Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8909 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8909 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31960/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE NOME, titolare della RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), pec: EMAIL;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore Generale e legale rappresentante p.t., NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), pec: EMAIL; -controricorrente- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di RAGIONE_SOCIALE n. 389/2020, depositata il 09/04/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza n. 552/2016, accogliendo parzialmente l’opposizione della RAGIONE_SOCIALE, revocava il decreto n. 3447/10 con cui le era stato ingiunto di pagare la somma di euro 28.405,31, oltre agli interessi moratori ex artt. 4 e 5 d.lgs. n. 231/2002, per ricette di specialità medicinali spedite nel mese di gennaio 2010, e, accertando l’avvenuto pagamento della sorte capitale prima del deposito del decreto ingiuntivo, riconosceva all’opposto il diritto agli interessi ai sensi del d.lgs. n. 231/2002 La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza n. 389/2020, depositata il 09/04/2020, investita dell’impugnazione dalla RAGIONE_SOCIALE che lamentava l’erronea applicazione del d.lgs. n. 231/2002, ha ritenuto inapplicabile il saggio di interessi previsto dal d.lgs. n. 231/2002, perché il rapporto tra il RAGIONE_SOCIALE e le farmacie RAGIONE_SOCIALE deriva da una fonte non negoziale, ma legale e amministrativa, cioè dall’art. 8 del d.lgs. n 502/1992 e dal relativo regolamento che rende esecutivo l’accordo collettivo nazionale, approvato con dpr n. 371/1998, in base al quale sono state redatte le convenzioni; ha dichiarato inammissibile l’eccezione di giudicato formulata dalla parte appellata; ha compensato per metà le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio e ha posto la restante metà a carico dell’appellata, in forza dei principi di causalità e di soccombenza.
NOME, nella qualità di titolare dell’omonima farmacia, ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando due motivi. Resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
Il ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 91 e 92 cod.proc.civ. per avere la Corte d’appello erroneamente compensato per metà le spese di giudizio e condannato l’appellata alla rifusione dell’altra metà in favore dell’appellante, sebbene quest’ultima fosse soccombente nel merito quanto alla domanda principale.
La tesi del ricorrente è che, essendo stato accolto il gravame unicamente riguardo alla pretesa accessoria degli interessi e non essendo stato contestato dalla RAGIONE_SOCIALE il credito richiesto in via monitoria a titolo di sorte capitale (tant’è che la RAGIONE_SOCIALE aveva accreditato, prima della notifica del decreto ingiuntivo, euro 28.405,00), la Corte territoriale abbia erroneamente regolato le spese di lite, non applicando il principio secondo il quale l’attore parzialmente vittorioso non può essere condannato alle spese della controparte, salva l’ipotesi prevista dall’articolo 91, 1° comma, cod.proc.civ., a mente del quale nel regime normativo posteriore alle modifiche introdotte dalla legge n. 69/2009 in caso di accoglimento parziale della domanda il giudice può compensare in tutto o in parte le spese sostenute dalla parte vittoriosa, ma questa non può essere condannata neppure parzialmente a rifondere le spese della controparte, poiché tale condanna è consentita solo per l’eccezionale ipotesi di accoglimento della domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa; in aggiunta, ai fini della condanna alle spese di giudizio, la valutazione di soccombenza va sempre rapportata all’esito finale della lite anche nell’ipotesi di giudizio seguito ad opposizione e x art. 645 cod.proc.civ., sicché non può considerarsi soccombente il creditore opposto che veda conclusivamente riconosciuto anche in parte minima il proprio credito rispetto alla domanda monitoria, legittimamente subendo la revoca integrale del decreto ingiuntivo e
la condanna alla restituzione di quanto, eccedente rispetto al dovuto, percepito in dipendenza della provvisoria esecutività del provvedimento monitorio; il ricorrente aggiunge che il rigetto in sede di gravame della domanda meramente accessoria, relativa al pagamento degli interessi, a fronte dell’integrale accoglimento di principale proposta dalla stessa parte, non configura un’ipotesi di parziale reciproca soccombenza, né in primo grado né in appello, sicché non può giustificare la compensazione delle spese di lite ai sensi dell’art.92 cod.proc.civ. (allo scopo evoca la giurisprudenza di questa Corte relativa al regolamento delle spese di lite, ove sia rigettata la domanda di condanna ai sensi dell’art. 96 cod.proc.civ.). Di conseguenza, la Corte d’appello a suo giudizio avrebbe dovuto condannare la RAGIONE_SOCIALE, previa parziale compensazione, al pagamento delle spese e competenze di tutti i gradi di giudizio in favore dell’appellato o, in subordine, compensarle integralmente.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2909 e 2697 cod.civ., dell’art. 115 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., per non avere la decisione impugnata ritenuto provata l’esistenza, non contestata ex adverso , di cosa giudicata tra le parti, eccepita in primo grado e nuovamente in appello, in relazione alla sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore n. 1263/2009 che aveva riconosciuto la debenza degli interessi di cui al d.lgs. n. 231/2002.
