l’ASL aveva già saldato la somma capitale. La causa è quindi proseguita unicamente sulla pretesa accessoria della farmacia, relativa al pagamento degli interessi moratori secondo la disciplina più onerosa prevista per le transazioni commerciali (D.Lgs. 231/2002).

La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, ha stabilito che tale disciplina non fosse applicabile al rapporto tra farmacie e Servizio Sanitario Nazionale, di natura amministrativa e non puramente commerciale. Di conseguenza, ha respinto la domanda sugli interessi. Tuttavia, riguardo alle spese di lite, la Corte ha deciso per una compensazione parziale, ponendo la restante parte a carico della farmacia. Quest’ultima, ritenendosi la vera vincitrice (dato che il capitale era stato pagato), ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione proprio sulla ripartizione dei costi.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della farmacia, confermando la legittimità della decisione della Corte d’Appello sulla ripartizione delle spese. I giudici hanno chiarito che il principio della soccombenza non va applicato in modo frammentario, ma deve essere valutato in base all’esito complessivo e finale del giudizio.

Le Motivazioni della Corte: Il Principio di Soccombenza Globale

La Cassazione ha basato la sua decisione su alcuni principi cardine della procedura civile.

Innanzitutto, quando un giudice d’appello riforma, anche solo parzialmente, una sentenza, ha il dovere di procedere a un nuovo regolamento delle spese di lite per tutti i gradi di giudizio. Questa valutazione deve basarsi sull’esito finale della controversia. Nel caso di specie, la farmacia, pur avendo incassato il capitale, ha perso la sua battaglia legale sulla specifica questione degli interessi, risultando così “parzialmente soccombente”.

In secondo luogo, la Corte ha ribadito che il giudice del merito gode di un ampio potere discrezionale nel decidere se compensare le spese in tutto o in parte quando vi è una soccombenza reciproca o parziale. L’unico limite invalicabile, sancito dall’art. 91 del codice di procedura civile, è il divieto di condannare al pagamento delle spese la parte che è risultata completamente vittoriosa.

Poiché la farmacia non era totalmente vittoriosa, avendo visto respinta la sua domanda sugli interessi, la decisione della Corte d’Appello di porre a suo carico una parte dei costi era pienamente legittima e non sindacabile in sede di legittimità.

La Corte ha anche respinto il secondo motivo di ricorso, con cui la farmacia lamentava il mancato riconoscimento di un precedente giudicato favorevole. I giudici hanno ricordato che la prova del passaggio in giudicato di una sentenza richiede la produzione della stessa corredata dall’attestazione formale della cancelleria, non essendo sufficiente la mera non contestazione da parte dell’avversario.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Chi Affronta un Contenzioso

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: vincere sulla domanda principale non garantisce di essere esentati dal pagamento delle spese di lite. Se si decide di proseguire un giudizio per pretese accessorie e queste vengono respinte, si viene considerati “parte parzialmente soccombente”. Questa qualifica conferisce al giudice il potere di addebitare una quota, o addirittura la totalità in caso di compensazione, delle spese legali. Pertanto, prima di insistere su punti secondari di una controversia, è fondamentale valutare attentamente il rischio di un esito sfavorevole che potrebbe avere ripercussioni significative sui costi finali del processo.

Se una parte vince la causa principale ma perde su una richiesta accessoria, può essere condannata a pagare le spese di lite?
Sì. Secondo la Corte, in caso di soccombenza parziale (vittoria su alcuni punti e sconfitta su altri), il giudice può decidere di compensare le spese o porne una parte a carico della parte parzialmente vittoriosa. L’unica regola è che la parte interamente vittoriosa non può essere condannata al pagamento delle spese.

Come si valuta la ‘soccombenza’ per decidere sulle spese di lite?
La soccombenza va valutata sull’esito finale complessivo della lite, non sulle singole fasi o sui singoli gradi di giudizio. Se una corte d’appello riforma una sentenza, deve riconsiderare da capo la ripartizione delle spese di entrambi i gradi in base al nuovo esito.

Per provare che una sentenza è passata in giudicato è sufficiente che la controparte non contesti il fatto?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che per dimostrare l’esistenza di un giudicato è necessario produrre la sentenza con l’apposita attestazione di cancelleria (ex art. 124 disp. att. c.p.c.) che ne certifichi il passaggio in giudicato. La mera non contestazione da parte dell’avversario non è sufficiente a esonerare da tale onere probatorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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