Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21513 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21513 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28466 R.G. anno 2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALECassa RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
ricorrente
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi di NOME COGNOME e NOME COGNOME, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME e dall’avvAVV_NOTAIO NOME COGNOME, presso la quale sono domiciliati;
contro
ricorrenti
nonché contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME , rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, domiciliati presso l’avvAVV_NOTAIO NOME COGNOME ;
contro
ricorrenti nonché contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, quali eredi di NOME COGNOME, e COGNOME NOME, in proprio e nella predetta qualità, rappresentati e difesi dall’avvAVV_NOTAIO NOME COGNOME, dall’avvAVV_NOTAIO NOME COGNOME e dall’avvAVV_NOTAIO NOME COGNOME, presso il quale sono domiciliati ;
contro
ricorrenti
nonché contro
Reali NOME , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO; controricorrente
nonché contro
COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME e COGNOME NOME;
intimati avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 786/2020 depositata il 24 marzo 2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31 maggio 2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. ─ NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno convenuto in giudizio innanzi al Tribunale di Milano RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ora RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, per ottenere il risarcimento dei danni loro cagionati dall’attività di un dipendente della banca, NOME COGNOME, il quale – è stat o dedotto aveva effettuato plurime operazioni sui conti intestati agli attori in mancanza di una loro autorizzazione, con ciò determinando consistenti ammanchi.
La banca si è costituita in giudizio, contestando le richieste degli
attori e ottenendo di chiamare in causa la propria compagnia assicuratrice, RAGIONE_SOCIALE, e i soggetti beneficiari dei versamenti dedotti in giudizio.
In esito all’istruttoria, il Tribunale, accertata la falsità di gran parte delle sottoscrizioni disconosciute da COGNOME, ha condannato la banca al risarcimento del danno in favore degli attori limitatamente alla somma di euro 329.000,00; ha condannato i terzi chiamati NOME COGNOME e NOME COGNOME, da un lato, e NOME COGNOME e NOME COGNOME , dall’altro, alla restituzione, in favore degli attori -che avevano esteso la loro domanda nei confronti dei predetti -delle somme, rispettivamente, di euro 760.000,00 e di euro 500.000,00, accreditate sui loro conti; ha condannato le terze chiamate NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME alla restituzione, in favore della banca, di altri importi, pari rispettivamente ad euro 24.000,00, 20.000,00 e 50.000,00; ha condannato la banca e COGNOME al risarcimento del danno in favore della terza chiamata COGNOME; ha disatteso le altre domande.
2. A fronte dei diversi appelli proposti contro la sentenza di primo grado da NOME COGNOME, da NOME COGNOME, dagli eredi di NOME COGNOME, da NOME COGNOME, dagli eredi di NOME COGNOME, da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a., da NOME COGNOME e da NOME COGNOME, la Corte distrettuale di Milano ha reso sentenza con cui: ha dichiarato inammissibili le domande subordinate proposte da NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME e, rispettivamente, di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, eredi, insieme alla stessa COGNOME, di NOME COGNOME; ha respinto le domande subordinate proposte dalla banca contro i predetti COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME; in accoglimento dell’appello incidentale di NOME COGNOME e NOME COGNOME ha condannato RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni nella complessiva somma di euro 1.330.000,00, oltre rivalutazione e interessi; ha accolto l’appello incidentale proposto da
NOME COGNOME, disponendo che sulla somma di euro 50.000,00, da portare in compensazione con la maggior somma di euro 342.050,00, non andassero calcolati interessi.