Attinta da censura è la statuizione con cui la Corte d’appello ha attribuito rilievo alla mancanza della certificazione di cancelleria redatta ai sensi dell’art. 124 disp. att. cod.proc.civ. Secondo il ricorrente l’onere di provare il giudicato attraverso la certificazione richiesta dal giudice a quo è da escludere ove la circostanza, cioè la mancata proposizione di impugnazione avverso il provvedimento in questione, non sia contestata ovvero sia anche solo implicitamente ammessa, come nel caso di specie, perché la certificazione di cui all’art. 124 disp. att. cod.proc.civ. non è una prova risolutiva e
neppure indispensabile, tant’è che tutto ciò che il cancelliere certifichi in positivo o negativo è suscettibile di prova contraria, perché vi sono elementi che sfuggono alla sua conoscenza e alla sua competenza: se rilasciata, di essa può essere provato il contrario, se non rilasciata, la prova del passaggio in giudicato può essere data in altro modo, spettando al giudice davanti al quale venga dedotta l’esistenza di un giudicato per basarvi una domanda o un’eccezione accertare pregiudizialmente se quel giudicato vi sia, quale ne sia il contenuto e quali gli effetti sulla materia del contendere, siccome spetta al giudice prendere atto dei fatti incontroversi ai fini della valutazione del passaggio in giudicato.
Va esaminato in via prioritaria il secondo motivo di ricorso, perché il suo eventuale accoglimento determinerebbe l’assorbimento del primo.
Il motivo è infondato.
Non vi è ragione di discostarsi dall’orientamento di questa Corte, ribadito anche di recente (cfr. Cass. 28/12/2023, n.36258), secondo il quale colui che afferma il passaggio in giudicato di una decisione resa in altro giudizio deve dimostrare l’avvenuta formazione del giudicato, producendo la sentenza corredata dell’attestazione dell’intervenuto passaggio in giudicato di cui all’art. 124 disp. att. cod.proc.civ., per ragioni di ordine pubblico processuale, a tutela della certezza del diritto, e, in considerazione, della manifesta facilità di conseguire la prova del giudicato.
L’eccipiente può essere esonerato dall’onere di produrre la certificazione qualora la controparte ‘ammetta esplicitamente l’intervenuta formazione del giudicato esterno (…)”, ma non nell’ipotesi di mera non contestazione del giudicato, cui non può attribuirsi il significato di ammissione della definitività della decisione (in senso conforme, già Cass. 09/03/2022, n. 7740; Cass. 22/02/2018, n. 4308).
Il ricorrente si limita ad affermare a p. 8 e a p. 9 che la controparte non aveva contestato la mancata proposizione di impugnazione avverso la pronuncia del Tribunale di Vicenza e che non era stata oggetto di contestazione, tantomeno specifica, l’esistenza del giudicato tra le parti, ma tale contegno processuale non può integrare ammissione esplicita dell’esistenza del precedente giudicato e, dunque, non può esonerare l’odierno ricorrente dall’onere di produrre tempestivamente il provvedimento giudiziale corredato da idonea certificazione ex art. 124 disp. att. cod.proc.civ., comprovante che entro i termini di legge non era stata proposta impugnazione.
Il primo motivo è infondato.
Va rilevato che:
-avendo riformato la sentenza di prime cure, la Corte d’appello era tenuta a disporre un nuovo regolamento delle spese di lite (‘ Il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, poiché gli oneri della lite devono essere ripartiti in ragione del suo esito complessivo, mentre in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata dal giudice del gravame soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione’: Cass. 13/07/2020, n.14916) ;
il criterio della soccombenza di cui all’art. 91 cod.proc.civ., al fine della determinazione dell’onere delle spese processuali, non si fraziona secondo l’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite e che, conseguentemente, quante volte il giudice d’appello riformi anche solo parzialmente la sentenza, deve procedere anche d’ufficio ad un nuovo regolamento pure delle spese del primo grado; sicché viola il principio di cui all’art. 91 cod.proc.civ., il giudice di merito che ritenga la parte
soccombente in un grado di giudizio e, invece, vincitrice in un altro grado (cfr., da ultimo, Cass. n. 6259/2014);
-l’individuazione della parte soccombente, ai fini della condanna al pagamento delle spese processuali, è rimessa al potere discrezionale del giudice del merito, e la conseguente pronuncia è sindacabile in sede di legittimità nella sola ipotesi in cui dette spese, anche solo parzialmente, siano state poste a carico della parte totalmente vittoriosa (cfr. Cass. 22/09/2020, n. 19854).
-l’odierno ricorrente, all’esito del giudizio di appello, era risultato parzialmente soccombente;
-la Corte d’appello, ponendo a suo carico, dopo averle compensate per metà, il resto delle spese di lite non ha violato la regola che vieta che il pagamento delle spese di lite possa essere posto a carico della parte totalmente vittoriosa;
spetta al giudice di merito valutare se compensare le spese e in che misura compensarle;
il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese e che con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di Cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa (ipotesi che non si è verificata nel caso in esame), con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito valutare l’opportunità della soccombenza totale o parziale e provvedere alla quantificazione, con l’unico divieto di non eccedere i limiti minimi e massimi fissati dalle tabelle vigenti (cfr. ex plurimis Cass. 2/09/2020, n.18218).
Per completezza va anche osservato che non è pertinente l’evocazione della giurisprudenza che ritiene che il rigetto della
domanda accessoria di cui all’art. 96 cod.proc.civ. non dia luogo a soccombenza.
Soprattutto con la pronuncia n. 22952 del 13/09/2019 è stato precisato che l’impossibilità di dichiarare la soccombenza reciproca e la compensazione ex art. 92 cod.proc.civ. si fonda non tanto sulla natura della domanda di lite temeraria, “pur indubbiamente accessoria”, quanto sull’accertamento della totale soccombenza del soggetto presunto litigante temerario.
Il ragionamento seguito è il seguente: la domanda di condanna per responsabilità aggravata ha natura accessoria rispetto alla domanda principale di merito proposta dallo stesso istante. Il presupposto principale, ma non esclusivo, per l’esame, e quindi per la decisione, sulla domanda di lite temeraria è la soccombenza del soggetto contro cui viene proposta che di riflesso implica l’accoglimento della domanda principale del soggetto che chiede la condanna ex art. 96 cod.proc.civ..
Ove il soggetto contro cui è proposta la domanda di lite temeraria venga dichiarato soccombente rispetto alla domanda principale del giudizio, sussistono i requisiti per decidere sulla responsabilità aggravata.
In caso di rigetto dell’istanza avanzata ai sensi dell’art. 96 cod.proc.civ., stante la sua natura accessoria, non si possono ritenere sussistenti oneri processuali imputabili all’istante, tali da giustificare, in forza del principio di causalità, la soccombenza reciproca.
Gli oneri processuali eventualmente derivanti dal rigetto della domanda di responsabilità aggravata, infatti, rimangono assorbiti dall’accoglimento della domanda principale, stante la loro accessorietà.
La pronuncia n. 15102 del 31/05/2021 ha condiviso la giurisprudenza più recente circa il fatto che l’accessorietà “colloca la domanda di condanna al risarcimento da lite temeraria
all’esterno, per così dire, della regiudicanda, venendone a costituire solo una conseguenza, al pari della condanna alle spese di lite, e non, quindi, compartecipando direttamente ad essa”, con conseguente impossibilità di ravvisare nella domanda di condanna, ai sensi dell’art. 96 cod.proc.civ., “una domanda che possa contrapporsi, ai fini della soccombenza reciproca, ad altra domandache invece fa parte del vero e proprio thema decidendum in diretta relazione/finalizzazione al quale è stato instaurato il processo”, perché “il giudizio, infatti, viene instaurato a causa della necessità di decidere su un determinato oggetto, che ne costituisce appunto il vero obiettivo, mentre la decisione sulle spese di lite e sulla temerarietà dell’azione o della resistenza all’azione costituiscono un accessorio della pronuncia, accertatoria e/o costitutiva e/o di condanna, che viene perseguita per il reale oggetto del giudizio”.
Ha precisato che “nel momento in cui, invece, un grado di giudizio è definito, il criterio per identificare, qualora non si sia raggiunto con esso il giudicato, il contenuto del grado successivo è quello della devoluzione, ovvero dell’oggetto di impugnazione. A tale oggetto devoluto, dunque, deve a questo punto rapportarsi la causazione: se, quindi, una questione in termini di spese di lite come regolate nel presente giudizio o una questione relativa alla concessione o al diniego della condanna per lite temeraria diventano oggetto di un motivo di impugnazione, esse vengono inglobate nel thema decidendum , non rivestendo più alcuna accessorietà (…). Conseguenza, allora, dell’introduzione della condanna o del diniego di condanna per lite temeraria in uno dei motivi dell’impugnazione, e dunque nel devolutum in senso pieno svincolandosi dall’accessorietà – è che, se tale motivo viene accolto in un contesto in cui gli altri motivi vengono disattesi, non risulta sostenibile che non si configuri una parziale soccombenza”.
Va, dunque, esclusa la possibilità di equiparare la domanda ex art. 96 cod.proc.civ. a quella avente ad oggetto la riforma della sentenza di primo grado in punto di determinazione degli interessi.
Il ricorso, per le ragioni esposte, va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in euro 2.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile