Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9512 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 9512 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso 23252-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo RAGIONE_SOCIALE, – RAGIONE_SOCIALE ASSOCIATO Avv.to AVV_NOTAIO, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
R.G.N. 23252/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 14/02/2024
CC
avverso la sentenza n. 94/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 23/05/2019 R.G.N. 121/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/02/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
1. con sentenza 23 maggio 2019, la Corte d’appello di Venezia ha condannato RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di € 70.000,00 oltre accessori, in favore di NOME COGNOME a titolo risarcitorio per recesso anticipato senza giusta causa dal contratto a progetto tra le parti: così riformando la sentenza di primo grado, di reiezione della domanda del lavoratore; 2. contrariamente al Tribunale, essa ha ritenuto, in esito ad argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie, la prevalenza della copia del contratto a progetto tra le parti recante la correzione del numero ‘8’ con ‘9’ della data di scadenza (2009 anziché 2008), siglata in calce e a margine della pagina dal procuratore della società (sulla base della sua riconosciuta genuinità dalla perizia grafologica esperita, prevalente sulle diverse testimonianze raccolte; nonostante la mancata attribuzione dal C.t.u. della correzione al medesimo procuratore), anche in esito al tenore complessivo dell’atto; del contratto (al suo p.to g con decorrenza dal 01.06.2007 con scadenza il 31.05.200 ‘8’ anticipato di un anno privo di giusta causa, con
la Corte d’appello ha pertanto accertato la durata biennale : ‘la durata del progetto è di 24 mesi ‘, poi corretto in 200’9’), anche in ragione della determinazione del compenso ‘annuo’ in € 70.000,00; e quindi il recesso la determinazione del risarcimento in misura del compenso annuo di € 70.000,00 perdu to rispetto alla naturale scadenza.
con atto notificato il 17 luglio 2019, la società ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, cui il lavoratore ha resistito con controricorso;
entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c.
il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380 bis 1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
CONSIDERATO CHE
in via preliminare, occorre rilevare l’inammissibilità del ricorso di NOME COGNOME, per difetto di legittimazione attiva, come anche eccepito dal lavoratore in controricorso: essendosi egli costituito nel presente giudizio sia in qualità di legale rappresentante della ditta RAGIONE_SOCIALE, sia ‘ in proprio ‘, come risultante dall’intestazione del ricorso e da procura alle liti ad esso allegata.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, la qualità di parte legittimata a proporre ricorso per cassazione o per resistere ad esso spetta unicamente a chi abbia formalmente assunto la veste di parte nel giudizio di merito conclusosi con la decisione impugnata; con la conseguenza della dichiarazione di inammissibilità, per difetto di rituale instaurazione del processo, del ricorso per cassazione proposto da o contro soggetti diversi da quelli che sono stati parti nel giudizio di merito (Cass. S.U. 15145/2001, Cass. 16 giugno 2006, n . 13594).
Poiché la pronuncia gravata è stata pronunciata nei confronti del COGNOME, in qualità di amministratore unico della società RAGIONE_SOCIALE, ma non anche in nome proprio, il ricorso da questi proposto deve pertanto essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione;
2. la ricorrente ha dedotto violazione degli artt. 1742, secondo comma c.c., 216 c.p.c., 2702 c.c., 113 e 115 c.p.c., per extrapetizione della sentenza, per avere riconosciuto al lavoratore, nonostante la limitazione della domanda ‘all’importo di € 70mila oltre accessori, in relazione al mancato compenso del secondo anno’ , un’indennità risarcitoria, anziché retributiva come da lui richiesto (primo motivo);
3. esso è infondato;
4. il vizio di ultra o extra petizione ricorre, in linea generale, quando il giudice pronunci oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato; fermo restando che egli è libero non solo di individuare l’esatta natura dell’azione e di porre a base della pronuncia adottata considerazioni di diritto diverse da quelle prospettate, ma pure di rilevare, indipendentemente dall’iniziativa della parte convenuta, la mancanza degli elementi che caratterizzano l’efficacia costitutiva o estintiva di una data pretesa, in quanto ciò attiene all’obbligo inerente all’esatta applicazione della legge (Cass. 7 dicembre 2005, n. 26999; Cass. 5 agosto 2019, n. 20932).
In particolare, il giudice d’appello può qualificare il rapporto dedotto in giudizio in modo diverso rispetto a quanto prospettato dalle parti o ritenuto dal giudice di primo grado, purché non introduca nel tema controverso nuovi elementi di fatto, lasci inalterati il petitum e la causa petendi ed eserciti tale potere-dovere nell’ambito delle questioni, riproposte con il gravame, rispetto alle quali la qualificazione giuridica costituisca la necessaria premessa logico-giuridica, dovendo, altrimenti, tale questione preliminare formare oggetto di esplicita
impugnazione ad opera della parte che risulti, rispetto ad essa, soccombente (Cass. 15 maggio 2019, n. 12875); e salvo il caso in cui sulla qualificazione accolta da quest’ultimo si sia formato il giudicato interno e a condizione che i fatti costitutivi della diversa fattispecie giuridica oggetto di riqualificazione coincidano (o si pongano, comunque, in relazione di continenza) con quelli allegati nell’atto introduttivo (Cass. 28 dicembre 2023, n. 36272, che nella specie, in cui la domanda volta al recupero delle somme versate quali premi assicurativi di polizze rivelatesi false era stata qualificata dal giudice di primo grado azione di ripetizione dell’indebito, ha confermato la sentenza d’appello che l’aveva riqualificata come domanda di risarcimento del danno extracontrattuale, basandosi sui medesimi fatti oggetto dell’originaria prospettazione dell’attore, che faceva espresso riferimento alla condotta colposa delle promotrici finanziarie);
4.1. d’altro canto, costituisce domanda nuova, non proponibile per la prima volta in appello, quella che, alterando anche uno soltanto dei presupposti della domanda iniziale, introduca una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, inserendo nel processo un nuovo tema di indagine, sul quale non si sia formato in precedenza il contraddittorio (Cass. 11 aprile 2013, n. 8842; Cass. 27 settembre 2018, n. 23415);
5. nel caso di specie, il lavoratore ha richiesto l’accertamento di illegittimità del recesso datoriale, in quanto intempestivo e privo di giusta causa e del proprio diritto al ‘risarcimento dei danni’ da liquidare in un importo almeno pari ad € 150.000,00 , limitato ‘all’importo di € 70.000,00 oltre accessori in relazione al mancato compenso del secondo anno di contratto’ (come da
sue conclusioni, quale appellante, trascritte a pgg. 2 e 3 della sentenza qui impugnata);
5.1. appare evidente la natura risarcitoria della domanda, limitata dopo il rigetto da parte del Tribunale al compenso annuo di € 70.000,00, perduto per effetto dell’illegittimo recesso anticipato, in funzione parametrica del risarcimento richiesto, senza alcuna formulazione di una nuova domanda retributiva, nell’identità di causa petendi e sola riduzione del petitum ;
la ricorrente ha poi dedotto violazione degli artt. 1742, secondo comma c.c., 216 c.p.c., 2702 c.c., 113 e 115 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente valorizzato la copia del contratto, in forma scritta, recante la correzione di data siglata dal procuratore della ricorrente, senza sua analoga sottoscrizione sulla copia non corretta (recante data di scadenza al ‘31.05.2008’ ), né del lavoratore su alcuna delle due copie (secondo motivo); violazione degli artt. 1326, 1352, 1362, primo e secondo comma, 1363, 1368, 2702 c.c., 116 c.p.c., per non avere la Corte territoriale tenuto conto dell’avvenuto disconoscimento di paternità degli incisi corretti, riconosciuti non autentici dalla C.t.u. grafologica (terzo motivo);
essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;
la Corte d’appello ha esattamente applicato i principi regolanti la materia, in particolare riferimento alla denunciata mancanza di sottoscrizione della copia corretta da parte del lavoratore, che l’ha peraltro prodotta in giudizio (posto che la produzione in giudizio di una scrittura privata non firmata da parte di chi avrebbe dovuto sottoscriverla equivale a sottoscrizione: Cass. 29 novembre 2018, n. 30948; Cass. 12 luglio 2023, n. 19935, in motivazione sub p.to 9) ed alla utilizzabilità della copia come siglata dal procuratore della società datrice (verificata genuina
dalla perizia grafologica esperita), in calce e a margine della pagina del contratto a progetto recante le correzioni, alla luce dell’attribuzione di paternità al sottoscrittore che le ha siglate. Tanto più, in difetto di alcuna deduzione di abusivo riempimento (così ai due ultimi capoversi di pg. 9 della sentenza), non costituendo il mero disconoscimento mezzo processuale idoneo a dimostrare l’abusivo riempimento del foglio in bianco, sia che si tratti di riempimento absque pactis , sia che si tratti di riempimento contra pacta , dovendo essere invece proposta la querela di falso, se si sostenga che nessun accordo per il riempimento sia stato raggiunto dalle parti e dovendo anzi essere fornita la prova di un accordo dal contenuto diverso da quello del foglio sottoscritto, se si sostenga che l’accordo raggiunto sia stato, appunto, diverso (Cass. 16 dicembre 2010, n. 25445; Cass. 7 marzo 2014, n. 5417);
8.1. non può la censura risolversi, come invece si risolve, nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata (Cass. 9 aprile 2021, n. 9461, in motivazione); posto che essa non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, non essendo consentito, quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, alla parte, che abbia proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. 2 maggio 2006, n. 10131; Cass. 28 novembre 2017, n. 28319; Cass. 26 novembre 2019, n. 30847);
8.2. le censure si risolvono nella sostanza in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e ricostruzione della fattispecie operata dalla Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n.
29404; Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987; Cass. 13 febbraio 2023, n. 4316), in quanto spettanti esclusivamente al giudice del merito, autore di un accertamento in fatto, argomentato in modo pertinente e adeguato a giustificare il ragionamento logico-giuridico alla base della decisione;
9. la ricorrente ha infine dedotto violazione degli artt. 91, 92 c.p.c. e del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, per non avere la Corte territoriale compensato le spese di giudizio, nonostante la limitazione della domanda del lavoratore (da € 150.000,00 a € 70.000 ,00) e il rigetto dell’eccezione di incompetenza territoriale del lavoratore, nonché solo genericamente determinato l’importo delle spese liquidate, senza indicazione di scaglione né delle aliquote tariffarie applicate, con mero riferimento ai parametri della tabella ministeriale 55/2014 (quarto motivo);
10. esso è infondato;
11. in materia di spese processuali, la compensazione prevista dall’art. 92, secondo comma c.p.c., nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. 132/2014 e dalla sentenza n. 77 del 2018 della Corte costituzionale, è subordinata -oltre che alle ipotesi testuali di soccombenza reciproca, assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza -alla presenza di gravi ed eccezionali ragioni che il giudice è tenuto ad indicare esplicitamente nella motivazione della sentenza (Cass. 24 gennaio 2022, n. 1950);
11.1. nel caso di specie, non ricorre alcuna ipotesi giustificante la compensazione, neppure parziale; in particolare, deve essere esclusa quella di soccombenza reciproca, certamente non integrata dalla limitazione della domanda del lavoratore. Deve in proposito essere richiamato il principio, secondo cui
l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, comma 2, c.p.c. (Cass. S.U. 31 ottobre 2022, n. 32061);
11.2. infine, è assolutamente generica la contestazione relativa alla determinazione della liquidazione, essendo inammissibile il ricorso per cassazione che si limiti a denunciare l’avvenuta violazione del principio di inderogabilità della tariffa professionale, atteso che, in applicazione del principio di specificità del motivo, devono essere specificati gli errori commessi dal giudice e precisate le voci tabellari che si ritengano violate (Cass. 16 settembre 2015, n. 18190, nel caso di specie, per l’importanza del giudizio presupposto e per la complessità delle questioni giuridiche trattate);
11.3. d’altro canto, in tema di liquidazione delle spese processuali successiva al D.M. 55/2014, non sussiste più il vincolo legale di inderogabilità dei minimi tariffari, posto che i parametri di determinazione del compenso per la prestazione defensionale in giudizio e le soglie numeriche di riferimento costituiscono criteri di orientamento e individuano la misura economica standard del valore della prestazione professionale; sicché, il giudice è tenuto a specificare i criteri di liquidazione del compenso solo in caso di scostamento apprezzabile dai
parametri medi (Cass. 15 dicembre 2017, n. 30286; Cass. 1 giugno 2020, n. 10343);
11.4. la Corte ha richiamato il parametro tariffario coerente con il valore della causa determinato dalla riduzione della domanda (al p.to 8 di pg. 11 della sentenza), senza alcuna specifica censura relativa ad un suo scostamento apprezzabile dai parametri medi;
12. pertanto il ricorso di NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile e il ricorso della società rigettato, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e con raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME e rigetta il ricorso della società; condanna entrambi i ricorrenti alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15%. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 14 febbraio 2024
Il Presidente
(AVV_NOTAIO)