In sintesi, e per quanto qui rileva, la Corte di appello ha ritenuto che le domande proposte da COGNOME e COGNOME nei confronti di COGNOME e COGNOME e di COGNOME e COGNOME fossero inammissibili, in quanto tardive, essendo state spiegate oltre la prima udienza di trattazione; ha ritenuto sussistente la responsabilità della banca per le condotte illecite poste in essere da COGNOME, stante il nesso di occasionalità necessaria esistente tra le medesime e le incombenze assegnate dalla banca stessa al suo dipendente; ha escluso che si configurasse un concorso colposo dei clienti nella produzione del danno occorso; ha conferito rilievo all ‘accoglimento, con sentenza non ancora passata in giudicata, della querela di falso proposta da COGNOME e COGNOME nei confronti di dichiarazioni a firma del primo con cui si era dato atto che i prelievi, operati dai conti, oggetto di contestazione, servivano per «necessità di cassa a fronte di pagamenti relativi» all’ attività dello stesso (dichiarazione cui il Tribunale aveva conferito valore confessorio, tale da preludere alcun ulteriore accertamento circa l’imputabilità del prelievo a COGNOME); ha conseguentemente rilevato che, essendo le dette dichiarazioni inutilizzabili in quanto false, i prelievi effettuati sui conti dei nominati COGNOME e COGNOME con firme apocrife costituivano «fonte di responsabilità per la banca, essendo stati posti in essere illegittimamente dal COGNOME nello svolgimento della sua attività di dipendente»: di qui la condanna di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno quantificato nella misura di euro 1.330.000,00; con riguardo alle domande subordinate spiegate dall’ istituto di credito nei confronti di COGNOME e COGNOME e di COGNOME e COGNOME (per importi che sarebbero affluiti sui conti degli stessi, e corrispondenti alle somme oggetto degli illeciti prelievi operati in danno di COGNOME e COGNOME) la Corte, dopo aver escluso che l’es istenza di rimesse prive di titolo fosse pacifica in causa,
ha ritenuto che la banca non avesse fornito la prova che sui conti di COGNOME e COGNOME e di COGNOME e COGNOME fossero stati «effettuati nel corso del rapporto accrediti non corrispondenti a somme dovute ai correntisti».
3. – RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha impugnato per cassazione la sentenza della Corte di appello di Milano, pubblicata il 24 marzo 2020, facendo valere cinque motivi di ricorso. Resistono con controricorso le parti indicate in epigrafe. Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Il primo motivo oppone la nullità del procedimento e della sentenza. Si lamenta che la Corte di appello abbia escluso ricorressero i presupposti per la sospensione del processo con riguardo al giudizio di falso proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME: giudizio che, al momento della decisione impugnata, risultava essere stato definito con sentenza della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE suscettibile di impugnazione per cassazione. Si assume che in tal modo il Giudice distrettuale aveva mancato di applicare la sospensione necessaria i mposta dall’art. 355 c.p.c. per il caso in cui la querela di falso venga proposta in appello. Si aggiunge che la sospensione era tanto più necessaria in considerazione della persistente pendenza del giudizio di querela di falso proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME all’udienza del 25 marzo 2014, con riferimento al quale era stata resa, da parte della Corte di appello di Milano, una pronuncia che non si era dedotto essere passata in giudicato (e che quindi, al pari della prima, doveva ritenersi ricorribile per cassazione).
Col secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza e del procedimento. Viene lamentato che la Corte di appello, pur avvertita del fatto che non costituiva res iudicata la sentenza della Corte di RAGIONE_SOCIALE, riferita ai documenti che riconoscevano la legittimità dei prelievi (quelli di euro 760.000,00 ed euro 100.000,00, dell’11 luglio 2002, e quello di euro 500.000,00, del 26 settembre 2002), abbia poi
svolto una disamina delle risultanze del processo relativa al falso «per far propria la provvisoria statuizione della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE» che aveva disconosciuto l’autenticità delle dette dichiarazioni.
I due motivi sono infondati.
Occorre dare atto che risulta passata in giudicato la sentenza della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE che aveva pronunciato sulla querela di falso introdotta da COGNOME e COGNOME: infatti, questa Corte di legittimità, con ordinanza n. 4013 del 14 febbraio 2024, ha respinto il ricorso per cassazione avverso la pronuncia del Giudice del distretto ligure. Con riguardo a tale profilo il motivo si profila dunque inammissibile per sopravvenuto venir meno della materia controversa, e quindi dell’interesse a ricorrere.
Il motivo era comunque all’origine privo di fondamento .
Salvi i casi in cui la sospensione del giudizio sulla causa pregiudicata sia imposta da una disposizione specifica, che richieda di attendere la pronuncia con efficacia di giudicato sulla causa pregiudicante, quando fra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità, e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato non è doverosa, bensì facoltativa ai sensi dell’art. 337, comma 2, c.p.c., come si desume dall’interpretazione sistematica della disciplina del processo (in particolare, dall’art. 282 c.p.c.), alla cui stregua il diritto pronunciato dal giudice di primo grado qualifica la posizione delle parti in modo diverso rispetto allo stato iniziale della lite, giustificando sia l’esecuzione provvisoria, sia l’autorità della sentenza di primo grado (Cass. 29 marzo 2023, n. 8885; Cass. 4 gennaio 2019, n. 80; Cass. Cass. 3 novembre 2017, n. 26251). Tale regola trova applicazione anche nel caso in cui la sospensione sia disposta dalla corte di appello per l’intervenuta proposizione della querela di falso, giusta l’art. 355 c.p.c.; ciò è quanto è avvenuto nella presente causa: con ordinanza del 14 maggio 2014 il giudizio di gravame è stato infatti sospeso in ragione
delle querele di falso proposte da COGNOME COGNOME e da COGNOME COGNOMECOGNOME Pure nell’ipotesi di querela di falso la sospensione, una volta intervenuta la pronuncia, è meramente facoltativa. Questa Corte ha in proposito rilevato che n ell’ipotesi di querela di falso proposta in via incidentale, una volta intervenuta la corrispondente decisione del collegio, il giudizio sulla causa di merito, sospeso ex lege , deve riprendere e, se la sentenza sul falso viene impugnata, il giudice ha la facoltà di disporre la sospensione di quel giudizio ex art. 337, comma 2, c.c. (Cass. 16 maggio 2017, n. 12035): solo la facoltà, va sottolineato, non l’obbligo. S ostanzialmente, tra il processo di falso e la causa di merito rilevante ai fini della sospensione sussiste un rapporto di pregiudizialità, riconosciuto dal legislatore nella forma tipica della pregiudizialitàdipendenza prevista dall’art. 225, comma 2, c.p.c., riconducibi le all’area della sospensione necessaria, cui consegue, in assenza di norme specifiche che impongano la permanenza della sospensione sino al passaggio in giudicato della sentenza sulla causa pregiudicante, l’applicabilità della sospensione facoltativa, ove ricorrano le condizioni previste al comma 2, dell’art. 337 c.p.c..
La Corte territoriale, dunque, ben poteva decidere la causa devoluta alla sua cognizione conformandosi alla sentenza resa dalla Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE, ancorché la stessa non fosse passata in giudicato. Lo stesso discorso vale, naturalmente, per la pronuncia della Corte di Milano, afferente la querela di falso proposta da COGNOME e COGNOME: in ragione di quanto sopra osservato è erroneo l’assunto della banca per cui la pendenza di tale giudizio imponesse la sospensione del gravame cui ha messo capo la sentenza impugnata.
2. Col terzo motivo è prospettata la motivazione inesistente, in quanto apparente, con riferimento alla domanda di indebito proposta da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME. Si deduce che la Corte di appello avrebbe prima aderito senza riserve alla ricostruzione testimoniale circa l’esistenza di un collegamento tra il
prelievo di euro 500.000,00 dal conto di COGNOME e COGNOME ed il versamento sul conto di COGNOME e COGNOME e poi negato che il passaggio di somme fosse avvenuto.
Il quarto mezzo oppone la motivazione inesistente, in quanto apparente, con riferimento alla domanda di indebito proposta da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME. Si deduce che l’affermazione, contenuta nella sentenza, per cui non vi sarebbe prova che la somma di euro 760.000,00 versati sul conto di COGNOME provenissero dai conti di COGNOME, si porrebbe in contraddizione con la ricostruzione dei fatti fornita da una persona assunta a sommarie informazioni della polizia tributaria di Milano.
I due motivi sono inammissibili.
Essi investono la statuizione con cui la Corte di appello ha respinto la domanda proposta in via subordinata dalla banca, e intesa ad ottenere la ripetizione delle somme che, in tesi, sarebbero state riversate sui conti delle parti sopra indicate a seguito degli illeciti prelievi operati da COGNOME ai danni di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
I due mezzi di censura non si mostrano aderenti alla decisione impugnata e riflettono, per tale ragione, doglianze non riconducibili alla previsione dell’art. 366, n. 4, c.p.c. (Cass. 3 luglio 2020, n. 13735; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910; Cass. 7 novembre 2005, n. 21490). La ricorrente, infatti, omette di considerare che, secondo la Corte di merito, la domanda di ripetizione non poteva essere accolta in considerazione della mancata prova che sui conti di COGNOME e COGNOME e di COGNOME e COGNOME erano stati «effettuati nel corso del rapporto accrediti non corrispondenti a somme dovute ai correntisti». La decisione impugnata si fonda, cioè, non sulle dubbie evidenze delle intercorse movimentazioni, ma sulla mancata prova (che incombeva sulla banca) quanto al fatto che le giacenze presenti sui conti risultassero alimentate da accrediti cui gli indicati correntisti non avevano diritto.
Anche a voler prescindere da tale assorbente rilievo, la denunciata contraddittorietà comunque non si ravvisa. E’ sufficiente osservare, in proposito, quanto segue. Riguardo alla posizione di COGNOME e COGNOME, la Corte di merito non ha affatto basato la decisione sulla deposizione richiamata col terzo motivo: ha solo evAVV_NOTAIO la testimonianza resa nel giudizio di falso per dar conto del rapporto di occasionalità necessaria su cui doveva fondarsi la responsabilità della banca; ed è significativo, in proposito, che il Giudice del gravame riferisca la testimonianza al prelievo dal conto degli COGNOME e al versamento solo «apparente» (cfr. pag. 62 della sentenza impugnata) sul conto dei COGNOME. Ancora meno consistente è l’argomento speso col quarto motivo di ricorso: occorre infatti considerare che la Corte di appello, nel richiamato contesto motivazionale segnato dal nesso di occasionalità necessaria, ha evAVV_NOTAIO, in via generale, una serie di risultanze istruttorie, senza prendere specificamente in esame il brano trascritto dalla ricorrente a pagg. 33 s. del suo ricorso (brano che, oltretutto, sulla ricostruzione dell’accaduto pare veicolare mere supposizioni del teste).
3. -Col quinto motivo si prospetta l’ inesistenza della motivazione, in quanto apparente, con riguardo al concorso di colpa nella causazione del danno da parte di NOME COGNOME e NOME COGNOME. Ad essere censurata è l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, per cui il concorso di colpa doveva essere escluso in ragione del rapporto fiduciario esistente tra la banca e il cliente. Si sostiene che le condotte poste in essere dai clienti della banca e la completa omissione di un controllo sull’operato di COGNOME, nonostante la tempestiva informativa dell’istituto sulle operazioni effettuate sul conto, delineavano un contributo causale della negligenza degli attori nel prodursi del danno lamentato.
Il motivo è infondato.
La ricorrente non fa questione di una violazione e falsa
applicazione di norma giuridica, ma di un vizio motivazionale.
Sul punto la Corte di appello ha osservato che, in definitiva, il supposto concorso dei correntisti nella causazione del danno doveva escludersi in quanto quest’ultimo era «interamente ascrivibile alla condotta illecita del dipendente, idonea, per gli artifici che l’ caratterizzata ad interrompere qualsiasi nesso causale». Rammentato che la riformulazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83/2012, convertito in l. n. 134/2012, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054), è da osservare che l’argomentare della Corte di appello non si colloca al di sotto della soglia suddetta: è da escludere, in particolare, che ricorra la fattispecie della motivazione apparente, per tale dovendosi intendere solo la motivazione che, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. 1 marzo 2022, n. 6758; Cass. 23 maggio 2019, n. 13977).
4 . -Il ricorso è respinto.
– Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore di ogni parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 27.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater ,
del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione