Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20610 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20610 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1807/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t, NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale e legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di RAGIONE_SOCIALE n. 2092/2020, depositata in data 11/06/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/04/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
In sede di opposizione al decreto n. 670/2012 con cui veniva ingiunto alla RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, di pagare a favore del RAGIONE_SOCIALE, l’importo di euro 211.654,81 per prestazioni di analisi cliniche, l’ingiunta deduceva che il RAGIONE_SOCIALE all’epoca dell’insorgenza del credito oggetto del provvedimento monitorio non era accreditato come RAGIONE_SOCIALE specialistico, ma solo come RAGIONE_SOCIALE Generale di base, come emergeva dalla delibera n. 2134/2004 che aveva reiterato il declassamento dell’ingiungente da RAGIONE_SOCIALE base con prestazioni specialistiche a RAGIONE_SOCIALE base.
Il RAGIONE_SOCIALE sosteneva di avere diritto di erogare le prestazioni specialistiche, come risultava dal Decreto del Capo dello Stato di annullamento della delibera n. 3203/2003 che lo aveva declassato a RAGIONE_SOCIALE di analisi, chiedeva la disapplicazione della delibera n. 2134/2004, in quanto confermativa di quella precedente annullata e perché emessa in violazione del giudicato e, in subordine, domandava il riconoscimento delle somme oggetto del provvedimento monitorio ai sensi dell’art. 2041 cod.civ.
Il Tribunale di Torre Annunziata, con sentenza n. 2400/2014, accoglieva l’opposizione al decreto ingiuntivo, perché: i) l’opposta non aveva prodotto in giudizio l’autocertificazione in ordine all’avvenuta erogazione delle prestazioni dei settori A1 e A2; ii) la delibera n. 2134/2004 avrebbe dovuto essere impugnata dinanzi al Giudice amministrativo.
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza 2092/2020, depositata in data 11/06/2020 , ha rigettato l’impugnazione proposta dal RAGIONE_SOCIALE.
Pur riconoscendo che l’autocertificazione relativa allo svolgimento delle prestazioni A1 e A2 era stata prodotta in giudizio e che comunque lo svolgimento di attività di analisi risultava autorizzato, la Corte d’appello ha ritenuto che, avendo la RAGIONE_SOCIALE, dopo la n. 3203/2003, emesso una nuova delibera, la n. 2134/2004, che aveva reiterato il declassamento del RAGIONE_SOCIALE, la quale non risultava impugnata e non risultava allegata agli atti del giudizio da nessuna delle parti (sebbene le stesse concordassero in ordine alla sua sussistenza, ai suoi estremi -numero e data – e al suo contenuto), le era precluso l’esame incidentale della stessa, necessario per accertare se avesse un contenuto meramente reiterativo di quello della delibera del 2003, annullata, o se la motivazione alla base del declassamento fosse diversa.
Ha rigettato anche la domanda ex art. 2041 cod.civ., perché il declassamento del RAGIONE_SOCIALE analisi esprimeva il rifiuto di prestazioni specializzate da parte della RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando quattro motivi.
Resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
Le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il RAGIONE_SOCIALE si duole della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 cod.civ., 115 e 116 cod.proc.civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.
Attinta da censura è la statuizione con cui la Corte d’appello ha rigettato l’eccezione di giudicato e la conseguente domanda di disapplicazione della delibera n. 2134/2014, motivandola con
l’indisponibilità, per non essere stata prodotta in giudizio da alcuna delle parti, della delibera.
Premesso che la Corte d’appello aveva rilevato che il fascicolo d’ufficio non le era pervenuto, che non erano agli atti le produzioni di parte appellata, che ciononostante aveva messo la causa in decisione, sulla base delle sole allegazioni contenute nel fascicolo d’appello, le quali, per l’appellante, comprendevano anche le produzioni in sede monitoria e nel primo grado, la ricorrente elenca (p. 7 del ricorso) la sua produzione documentale nel procedimento monitorio e nel giudizio di opposizione di primo grado, allo scopo di dimostrare la sua tesi, vale a dire di aver soddisfatto il suo onere probatorio (provare il credito sulla scorta del quale agiva) e che spettava alla RAGIONE_SOCIALE provare il fatto impeditivo (la mancanza di accreditamento per lo svolgimento di prestazioni specialistiche).
La Corte d’appello, ponendo a fondamento del rigetto dell’eccezione di giudicato la delibera n. 2134/2014 mai prodotta in giudizio dalla RAGIONE_SOCIALE che intendeva avvalersene, avrebbe, dunque, non solo violato l’art. 2697 cod.civ., ma anche gli artt. 115 e 116 cod.proc.civ.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 132, 2° comma, n. 4 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ., per motivazione contraddittoria e perplessa.
La Corte d’appello, pur avendo ritenuto la delibera n. 2134/2014 un atto inesistente nel processo, avrebbe, contraddittoriamente, accolto le ragioni della RAGIONE_SOCIALE appellante, ritenendo detta delibera un atto impeditivo al riconoscimento del diritto di credito in contesa. Se il provvedimento del 2014 non era agli atti di causa, il giudice a quo avrebbe dovuto considerare venuti meno sia l’eccezione della RAGIONE_SOCIALE sia l’onere allegatorio e probatorio della controdeducente.
Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione dell’art. 2041 cod.civ., ex art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.
Pur essendo incontestato che le prestazioni di RAGIONE_SOCIALE specialistiche erano state erogate, la Corte d’appello avrebbe erroneamente disatteso la domanda ex art. 2041 cod.civ., attribuendo alla delibera n. 2134/2004 il significato di espresso rifiuto da parte della RAGIONE_SOCIALE delle prestazioni di RAGIONE_SOCIALE specialistiche; la decisione è erronea- ad avviso della ricorrente -perché: a) la delibera n. 2134/2004 non risultava agli atti del processo; b) in nessun atto del processo risultava comunicato alcun limite di spesa per la erogazione di prestazioni sanitarie, sicché implicitamente se ne doveva trarre la conseguenza che la RAGIONE_SOCIALE non fosse affatto contraria a ricevere prestazioni ulteriori rispetto a quelle il cui corrispettivo sarebbe rientrato nel predetto limite; c) dal parere del Consiglio di Stato emergeva il suo diritto di erogare prestazioni specialistiche; d) la RAGIONE_SOCIALE aveva continuato a pagare le prestazioni specialistiche sino a tutto il gennaio 2006, cioè per due anni dopo la delibera n. 2134/2004.
4) Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 324 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.
Avendo il Tribunale ritenuto che la delibera n. 21324/2014 aveva lo stesso contenuto di quella annullata, in assenza di impugnazione di detta statuizione, dotata di propria e compiuta autonomia, essa era passata in giudicato, sicché la Corte d’appello avrebbe dovuto disapplicare la delibera n. 21324/2014.
5) Rilevato che tre dei quattro motivi di ricorso, precisamente il primo, il secondo ed il quarto, si incentrano sulla delibera n. 2134/2014, il Collegio li tratta congiuntamente e li ritiene infondati.
È fuori discussione che alla RAGIONE_SOCIALE spettasse l’onere di dimostrare il fatto che impediva l’accoglimento della pretesa azionata: detto fatto impeditivo nel caso di specie era rappresentato dalla delibera n. 2134/2014 che aveva negato l’accreditamento del RAGIONE_SOCIALE, odierno ricorrente, per l’erogazione del tipo di prestazioni
specialistiche oggetto del provvedimento monitorio (la giurisprudenza di questa Corte in materia è pacifica e ad essa si rinvia: cfr., tra le decisioni più recenti, Cass. 15/04/2024, n. 10119, in motivazione).
La Corte di merito ha puntualizzato che sulla sussistenza, sul contenuto, sugli estremi di detta delibera non vi era contestazione tra le parti.
La mancata contestazione da parte del RAGIONE_SOCIALE di analisi in ordine alla ricorrenza del ‘fatto impeditivo’ legittimava il giudice ad escludere che tale fatto richiedesse ulteriori prove. In tal senso deve intendersi la statuizione della Corte territoriale che ha ritenuto dimostrato il fatto impeditivo all’accoglimento della richiesta oggetto del provvedimento monitorio, benché la delibera non fosse stata prodotta in giudizio da alcuna delle parti.
Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ha ad oggetto non la verifica delle condizioni di ammissibilità e di validità del decreto emesso nella fase sommaria, bensì l’accertamento dei fatti costitutivi del diritto in contestazione. Pertanto nella fase a cognizione piena vale il principio probatorio generale in forza del quale il creditore che agisce per il pagamento di un suo credito deve solo provare il titolo dal quale deriva la sua pretesa, l’onere della prova della sussistenza di una causa impeditiva, come in questo caso, incombeva sul debitore che l’aveva eccepita; di fronte , però, alla comprovata esistenza di una causa impeditiva, l’onere della prova era nuovamente tornato a gravare sul creditore, il quale aveva controdedotto che la delibera n. 2134/2014 avrebbe dovuto essere disapplicata perché essa reiterava, con il supporto delle medesime motivazioni in fatto e in diritto, il contenuto della delibera del 2003 oggetto di annullamento; l’onere della ASL di provare il fatto estintivo, rappresentava un prius logico rispetto all’onere di dimostrare l’eccezione di giudicato, posta a fondamento della domanda di disapplicazione, atteso che l’onere del creditore
acquista ragione d’essere soltanto dopo che il debitore abbia dato prova esauriente e completa del fatto estintivo (cfr. Cass. 11/03/1994, n. 2369 e successiva giurisprudenza con riferimento alla prova del pagamento, fatto estintivo, e alla controdeduzione del creditore che chieda di imputare il pagamento ad altro credito).
