Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12868 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 12868 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/05/2024
Il Tribunale di Macerata ha respinto le domande di NOME COGNOME, volte all’accertamento del carattere subordinato del rapporto di lavoro intercorso con la RAGIONE_SOCIALE dal 1° luglio 1998 al 31 marzo 2004, alla ricostruzione della carriera, al pagamento delle differenze retributive e al versamento della relativa contribuzione previdenziale.
La Corte di Appello di Ancona, in parziale accoglimento del gravame proposto da NOME COGNOME ha condannato la RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore della medesima, delle differenze retributive maturate e del TFR, nonché al pagamento delle spese relative al giudizio di primo grado ed ha confermato nel resto la sentenza impugnata, previo accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso dal 1° luglio 1998 al 31 marzo 2004; ha inoltre dichiarato improcedibile l ‘appello incidentale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE in quanto non notificato ed ha condannato la RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese relative al giudizio di appello.
La Corte territoriale ha ritenuto infondate le eccezioni di difetto di giurisdizione e di difetto di legittimazione passiva, proposte dalla parte appellata; ha respinto l’eccezione di prescrizione sul rilievo che il termine non poteva decorrere in pendenza di rapporto, a fronte della qualificazione del rapporto medesimo come autonomo e non subordinato.
Ha poi rilevato che la subordinazione si desumeva già dal tenore dei contratti di collaborazione che prevedevano il potere conformativo e di controllo dell’economo contabile nonché dalla circostanza che la COGNOME, la quale aveva anche sottoscritto contratti di lavoro a tempo determinato, aveva sempre svolto
le medesime mansioni; ha, pertanto, condannato la RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle differenze di retribuzione ed ha rigettato la domanda della COGNOME relativa alla regolarizzazione contributiva.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrati da memoria.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale condizionato, illustrato da memoria.
DIRITTO
Con il primo motivo, il ricorso denuncia la violazione dell’art. 437 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale accolto la domanda di accertamento del carattere subordinato del rapporto, non proposta dalla COGNOME nel giudizio di primo grado.
Evidenzia che nel ricorso introduttivo la COGNOME aveva chiesto la conversione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa intercorsi con l’RAGIONE_SOCIALE dal luglio 1998 al marzo 2004, mentre nel giudizio di appello la lavoratrice aveva introdotto una nuova e diversa domanda, volta all’accertamento del carattere subordinato del rapporto.
Con la seconda censura, il ricorso denuncia la violazione degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale accolto una domanda risarcitoria non proposta nel giudizio di primo grado.
Evidenzia che la stipulazione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con una Pubblica Amministrazione non può determinare la conversione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ma solo conseguenze di natura risarcitoria, rispetto alle quali è necessaria una specifica domanda.
Con il terzo mezzo, il ricorso denuncia la violazione dell’art. 36 d. lgs. n. 165/2001 e dell’art. 2126 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Evidenzia che la Corte territoriale, pur avendo dato atto della sussistenza di una pluralità di rapporti intercorsi fra le parti, ha erroneamente accertato la
sussistenza di un unico rapporto di lavoro subordinato dal luglio 1998 al marzo 2004, finendo per operare una conversione non consentita.
Deduce la pacifica pluralità di rapporti di lavoro a tempo determinato connotati da intervalli tra l’uno e l’altro, evidenziando il carattere discontinuo dei suddetti rapporti di lavoro.
Lamenta che la Corte territoriale ha fatto decorrere il termine di prescrizione dalla cessazione dell’ultimo rapporto lavorativo, anziché dalla fine di ogni singolo rapporto, ed ha riconosciuto le differenze stipendiali per l’intero periodo da luglio 1998 a marzo 2004, anziché rispetto al minor periodo dal 3.11.2003 al 31.3.2004.
Con il quarto motivo il ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5), per avere la Corte territoriale omesso di esaminare la discontinuità del rapporto di lavoro intercorso tra le parti, risultante dai contratti di lavoro stipulati tra le parti e dalla stessa sentenza.
Deduce che la discontinuità dei rapporti di lavoro intercorsi tra le parti, non valutata dalla Corte territoriale, costituisce un fatto decisivo sia in relazione alla spettanza delle differenze retributive, sia con riferimento all’eccezione di prescrizione; evidenzia che alla COGNOME nulla poteva essere riconosciuto a titolo di retribuzioni o TFR per i periodi non lavorati.
Torna a sostenere che il termine di prescrizione ha iniziato a decorrere dalla cessazione di ogni singolo rapporto.
Con il quinto motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo n. 3 cod. proc. civ.
Sostiene che gli elementi valorizzati dalla Corte territoriale (l’identità delle mansioni svolte dalla COGNOME tra il 1998 e il 2004 e lo svolgimento dell’incarico sotto la diretta sorveglianza dell’economo contabile e del Segretario comunale, ovvero l a determinazione, da parte dell’economo, dei tempi e dei modi della prestazione lavorativa) non sono idonei a comprovare la subordinazione.
Il ricorso incidentale condizionato denuncia con un unico motivo la violazione degli art. 416 e 436 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, nn.3 e 5 cod. proc. civ.
Lamenta l’omessa valutazione del fatto decisivo della decadenza dall’eccezione di prescrizione, tardivamente formulata dalla controparte.
I primi due motivi del ricorso principale, che vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono infondati.
I motivi assumono erroneamente che la domanda della COGNOME, fondata sull’art. 2126 c.c. (norma che nella fattispecie viene sostanzialmente in rilievo sebbene non espressamente richiamata dalla sentenza impugnata), ha carattere risarcitorio e non retributivo.
La qualificazione in termini risarcitori della tutela prevista dall’art. 2126 cod. civ. affermata da questa Corte (Cass. n. 3384/2017) è stata motivatamente superata da successive pronunce, in quanto l’obbligazione prevista dall’art. 2126 cod. civ. è espressione del principio di rilievo costituzionale secondo cui la prestazione lavorativa deve essere remunerata con un corrispettivo che sia proporzionato alla qualità e quantità del lavoro svolto e costi tuisce un’eccezione al principio della improduttività degli effetti del contratto nullo, ma non muta la natura della obbligazione, tanto che per l’impiego pubblico contrattualizzato trova applicazione l’intera disciplina dettata dalla contrattazione collettiva (Cass. n. 25169/2019).
E’ stato, inoltre, rilevato che la domanda di accertamento, in ragione delle modalità di attuazione delle prestazioni, dell’esistenza di un rapporto di lavoro, si fonda, in fatto, sulla deduzione delle predette modalità, come tali da far ravvisare in capo ad una parte la po sizione datoriale ed in capo all’altra quella del lavoratore dipendente; si è dunque ritenuto che se da tali fatti il rapporto di lavoro non sorge, per divieti normativi che lo impediscono, la previsione di cui all’art. 2126 cod. civ . è essa stessa fonte del diritto al trattamento retributivo dovuto per il lavoro in concreto prestato.
Muovendo da tale premessa si è dunque affermato che ‘ non costituisce domanda nuova e può dunque essere prospettata per la prima volta in grado di
appello, come anche essere posta d’ufficio a fondamento della decisione, la pretesa di condanna del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2126 c.c., al pagamento delle retribuzioni dovute per lo svolgimento di fatto di prestazioni di lavoro subordinato, anche con la Pubblica Amministrazione, allorquando la pretesa originariamente esercitata di riconoscimento di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con tale datore di lavoro sia esclusa per ragioni di nullità o per divieti imposti da norme imperative ‘ e che ‘ l’azione proposta ai sensi dell’art. 2126 c.c., avendo fonte in una specifica previsione di legge, è di natura contrattuale e pertanto, rispetto ad essa, il lavoratore è tenuto ad allegare e dimostrare l’esistenza dei fatti generatori consistenti nell’attuazione della prestazione di lavoro e nella conseguente quantificazione delle retribuzioni secondo la contrattazione collettiva applicabile, mentre grava su chi riceva tali prestazioni di lavoro la prova di quanto, in ragione della medesima vicenda sostanziale, il lavoratore ha comunque percepito e va quindi detratto dal dovuto ‘. (Cass. n. 25169/2019 cit.).
Né può trarsi un ripensamento di tali principi dalla sentenza n. 4360/2023 di questa Corte, che ha richiamato ad altri fini il principio di diritto enunciato dalla citata Cass. n. 3384/2017 ed ha esaminato una diversa fattispecie, in cui non rilevava l’accertamento della natura retributiva o risarcitoria dell’azione proposta ai sensi dell’art. 2126 cod. civ. , questione, questa, non espressamente delibata.
Il terzo motivo (che supera il vaglio di ammissibilità in quanto non sollecita un giudizio di merito, ma denuncia una violazione di legge partendo dall’accertamento in fatto operato dalla Corte territoriale ) è fondato.
Nell’impiego pubblico contrattualizzato opera infatti il divieto di conversione di cui all’art. 36, comma 5, del d. lgs. n. 165/2001, da cui consegue che ciascun rapporto, seppure diversamente qualificato, resta autonomo rispetto a quello precedente ed al successivo, sicché l’applicazione dell’art. 2126 c.c. deve rimanere circoscritta al segmento temporale nel quale la prestazione è stata resa.
Per tali ragioni nel pubblico impiego contrattualizzato, in caso di successione di rapporti a tempo determinato non possono essere riconosciute pretese
retributive per gli intervalli non lavorati in caso di successione di rapporti a tempo determinato.
Ciò premesso, questa Corte ha affermato il principio secondo cui « nell’impiego pubblico contrattualizzato, la domanda con la quale il dipendente assunto a tempo determinato (…), rivendica il medesimo trattamento retributivo previsto per l’assunto a tempo indeterminato soggiace al termine quinquennale di prescrizione previsto dall’art. 2948 nn. 4 e 5 c.c., il quale decorre, anche in caso di illegittimità del termine apposto ai contratti, per i crediti che sorgono nel corso del rapporto lavorativo dal giorno della loro insorgenza, e per quelli che si maturano alla cessazione del rapporto a partire da tale momento » (Cass. n. 10219/2020).
Richiamata la propria giurisprudenza sull’inapplicabilità del regime di sospensione della prescrizione risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 63/1966 riguardo all’ipotesi di contratto di lavoro subordinato a termine affetto da nullità nei rapporti di lavoro pubblico privatizzato, questa Corte ha, poi, esteso il principio del decorso della prescrizione in costanza di rapporto di lavoro all’ipotesi di contratto di lavoro stipulato con la Pubblica Amministrazione con la veste formale di lavoro autonomo, di cui sia in seguito accertata la reale natura subordinata, avendo ravvisato le medesime ragioni in generale evidenziate per il settore del lavoro pubblico privatizzato a termine, concernenti la mancanza di ogni aspettativa del lavoratore alla stabilità dell’impiego e la conseguente inconfigurabilità di un metus in ordine alla mancata continuazione del rapporto suscettibile di tutela (v. Cass. n. 35676/2021 e la giurisprudenza ivi richiamata.).
Tale ricostruzione è stata avallata dalle Sezioni Unite di questa Corte, le quali hanno affermato il seguente principio di diritto : ‘ La prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato decorre sempre -tanto in caso di rapporto a tempo indeterminato, tanto di rapporto a tempo determinato, così come di successione di rapporti a tempo determinato -in costanza di rapporto (dal momento di loro progressiva insorgenza) o dalla sua cessazione (per quelli originati da essa), attesa l’inconfigurabilità di un metus. Nell’ipotesi di rapporto a tempo determinato, anche per la mera aspettativa del
lavoratore alla stabilità dell’impiego, in ordine alla continuazione del rapporto suscettibile di tutela ‘ (Cass. n. 36197/2023).
La sentenza impugnata non si è attenuta a tali principi in quanto, pur avendo dato atto della pluralità di contratti, ha ritenuto la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato in relazione all’intero periodo controverso (1° luglio 1998-31 marzo 2004) riconoscendo le differenze di retribuzione per un unico rapporto di lavoro (mentre avrebbe dovuto considerare ciascun contratto singolarmente e calcolare le differenze di retribuzione tenendo conto degli eventuali intervalli non lavorati), ed ha escluso la decorrenza del termine di prescrizione in costanza dei singoli rapporti.
La sentenza impugnata va pertanto cassata sul punto.
10 . La fondatezza del terzo motivo comporta l’assorbimento del quarto motivo del ricorso principale , che prospetta l’omesso esame della discontinuità del rapporto di lavoro intercorso tra le parti.
Il quinto motivo del ricorso principale va disatteso, in quanto contesta l’accertamento in fatto della Corte territoriale senza rapportarsi pienamente alla sentenza impugnata, che ha espressamente rilevato l’esercizio del potere direttivo ed organizzativo datoriale, ed ha dunque ravvisato la sussistenza dell’indice primario della subordinazione.
12. Il ricorso incidentale condizionato è inammissibile.
Dalla sentenza impugnata risulta che nel giudizio di primo grado RAGIONE_SOCIALE si è costituita, eccependo la prescrizione, e che nel giudizio di appello ha riproposto l’eccezione di prescrizione ; a fronte di tali statuizioni, il motivo lamenta in modo del tutto generico la tardività dell’eccezione di prescrizione nell’atto di costituzione in appello , in quanto nulla precisa in ordine ai profili della dedotta tardività, né specifica in quale atto ha eccepito la decadenza della controparte dall’eccezione di prescrizione , e non fornisce dunque una ricostruzione processuale alternativa rispetto a quella contenuta nella sentenza impugnata.
In conclusione, va accolto il terzo motivo del ricorso principale e vanno rigettati gli altri motivi; va inoltre dichiarato inammissibile il ricorso incidentale;
la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al ricorso ed al motivo accolto, con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per la ricorrente incidentale, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione dichiarata inammissibile, se dovuto.
PQM
La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso principale e rigetta gli altri motivi; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso ed al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Ancona in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 4 aprile 2024.
La Presidente NOME COGNOME