Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8933 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8933 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 26838/2019 R.G. proposto da:
NOME, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato in Roma presso l’AVV_NOTAIO nel suo studio in INDIRIZZO
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, P_IVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio digitale EMAIL controricorrente
CURATELA DEL FALLIMENTO ER NESTO NOME‘
intimato avente a oggetto la sentenza n. 587/2019 della Corte d’appello di Lecce pubblicata in data 11-6-2019
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27-32024 dal consigliere NOME COGNOME
OGGETTO: risoluzione di contratto preliminare
R.G. 26838/2019
C.C. 27-3-2024
FATTI DI CAUSA
1.RAGIONE_SOCIALE in liquidazione con atto notificato il 23-51996 citò avanti il Tribunale di Lecce NOME COGNOME e il fallimento di NOME COGNOME, chiedendo la dichiarazione di risoluzione del contratto di compravendita immobiliare stipulato il 12-11-1987 con NOME e NOME COGNOME dal precedente amministratore della società NOME COGNOME, dichiarato fallito; in tale contratto, nel quale la società era promittente venditrice, il prezzo era stato indicato in £. 130.000.000, di cui £. 25.000.000 pagati al momento del preliminare e gli altri regolati con tre effetti da £. 35.000.000; poiché agli atti della società non risultava la prova di alcun pagamento, l’attrice si era rivolta ai COGNOME, i quali avevano esibito altra copia dello stesso contratto, che portava la cancellazione di NOME COGNOME tra i contraenti e la sostituzione con il nominativo di NOME COGNOME e recava in calce tre quietanze a firma di NOME COGNOME con timbro COGNOME per l’importo di £. 80.000.000. Sostenendo che le quietanze non fossero opponibili alla società in quanto prive di data certa e rilevando altresì che le somme dichiaratamente corrisposte non trovavano riscontro nei registri contabili de lla società, chiese che fosse dichiarato l’inadempimento di NOME ed NOME, previo accertamento della simulazione delle quietanze e la risoluzione del contratto, chiedendo altresì che NOME COGNOME fosse condannato alla restituzione dell’immobile e al pagamento della penale di £.10.000.000.
Si costituì NOME COGNOME, dichiarando che l’unico promissario acquirente era lui e non il padre NOME, che egli aveva versato £.128.000.000 complessivamente e non aveva versato i residui £.2.000.000, dei quali eseguiva offerta, per il mancato completamento delle opere n ell’immobile; chie se in via riconvenzionale il trasferimento della proprietà dell’immobile, in subordine chiese che la società fosse condannata all’esatto adempimento del preliminare e al risarcimento
del danno, in ulteriore subordine chiese la condanna della società alla restituzione del prezzo versato e al rimborso del costo delle opere eseguite nell’immobile a sue spese.
Si costituì il fallimento di NOME COGNOME, dichiarando che NOME era parte del contratto preliminare e chiedendo che fosse accertata la validità dei pagamenti da lui eseguiti, rigettando la domanda di risoluzione del preliminare; in via subordinata chiese la restituzione delle somme versate da NOME COGNOME.
A seguito di consulenza tecnica d’ufficio che concluse nel senso della natura di fotocopie delle sottoscrizioni nel contratto preliminare, la società RAGIONE_SOCIALE chiese che fosse dichiarata la nullità del preliminare per mancanza di forma scritta e in tal senso pronunciò il Tribunale di Lecce, condannando il promissario acquirente al rilascio dell’immobile e rigettando o dichiarando assorbita ogni altra domanda.
Propose appello NOME COGNOME, resistette RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE fu dichiarato contumace. Con sentenza n. 465/2012 depositata il 5-72012 la Corte d’appello di Lecce rigettò la domanda di nullità del contratto preliminare; in ragione della gravità dell’inadempimento dei COGNOME i quali avevano pagato solo £.25.000.000, confermò la condanna alla restituzione dell’immobile e compensò la somma di £.25.000.000 con la somma di £.10.000.000 spettante alla società a titolo di penale.
2.Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, che è stato parzialmente accolto con sentenza n. 20598/2017 depositata il 31-8-2017.
La Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata per non avere esaminato la questione dell’esistenza di pagamenti ulteriori rispetto a quello di £.25.000.000 riconosciuto dalla società promittente venditrice, per avere di conseguenza ritenuto la gravità dell’inadempiment o e per non avere esaminato le censure
dell’appellante in ordine all’incapacità a testimoniare della legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE che era stata sentita come testimone e in ordine all’ininfluenza della mancata iscrizione nei libri contabili degli acconti pagati, documentati da foglietti separati e ricevute.
3.NOME COGNOME ha riassunto la causa avanti la Corte d’appello di Lecce, chiedendo l’accertamento dell’opponibilità alla società promittente venditrice delle quietanze attestanti i versamenti eseguiti e l’accoglimento della domanda ex art. 2932 cod. civ.; in via subordinata ha chiesto la condanna della società alla restituzione delle somme versate e al rimborso delle spese sostenute per le opere di comple tamento dell’immobile.
Si è costituita RAGIONE_SOCIALE chiedendo l’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del promissario acquirente e il rigetto di tutte le domande da lui proposte. Il fallimento di NOME COGNOME è rimasto contumace.
Con sentenza n. 587/2019 pubblicata in data 11-6-2019 la Corte d’appello di Lecce ha rigettato le domande di NOME COGNOME e confermato le statuizioni della precedente sentenza della Corte d’appello di Lecce .
4.Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha resistito con controricorso.
La RAGIONE_SOCIALE AVV_NOTAIO, al quale la notifica del ricorso è stata eseguita il 9-9-2019, è rimasta intimata.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 27-3-2024 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo , rubricato ‘ violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto in particolare degli artt. 112 c.p.c. 183 c.p.c. 1417, 2722 e 2726 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’ il ricorrente censura la sentenza impugnata laddove ha dichiarato che non opera il divieto della prova per testi e per presunzioni a fronte di quietanza, laddove il creditore intendesse dimostrare circostanze diverse dal mancato pagamento. Sostiene che RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto di accertare soltanto l’inopponibilità a sé delle quieta nze per falsità ideologica e per simulazione e non aveva mai chiesto di dimostrare altre circostanze, per cui aveva proposto domanda diversa per causa petendi e petitum da quella accolta dalla Corte d’appello; perciò lamenta il vizio di ultrapetizione.
1.1.Il motivo, da qualificare esattamente come proposto ai sensi dell’art. 360 co.1 n. 4 cod. proc. civ. laddove lamenta la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., è in primo luogo inammissibile ex art. 366 co.1 n. 6 cod. proc. civ. per mancanza di specificità. La sentenza impugnata ha espressamente dichiarato (pag. 7) che la società RAGIONE_SOCIALE aveva sostenuto ch e, quand’anche fossero state pagate le somme indicate nelle quietanze, il pagamento avrebbe dovuto essere collocato in un momento nel quale NOME COGNOME non era più amministratore unico della società e aveva perso il potere di rappresentanza. Il ricorrente, in violazione dell’art. 366 co.1 n. 6 cod. proc. civ., non dimostra che tale affermazione sia stata erronea per il fatto che quella deduzione non fosse stata svolta dalla società RAGIONE_SOCIALE, perché si limita a richiamare nel testo del motivo il contenuto delle conclusioni dell’atto di citazione della società, che di per sé non possono essere lette nel senso sostenuto dal ricorrente. Infatti, il dato valorizzato dal ricorrente
che la società avesse sostenuto l’inopponibilità a sé delle quietanze per la loro la falsità ideologica e la loro simulazione è in sé congruente anche con quanto ritenuto dalla sentenza, in ordine alla falsità della data.
Del resto, è altresì evidente che non si pone questione di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. , in quanto il giudice di merito incorre nel vizio di ultra o extrapetizione quando, alterando petitum o causa petendi, emette un provvedimento diverso da quello richiesto oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (Cass. Sez. 2 21-3-2019 n. 8048 Rv. 653291-01, Cass. Sez. 1 11-4-2018 n. 9002 Rv. 648147-01). Nella fattispecie la domanda proposta dalla società fin dall’atto di citazione e sempre rimasta ferma è stata quella di risoluzione del contratto preliminare per l’inadempimento del promissario acquirente in quanto il prezzo non risultava pagato alla società, senza che la questione de ll’effica cia probatoria delle quietanze in sé incidesse sul contenuto della domanda.
2.Con il secondo motivo , rubricato ‘ violazione e falsa applicazione di norma di diritto e in particolare degli artt. 1414, 1417, 1988, 2722, 2726, 2729, 2733, 2732 e 2735 c.c. in relazione all’art. 360 n.3’, il ricorrente evidenzia di avere prodotto le quietanze per dimostrare gli avvenuti pagamenti; rileva che la quietanza costituisce confessione stragiudiziale con piena efficacia probatoria, per cui il creditore che rilascia quietanza non può impugnare l’atto se non provando che lo stesso è stato determinato da errore di fatto o violenza; richiama Cass. Sez. U 19888/2014 per evidenziare che il creditore quietanzante, per dimostrare l’oggettiva falsità ideologica della quietanza di favore emessa contro la realtà per accordo con il destinatario, non può ricorrere alla prova testimoniale, ma può fare valere la simulazione mediante la controdichiarazione scritta del debitore; quindi rileva che l’inammissibilità della prova testimoniale determina anche quella della
prova per presunzioni, sostenendo perciò che tale prova sia stata erroneamente ammessa dalla sentenza impugnata; richiama precedenti secondo i quali il rappresentato non diviene terzo rispetto al contratto concluso a suo nome e per suo conto perché ne eccepisce la conclusione dopo la revoca della procura e non può avvalersi dell’art. 2704 cod. civ. al fine di riversare sulle altre parti l’onere di provare che il contratto è stato stipulato nella data indicata, per cui sostiene che sia la società a nome della quale è stata sottoscritta una scrittura e che neghi l’opponibilità del documento a dovere fornire la prova della non veridicità della data apposta.
3.Con il quarto motivo, rubricato ‘ nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 4 per violazione dell’art. 132 co.2 n. 4 c.p.c.’ il ricorrente sostiene che la sentenza sia illogica per avere affermato, tramite presunzioni, che vi era stata la corresponsione di denaro in un diverso contesto storico, quando -semmai- gli elementi di fatto addotti dalla Corte territoriale dimostravano il mancato pagamento, la cui prova non poteva però effettuarsi in violazione degli artt. 2726 e 2729 cod. civ. Quindi sostiene che l’affermazione sec ondo la quale sussistevano presunzioni gravi, precise e concordanti che le quietanze di pagamento erano state formate quando NOME COGNOME non era più amministratore della società era in irriducibile contraddizione con la premessa in ordine al divieto della prova per testi contraria al contenuto della quietanza.
4.Con il quinto motivo, rubricato ‘ violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto e in particolare degli art. 116 c.p.c., 2697 e 2726, 2729 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’, il ricorrente sostiene che la Corte, ritenendo che tutte le quietanze di pagamento fossero state formate quando NOME COGNOME non era più rappresentante della società, ha completamente travisato la risultanza delle prove, con conseguente violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., che impone di
valutare le prove secondo prudente apprezzamento. Rileva che gli elementi indiziari valorizzati dalla sentenza non sono né univoci né idonei a provare la falsità della data indicata nelle quietanze, perché a tutto concedere potevano fare presumere il mancato pagamento, scontrandosi con il divieto di dare prova contraria alle quietanze per presunzioni.
5.Il secondo, quarto e quinto motivo devono essere trattati congiuntamente in quanto strettamente connessi e sono infondati.
5.1.In primo luogo, la sentenza impugnata non è incorsa in alcuno dei vizi prospettati con il primo e con il quarto motivo di ricorso, in quanto ha espressamente fatto applicazione del principio secondo il quale la prova per testi o per presunzioni contraria al contenuto della quietanza è inammissibile, ai sensi degli artt. 2726 e 2729 cod. civ., ove diretta a provare il mancato pagamento, mentre è ammissibile se sia tesa a dimostrare circostanze differenti, quali l’effettuazione del pagamento in un diverso momento storico, utili a ricostruire una fattispecie più complessa del rapporto controverso tra le parti (Cass. Sez. 3 27-11-2014 n. 25213 Rv. 633607-1 ). E’ acquisito che, a fronte di dichiarazione di quietanza proveniente dal creditore, volta a riconoscere il pagamento di una somma e quindi il soddisfacimento, totale o parziale del credito, la prova testimoniale o per presunzioni diretta a dimostrare il contrario, e cioè che il pagamento non è stato eseguito, è inammissibile, in quanto il creditore che rilascia quietanza al debitore rende confessione stragiudiziale con piena efficacia probatoria ex art. 2733 e 2735 cod. civ., sicché deve impugnare l’atto ai sensi dell’art. 2732 cod. civ. dimostrando che è stato determinato da errore di fatto o violenza (cfr. Cass. Sez. 3 28-2-2023 n. 5945 Rv. 667201-01, per tutte). Però, come si legge in Cass. 25213/2014, tali limiti non si applicano quando il pagamento rilevi come fatto storico, quando cioè non si miri a provare il mancato pagamento in sé –
circostanza contrastante con il contenuto della quietanza e come tale insuscettibile di essere provata a mezzo di testimonianze e presunzioni- ma si intenda invece provare circostanze differenti, quali l’effettuazione del pagamento in un diverso momento storico , nell’ambito di una più complessa fattispecie svoltasi nel tempo. Ciò ha fatto nella fattispecie la Corte d’appello, in termini che resistono a tutte le critiche del ricorrente.
Infatti la sentenza impugnata, dopo avere richiamato il principio sulla natura di confessione stragiudiziale della quietanza, ha esattamente dato atto che RAGIONE_SOCIALE non era terza ma parte rispetto alle quietanze esibite da NOME COGNOME e certamente non poteva provare per testi o per presunzioni che il pagamento non era avvenuto; però ha aggiunto, richiamando appunto anche Cass. 25213/2014, che la società poteva dimostrare per testi e presunzioni circostanze diverse dal mancato pagamento e che il pagamento era avvenuto in una data diversa. Considerando che la società aveva sostenuto che i pagamenti, quando anche avvenuti, erano da collocare in un periodo nel quale NOME COGNOME non era più amministratore della società, ha individuato ed esaminato analiticamente una serie di elementi in tal senso (pagg. 8 e 9 della sentenza), che poi ha sintetizzato (pag.10), giungendo alla conclusione che gli elementi esaminati costituivano presunzioni gravi, precise e concordanti indicanti che le quietanze di pagamento erano state formate quando NOME COGNOME non era più amministratore di RAGIONE_SOCIALE e quindi non aveva più il potere di rappresentarla.
Con questo contenuto la sentenza non è affetta dalla nullità lamentata con il quarto motivo di ricorso, in quanto la motivazione non solo è esistente, ma è adeguata e sufficiente, perché permette di comprendere la ratio decidendi posta a fondamento della decisione e di ripercorrere il percorso logico svolto dal giudice di merito. Non ricorrono le altre carenze prospettate con il quarto motivo e i vizi
prospettati con il quinto motivo, dovendosi in primo luogo escludere che il ragionamento presuntivo eseguito dalla Corte d’appello per giungere alla conclusione che i pagamenti era stati eseguiti a NOME allorché lo stesso non era più legale rappresentante della società sia censurabile in questa sede; ciò in quanto si deve fare applicazione del principio secondo il quale la denuncia in cassazione di violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ. può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti, ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota, e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass. Sez. 2 21-3-2022 n. 9054 Rv. 664316-01, Cass. Sez. L 30-6-2021 n. 18611 Rv. 661649-01). Nella fattispecie la sentenza impugnata ha correttamente dato atto della necessità di ammettere solo presunzioni gravi, precise e concordanti e tali presunzioni ha individuato in primo luogo nella discrasia tra le date dei pagamenti indicate nel contratto preliminare e nelle quietanze di cui NOME COGNOME ha inteso avvalersi, nel fatto che grande parte delle date indicate dei pagamenti individuavano un periodo nel quale NOME era ancora minorenne, nel fatto che i pagamenti non erano stati annotati nelle scritture contabili della società, nel fatto che i pagamenti secondo le date indicate erano da collocare in periodo nel quale sull’ immobile era iscritta ipoteca poi cancellata, ne l fatto dell’esistenza di relazione sentimentale tra la madre di NOME COGNOME e NOME COGNOME; sulla base della valutazione complessiva di questi elementi la sentenza ha concluso che NOME COGNOME aveva sì ricevuto i pagamenti ma allorché
non era più legale rappresentante della società e, diversamente da quanto sostiene il ricorrente, nessuno degli elementi utilizzati dalla Corte territoriale nel suo ragionamento contraddice o è logicamente incoerente a tale conclusione. La critica del ricorrente è in sostanza finalizzata a negare la plausibilità dei dati individuati dalla Corte d’appello per giungere alla sua conclusione e perciò consiste nella proposta di una diversa ricostruzione di fatto; tale ricostruzione non può essere apprezzata al fine di ritenere che sussista la violazione delle disposizioni sul ragionamento presuntivo e, solo in quanto prospettata sulla base delle previsioni dell’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. con il terzo motivo di ricorso, deve essere di seguito esaminata.
Dalle ragioni esposte consegue che non sussiste neppure la violazione lamentata dell’art. 116 cod. proc. civ., che ricorre solo quando risulti che il giudice, nel valutare una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa- secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta a una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento (Cass. Sez. U 30-9-2020 n. 20867 Rv. 659037-02).
6.Con il terzo motivo, rubricato ‘ omessa valutazione di un fatto storico decisivo risult ante dagli atti di causa ex art. 360 n. 5 c.p.c.’, il ricorrente sostiene che la Corte d’appello abbia omesso di valutare più fatti determinanti; dichiara di riferirsi alle quietanze in calce al contratto preliminare a firma COGNOME NOME con timbro COGNOME e alle quattordici quietanze in originale sottoscritte dallo stesso COGNOME; sostiene che la Corte d’appello abbia omesso di valutare come dette sottoscrizioni liberatorie fossero da ascrivere a RAGIONE_SOCIALE, tanto che il
liquidatore della società le aveva inserite nella nota integrativa al bilancio al 31-12-1993, la scrittura perciò era proveniente dalla società e alla stessa opponibile, per cui la controparte avrebbe soltanto potuto proporre querela di falso. Lamenta che sia stata altresì totalmente pretermessa la circostanza del mancato interrogatorio reso da NOME COGNOME, legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE e delle relative conseguenze ex art. 232 cod. proc. civ. Infine, rileva che il giudice non ha considerato che il dato addotto dalla controparte, secondo il quale nessun incasso risultava alla società, poteva anche fare propendere per l’ipotesi che COGNOME si fosse appropriato delle somme, ma ciò non escludeva che le somme erano state versate a chi aveva il potere di incassarle e così liberare COGNOME dalla relativa obbligazione.
6.1. Si dà atto che alla fattispecie si applica, ai sensi dell’art. 54 co.3 d.l. 83/2012 conv. in legge 134/2012 in ragione della data di pubblicazione della sentenza di appello poi cassata, l’art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ. nella formulazione precedente, secondo il quale il vizio era di ‘omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio’ ; si esclude che ricorra tale vizio, facendosi applicazione del principio secondo il quale il motivo di ricorso con cui, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. come modificato dall’art. 2 d.lgs. 40/2006 si denunciava omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione doveva specificamente indicare il ‘fatto’ controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per fatto non una questione o un punto della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale ex art. 2697 cod. civ. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo (Cass. Sez. 1 8-9-2016 n. 17761 Rv. 641174-01, per tutte).
L’esistenza delle quietanze in calce al contratto e nei quattordici documenti separati è stata espressamente presa in esame dalla Corte d’appello, sia esaminando analiticamente il contenuto dei documenti a pag. 8 della sentenza, sia dando atto del loro valore probatorio nei termini già esaminati. Ugualmente, la sentenza ha preso analiticamente in esame (pag.9) il contenuto della nota integrativa di bilancio e ne ha valutato il contenuto in termini di mera ricognizione delle rimanenze, senza che gli argomenti del ricorrente siano utili a fare emer gere l’insufficienza o la contraddittorietà della motivazione sul punto. La valutazione complessiva del materiale probatorio eseguita dalla sentenza impugnata nel senso di giungere alla conclusione che i pagamenti erano stati eseguiti a NOME COGNOME e le quietanze erano state da lui rilasciate allorché non era più amministratore della società e non aveva più il potere di rappresentarla evidentemente escludeva che si potessero ritenere i pagamenti a lui eseguiti liberatori nei confronti della società e perciò neppure sotto questo profilo sussiste il vizio lamentato.
Non integra il vizio lamentato neppure l’omissione di considerazione della mancata risposta all’interrogatorio formale. In primo luogo, il motivo sul punto è inammissibile ex art. 366 co. 1 n. 6 cod. proc. civ., in quanto il ricorrente non specifica nel corpo del motivo né il contenuto dei capitoli di prova sui quali era stato deferito l’interrogatorio formale, né il contenuto dell’ordinanza ammissiva, né quanto oggetto di verbalizzazione all’udienza fissata per il deferimento dell’interrogatorio formale. I noltre, è già stato posto il principio secondo il quale l’art. 232 cod. proc. civ. riconnette alla mancata risposta all’interrogatorio formale soltanto una presunzione semplice che consente di desumere elementi indiziari a favore dell’avversa tesi processuale, per cui l’esercizio di tale facoltà rientra nell’ambito del potere discrezionale del giudice e non è suscettibile di censure in sede
di legittimità (Cass. Sez. 6-2 1-3-2018 n. 4837 Rv. 648210-01, Cass. Sez. 6-3 19-9-2014 n. 19833 Rv. 632431-01).
7.Con il sesto motivo, ‘omessa valutazione di un fatto decisivo risultante dagli atti di causa ex art. 360 n. 5 c.p.c. Rigetto dell’appello incidentale, mancanza di motivazione’, il ricorrente rileva che aveva proposto appello incidentale; sostiene che, non avendo la controparte assolto all’onere di provare il carattere simulato delle quietanze, si doveva ritenere provato il suo adempimento e, poiché la controparte non aveva trasferito il bene e non aveva provveduto a eseguire la recinzione e lo scivolo, doveva statuirsi che la controparte era inadempiente, che la sua eccezione di inadempimento era fondata e che comunque egli aveva offerto il pagamento del modico importo mancante. Gradatamente il ricorrente dichiara di insistere sulla domanda subordinata di restituzione della caparra e di riconoscimento del valore delle opere , lamentando l’omessa motivazione sul punto.
7.1.Il motivo è inammissibile.
Con riguardo all’appello incidentale volto a ottenere il trasferimento ex art. 2932 cod. civ. dell’immobile, si tratta di ‘non motivo’, in quanto si chiede l’accoglimento dell’appello incidentale in ragione dell’accertamento dell’adempimento del promissario acquirente, che la sentenza impugnata ha escluso con pronuncia divenuta irrevocabile a seguito del rigetto dei precedenti motivi di ricorso.
Anche per il resto il motivo è proposto in modo inammissibile: sulla restituzione della caparra la motivazione è stata svolta, avendo la Corte d’appello confermato la decisione di primo grado di compensare quanto dovuto dalla parte promissaria acquirente a titolo di penale pari a £.10.000.000 oltre interessi dalla domanda per la mancata stipula del contratto definitivo e l’importo versato a titolo di caparra pari a
£.25.000.000 senza interessi; tale motivazione non è censurata al fine di sostenerne l’erroneità .
Con riguardo alla domanda sul riconoscimento del valore delle opere eseguite, il motivo in primo luogo non è rispettoso dell’art. 366 co.1 n.6 cod. proc., non specificando in quale atto e con quale contenuto la domanda fosse stata proposta. Ad ogni modo, risulta dalla sentenza impugnata che quella domanda era già stata dichiarata inammissibile dalla prima sentenza della Corte d’appello di Lecce, in quanto era stata riproposta in appello senza formulazione di motivo di appello incidentale. Quel capo di pronuncia non era stato oggetto di ricorso per cassazione, per cui la dichiarazione di inammissibilità precludeva la riproposizione di quella domanda nel giudizio di rinvio.
8.In conclusione il ricorso è integralmente rigettato e, in applicazione del principio della soccombenza, il ricorrente deve essere condannato alla rifusione a favore della controricorrente delle spese di lite del giudizio di legittimità, in dispositivo liquidate con la distrazione richiesta.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 co . 1quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione a favore della controricorrente delle spese di lite del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 7.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege, con distrazione a favore dell’AVV_NOTAIO dichiaratosi antistatario .
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione