Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21353 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 21353 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/07/2024
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
NOME , rappresentato e difeso per procura alle liti in calce al ricorso da ll’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’AVV_NOTAIO in Roma, INDIRIZZO.
Ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Barletta, in persona del legale rappresentante sig. NOME COGNOME, rappresentata e difesa per procura alle liti in calce al controricorso da ll’ AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata presso il suo studio in Bari, INDIRIZZO.
Controricorrente
avverso la sentenza n. 2033/2019 della Corte di appello di Bari, pubblicata l’8. 9. 2019.
Udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del 7. 5. 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto AVV_NOTAIO Generale dott.
NOME COGNOME, che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
Udite le difese svolte dall’AVV_NOTAIO per il ricorrente e dall’AVV_NOTAIO per la società controricorrente.
Fatti di causa
NOME convenne dinanzi al Tribunale di Trani La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, chiedendone la condanna al pagamento della somma di euro 32.690,98 per le opere aggiuntive ordinate dalla controparte nel corso della esecuzione di un contratto di appalto, avente ad oggetto il ripristino di un complesso immobiliare costituito da una palazzina e da un capannone. La società convenuta contestò la pretesa e chiese in via riconvenzionale il risarcimento dei danni per i vizi delle opere ed il loro mancato completamento.
Il Tribunale accolse la domanda dell’attore ed in parte quella della società convenuta, quantificò i rispettivi crediti e, operata la loro compensazione, condannò la parte convenuta al pagamento della differenza, pari ad euro 15.850,98.
Proposto gravame da parte della società RAGIONE_SOCIALE , con sentenza n. 2033 dell’8. 9. 2019 la Corte di appello di Bari riformò la decisione impugnata, rigettando la domanda del NOME diretta ad ottenere l’integrazione del prezzo.
La Corte motivò tale conclusione affermando che l’appaltatore non aveva diritto al maggiore compenso richiesto in quanto le opere oggetto di tale pretesa erano già comprese in quelle descritte nel contratto di appalto; subordinatamente, perché le parti avevano previsto un prezzo globale, con espressa clausola di invariabilità nel caso di eventuali variazioni di qualsiasi entità e misura; non era stata comunque fornita la prova che le assunte varianti dei lavori fossero state richieste dalla committente.
Per la cassazione di questa sentenza, con atto notificato il 3. 12. 2019, ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a tre motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha notificato controricorso.
Il AVV_NOTAIO Generale e le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
Il primo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 194, 696, 696 bis, 115 e 116 c.p.c., 2727, 1657, 1661, 1662, 1665, 1671 e 1659 c.c..
Con esso la parte censura la sentenza impugnata per avere escluso che la realizzazione delle varianti in corso d’opera fossero state realizzate su richiesta della committente, come ritenuto dal giudice di primo grado. Si assume che tale conclusione è smentita dalle deduzioni difensive della controparte, svolte nel corso degli accertamenti tecnici che hanno preceduto l’inizio della causa, da cui emergeva un chiaro riconoscimento. Disattese risultano anche le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, da cui risultava che l’impresa aveva dato corso alle opere in variante sulla base di indicazioni verbali e disegni e si dava atto che il suo credito, per tali lavori, ammontava ad euro 32.690,98.
La Corte di merito ha anche ignorato che la quantificazione dei lavori era avvenuta da parte del consulente tecnico in contraddittorio con quelli di parte e che questi ultimi avevano firmato il verbale dell’elenco e quantità delle opere per accettazione , nonché la circostanza che presso l’Ufficio del Genio civile di Bari era stato depositato un progetto architettonico di variante.
Il secondo motivo di ricorso, che denuncia violazione degli artt. 194, 696, 696 bis, 115 e 116 c.p.c., censura l’affermazione della decis ione impugnata che ha disconosciuto il credito vantato da ll’appaltatore sulla base del rilievo che i lavori per i quali si chiedeva il compenso aggiuntivo erano già ricompresi nelle opere descritte in contratto. Si deduce che tale conclusione trae origine da un errore nella lettura degli atti, avendo la Corte ritenuto che il contratto originario facesse riferimen to alle varie facciate dell’immobile, mentre aveva ad oggetto solo una di esse, come emerge dai computi metrici delle due consulenze tecniche espletate, che danno atto dei lavori aggiuntivi eseguiti.
Il terzo motivo di ricorso, nel denunciare violazione e falsa app licazione dell’art. 1661 c.c., critica l’affermazione del giudice di appello secondo cui la parte non avrebbe dato prova che le varianti fossero state richieste dal committente, laddove tale dimostrazione era ricavabile agevolmente sia dai documenti prodotti, quali la denuncia di variazione del progetto presentata al Comune e la sottoscrizione da parte del consulente tecnico di parte dell’elenco e quantità
delle opere redatto dal cons ulente d’ufficio, sia per presunzioni, non potendo le varianti che essere ordinate dalla committenza.
I motivi, che possono trattarsi congiuntamente, sono tutti inammissibili.
Dalla lettura della sentenza impugnata risulta che la Corte di merito ha rigettato la domanda dell’impresa di integrazione del prezzo per l’esecuzione di lavori ulteriori rispetto a quelli originariamente previsti, sulla base delle seguenti ragioni, tra di loro del tutto autonome: perché le opere dichiarate asseritamente aggiuntive ( indicate nella fornitura e posa in opera del ponteggio per gli interventi sull’intonaco e per la tinteggiatura, nel risanamento dei frontalini della cabina Enel e nel risanamento e pittura delle facciate del capannone e della suddetta cabina ) in realtà tali non erano, essendo già ricomprese tra le opere del contratto originario, il quale aveva ad oggetto, tra l’altro , la realizzazione dell’intera facciata della palazzina ufficio e del capannone; per essere stato il prezzo dell’appalto determinato globalmente, con espressa clausola di invariabilità anche nel caso ‘ di variazioni, in aumento o in difetto, di qualsiasi entità e natura ‘; per la mancata prova del fatto che le asserite variazioni fossero state richieste dal committente.
Tanto precisato, deve concordarsi con la valutazione del AVV_NOTAIO Generale che nella memoria depositata ha evidenziato l’inammissibilità de lle censure solevate per la considerazione, di carattere assorbente, che esse investono in modo diretto l’apprezzamento dei fatti di causa operato dalla Corte di appello , cioè un’operazione valutativa che la legge conferisce alla esclusiva competenza del giudice di merito, a garanzia del principio che fonda la decisione sul libero convincimento del giudice, e che per tale motivo non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità. Dalla lettura del ricorso emerge che le violazioni di legge denunziate dai motivi non sono di per sé autonome, ma sono sostenute unicamente da una diversa ricostruzione dei fatti, in forza di un procedimento argomentativo che lamenta l’errore di diritto non in relazione ai fatti accertati, ma perché essi sarebbero diversi. In questa prospettiva si ascrive la censura che investe l’affermazione della Corte di merito che ha ritenuto i lavori oggetto della richiesta di un compenso aggiuntivo già ricompresi nelle originarie pattuizioni contrattuali, e coinvolge pertanto l’operazione di interpretazione del
contratto, sostenuta in modo generico dal richiamo a risultanze della consulenza tecnica d’ufficio o documentali che il giudice ha esaminato e di cui ciò che si lamenta è che non le abbia valutate nel senso voluto dalla parte.
Sotto altro profilo il ricorso va incontro ad inammissibilità anche perché non prospetta censure all ‘argomentazione addotta dalla Corte distrettuale che ha rigettato la domanda per la ragione che le parti aveva convenuto, con apposita clausola, la invariabilità del prezzo pattuito in contratto, anche in caso di variazioni ‘ di qualsiasi entità o natura ‘. L’affermazione costituisce, nel percorso motivazionale della sentenza una ratio decidendi autonoma, capace, in quanto tale, di sorreggere da sola la decisione e di rendere pertanto, in mancanza di specifiche censure, il ricorso inammissibile, in base al principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui quando la sentenza impugnata è fondata su distinte ragioni, in grado ciascuna di sorreggerne il decisum , il ricorso per cassazione, pena la sua inammissibilità, deve investire, con autonomi motivi, ciascuna di esse ( Cass. n. 13880 del 2020; Cass. n 18641 del 2017; Cass. n. 22753 del 2011 ).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente alle spese del giudizio in favore del controricorrente, che liquida in euro 5.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 maggio 2024.
Il Consigliere estensore Il Presidente
R.G. N. NUMERO_DOCUMENTO.