Deve pertanto escludersi che fosse onere della RAGIONE_SOCIALE produrre il giudizio la delibera del 2014, al fine di dimostrare che essa non poteva essere disapplicata, essendosi raggiunta in giudizio la prova, per l’operare del principio di non contestazione, del fatto impeditivo rappresentato dalla sussistenza della delibera, del suo contenuto e dei suoi estremi.
Deve essere opportunamente chiarito che la Corte d’appello quando riferisce della mancata contestazione del suo contenuto intende con tutta evidenza riferirsi al fatto che non era stato contestato che così come la delibera del 2013, quella del 2014 contenesse il declassamento del RAGIONE_SOCIALE richiedente; ciò che non era dimostrato e che rappresentava un punto controverso, del cui onere probatorio era gravata l’odierna ricorrente, era la motivazione in fatto e in diritto che la RAGIONE_SOCIALE aveva posto a fondamento della reiterazione del declassamento, perché soltanto ove la RAGIONE_SOCIALE avesse replicato la motivazione da cui era scaturito l’annullamento della delibera del 2013, il giudice a quo avrebbe dovuto disapplicarla, per violazione degli effetti conformativi del giudicato amministrativo; per procedere a detto accertamento, però, la Corte d’appello aveva bisogno di esaminare il contenuto della delibera; spettava, dunque, al RAGIONE_SOCIALE controdeducente produrre il giudizio la delibera in oggetto.
Tanto considerato, la Corte territoriale non è incorsa nell ‘error iuris attribuitole con il primo motivo di ricorso; ha reso una motivazione non solo perfettamente intellegibile e priva di distonie logiche e giuridiche, ma anche supportata da precisi riferimenti fattuali e giuridici (di qui il rigetto anche del secondo motivo); il
quarto motivo di ricorso è, invece, inammissibile, perché, a prescindere dal se la statuizione del Tribunale fosse passata in giudicato, le argomentazioni difensive poste a suo supporto dimostrano che non è stata colta la ratio decidendi della sentenza impugnata che non ha mai messo in discussione che il contenuto della delibera del 2014 fosse lo stesso di quella del 2013 -il declassamento del RAGIONE_SOCIALE -ma ha preteso di accertare che la motivazione del declassamento fosse la stessa e che quindi fosse stato violato il giudicato amministrativo.
6) Anche il terzo motivo di ricorso è infondato.
Ricordato che il privato può utilmente vantare un arricchimento ingiustificato nei confronti della PRAGIONE_SOCIALEA. solo se dimostra che la P.A. lo ha voluto o che ne era stata consapevole (cfr. Cass., Sez. Un., 8/12/2008, n. 24772 ), la Corte d’appello ha desunto che l’arricchimento era stato imposto dalla delibera n. 2134/2024, con cui in maniera inequivoca la RAGIONE_SOCIALE aveva negato al RAGIONE_SOCIALE qui ricorrente l’accreditamento per prestazioni di carattere specialistico; l’erogazione di prestazioni specialistiche da parte del RAGIONE_SOCIALE ricorrente era da considerarsi dunque imposta nell’accezione in cui l’arricchimento deve considerarsi imposto alla PA, secondo la giurisprudenza di questa Corte.
Va anche ribadito che le Sezioni unite di questa Corte (Cass. 18/06/2019, n. 16336), pur riconoscendo che il soggetto privato accreditato contribuisce alla “realizzazione dell’interesse pubblico, di rango costituzionale, alla salute dei cittadini e che l’attività sanitaria esercitata dalla struttura o dal professionista accreditati si concreti nell’erogazione di un servizio pubblico”, hanno confermato la sussistenza di un limite oggettivo: “il suo esercizio è sottoposto al potere di direzione e di controllo dell’amministrazione ed è remunerato con risorse pubbliche …”. In altri termini, se è innegabile che “l’instaurazione del rapporto concessorio di accreditamento comporta, in buona sostanza, l’inserimento
dell’accreditato, in modo continuativo e sistematico, nell’organizzazione della P.A. relativamente al settore dell’assistenza sanitaria …”, la natura di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate al di fuori degli accordi assunti.
Nessun rilievo può avere la circostanza che la RAGIONE_SOCIALE abbia corrisposto al RAGIONE_SOCIALE COGNOME il rimborso dovuto per prestazioni specialistiche per le quali non era accreditata, pur a seguito della delibera n. 2134/2014. La questione appare nuova, vale a dire dedotta per la prima volta in questa sede, e come tale inammissibile. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito ( ex multis , cfr. Cass. 02/09/2021, n. 23792).
Il che rende superfluo accertare se si fosse formato, pur in presenza di un comportamento consapevole e imprudente da parte dell’odierna ricorrente, un affidamento legittimo e incolpevole.
7) Le spese, a favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE, seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi
euro 7.200, di cui 7.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile