Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9063 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 9063 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3067/2020 R.G. proposto da: NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio COGNOME‘avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME E COGNOME NOME
– intimatI –
avverso la sentenza COGNOMEa CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 5542/2019 depositata il 18/11/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
il Tribunale di Napoli, accoglieva le domande proposte da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME – volte ad ottenere il rilascio del terreno sito in Bacoli, con accesso alla INDIRIZZO o INDIRIZZO, riportato nel NCT del Comune di Bacoli al foglio 15, p.lle 79, 151 e 45, nonché il risarcimento dei danni derivanti dal mancato godimento del fondo -e condannava NOME COGNOME all’immediato rilascio COGNOME‘immobile oggett o di causa ed NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, in solido tra loro, al pagamento COGNOMEa complessiva somma di € 44.966,48, a titolo di indennità per mancato godimento COGNOME‘immobile, oltre interessi al saggio legale, dalla data di pubblicazione COGNOMEa sentenza al soddisfo.
Il Giudice di prime cure rilevava che dalla documentazione prodotta, e in particolare dall’espletata consulenza tecnica d’ufficio e dalle prove testimoniali assunte, era emerso che gli attori fossero comproprietari pro indiviso del suddetto terreno, cosicché andava accolta la domanda principale di rilascio e quantificava il danno patito dagli istanti, in conformità COGNOME‘espletata consulenza tecnica d’ufficio, nell’importo € 44.966,48 riteneva non accoglibile la richiesta di estromissione formulata dai convenuti COGNOME e COGNOME, avendo gli stessi alienato un bene di cui non erano titolari.
COGNOME NOME e COGNOME NOME proponevano appello avverso la suddetta sentenza.
NOME COGNOME formulava autonomo appello avverso la medesima sentenza.
Ric. 2020 n. 3067 sez. S2 – ad. 07/03/2024
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, contestavano la fondatezza di entrambi gli appelli, chiedendone il rigetto.
La Corte d ‘A ppello di Napoli, rigettava l’appello proposto da NOME COGNOME COGNOME accoglieva parzialmente l’appello proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME e, per l’effetto, ferme le altre statuizioni contenute nella sentenza gravata, condannava gli appellanti NOME COGNOME e NOME COGNOME, in solido tra loro, al pagamento in favore degli appellati NOME COGNOME, NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME‘importo di € 174,10, oltre interessi al saggio legale dalla data di maturazione del credito al soddisfo, in luogo del maggior importo liquidato a loro carico nella sentenza gravata;
5.1 In questa sede rileva solo il rigetto COGNOME‘appello di NOME COGNOME. Sul punto la Corte territoriale, richiamata la giurisprudenza di legittimità sulla legittimazione ad agire, riteneva che fosse senz’altro da escludersi un difetto di legittimazione attiva di NOME, NOME e NOME COGNOME, avendo gli stessi affermato, fin dall’atto introduttivo del giudizio di primo grado – nel domandare la restituzione COGNOME‘intero fondo – di essere proprietari del terreno in contestazione, per averlo acquistato, quanto alle particelle 79 e 151, in qualità di eredi di NOME COGNOME, deceduta in data 20.11.1998, e quanto alla particella n. 45 – assegnata in sede divisionale a NOME COGNOME – per effetto COGNOMEa successione del loro padre NOME COGNOME. Inoltre, gli attori avevano adeguatamente provato, difformemente da quanto dedotto dall’appellante COGNOME con il primo motivo di impugnazione, mediante la documentazione tempestivamente prodotta nel primo grado di giudizio -e prescindendo dalle produzioni documentali offerte nel grado di appello – di essere effettivamente eredi di NOME COGNOME e che le
Ric. 2020 n. 3067 sez. S2 – ad. 07/03/2024
particelle n.79 e n. 151, lungi dall’essere state trasferite a NOME COGNOME in virtù COGNOME‘atto pubblico per AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO di Napoli del 17.7.1998, come dalla stessa preteso, rientrassero nell’asse ereditario COGNOMEa COGNOME.
Infatti, se pure la denuncia di successione, essendo munita di una rilevanza meramente fiscale, non poteva di per sé sola integrare prova COGNOMEa qualità di eredi degli appellati, con riferimento alla successione di NOME COGNOME l’unica indicata dall’appellante nel motivo di impugnazionee COGNOMEa consistenza COGNOME‘asse ereditario, doveva nondimeno osservarsi che, fin dal giudizio di primo grado, costituendosi in giudizio, i COGNOME avevano prodotto, non solo il testamento olografo di NOME COGNOME, pubblicato con atto per AVV_NOTAIO del 27 aprile 1944, con cui il de cuius aveva disposto COGNOMEe sue sostanze, tra cui il fondo in contestazione, in favore dei figli NOME e NOME COGNOME, rispettivamente zia e padre degli odierni appellati, ma anche il verbale di inventario relativo all’eredità di NOME COGNOME.
In ordine all’efficacia probatoria del verbale di inventario, redatto dal AVV_NOTAIO all’uopo delegato, la Corte richiamava la giurisprudenza di legittimità che, (Cass. Sez. 2 – , Sentenza n. 6551 del 16/03/2018), aveva precisato che ‘il verbale di inventario redatto dal AVV_NOTAIO ex art. 775 c.p.c., in quanto atto rogato nell’esercizio COGNOMEe funzioni, è assistito da pubblica fede e rappresenta, fino a prova contraria, fonte privilegiata di convincimento circa la ricostruzione e l’ammontare COGNOME‘asse ereditario al momento di apertura COGNOMEa successione, COGNOMEa cui reale consistenza il AVV_NOTAIO incaricato è personalmente tenuto ad accertarsi, potendo logicamente procedere all’interpello degli eredi
presenti solo dopo una personale ricognizione dei beni da inventariare.
Nel verbale si dava atto che NOME COGNOME aveva disposto dei suoi beni con testamento pubblico ricevuto dal medesimo AVV_NOTAIO il 4 n ovembre 1998 e che all’atto erano intervenuti NOME, NOME e NOME COGNOME , quali chiamati all’eredità di NOME COGNOME, eredità accettata, col beneficio di inventario, dai predetti COGNOME con verbale ricevuto dal cancelliere COGNOMEa Pretura di Napoli il 21 dicembre 1998. Quanto alla consistenza COGNOME‘asse ereditario, il AVV_NOTAIO aveva indicato espressamente tra i cespiti relitti da NOME COGNOME , ai fini che rilevano nel presente giudizio, la ‘ zona di terreno in Bacoli, alla INDIRIZZO, estesa circa metri quadrati centotrentuno, confinante con via privata, con cortile privato, con la INDIRIZZO e con proprietà Dente; individuata nel NCT con le particelle 79 e 151 del folio 15′, e cioè proprio la zona che l’odierna appellante, NOME COGNOME, assumeva di aver acquistato inter vivos dalla medesima NOME COGNOME. A tale verbale, poi, risultava allegato, già nella produzione di primo grado, il verbale di accettazione di eredità con beneficio di inventario, ricevuto il 21.12.1998 dal cancelliere COGNOMEa Pretura circondariale di Napoli, con cui gli appellati NOME, NOME e NOME COGNOME avevano dichiarato di voler accettare, con beneficio di inventario, l’eredità scaturente dal decesso COGNOMEa zia paterna NOME COGNOME, nata il DATA_NASCITA e deceduta il 20.11.1998, precisando che ‘la successione era regolata da testamento pubblico del 4.11.1998, pubblicato con atto per AVV_NOTAIO NOME del 1° dicembre 998, rep. N. 36240.’
Secondo la Corte d’Appello , alla luce di tali risultanze documentali e del sopra citato orientamento del Giudice di
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legittimità, era pienamente condivisibile la conclusione a cui era pervenuto il giudice di prime cure, nel ritenere – una volta escluso che il fondo in questione fosse ricompreso tra i beni di cui NOME COGNOME aveva disposto in favore di NOME COGNOME con atto di compravendita per NOME del 17.7.1998 – ampiamente provata la fondatezza COGNOMEa domanda di rilascio proposta dagli odierni appellanti.
Nel caso in esame, infatti, NOME COGNOME si era difesa assumendo di aver acquistato il fondo in oggetto, e segnatamente le particelle n. 79 e 151 del folio 15 dalla medesima NOME COGNOME, in virtù COGNOME‘atto di acquisto del 17.7.1998, che invece tali particelle non ricomprendeva come acclarato all’esito di consulenza tecnica d’ufficio -espressamente ammettendo, pertanto, l’appartenenza del cespite al comune autore NOME COGNOME.
Sul punto, la Corte richiamava il consolidato orientamento giurisprudenziale sull’attenuazione COGNOME‘onere probatorio in caso di azione di rivendicazione nella quale il convenuto non contesti l’originaria appartenenza del bene conteso ad un comune dante causa (cfr. Cass. sez. II, n.694 del 18.1.2016).
5.2 Del pari infondati erano il secondo e il quarto motivo di impugnazione, con cui NOME COGNOME si lamentava che il Tribunale di Napoli avesse ritenuto provata la pretesa risarcitoria azionata dai COGNOME, sebbene gli stessi non avessero adeguatamente allegato il pregiudizio che assumevano di aver ricevuto, lamentando altresì un’erronea determinazione, ad opera del nominato c.t.u., del quantum in ipotesi dovuto.
Quanto al primo dei profili di censura, la Corte richiamava la giurisprudenza di legittimità sul superamento del danno in re ipsa
nel caso di occupazione illegittima di un immobile (Cass. sezione terza, n.13071 del 25.5.2018, seguita dalle successive pronunce conformi Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11203 del 24/04/2019; Cass Sez. 3, Ordinanza n. 31233 del 04/12/2018, ma precedentemente, anche Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15111 del 17/06/2013), in quanto il danno-conseguenza che rileva a fini risarcitori deve essere allegato e provato. Nondimeno, secondo la medesima giurisprudenza il danno da occupazione “sine titulo”, in quanto particolarmente evidente, poteva essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici, non potendo tuttavia un alleggerimento COGNOME‘onere probatorio di tale natura includere anche l’esonero dalla allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l’intenzione concreta del proprietario di mettere l’immobile a frutto.
Nel caso di specie, gli appellati COGNOME avevano allegato, fin dall’atto introduttivo del giudizio di primo grado (pag. 2, lett. m) COGNOME‘atto di citazione) che ‘ l’attività posta in essere dai coniugi COGNOME NOME e dalla COGNOME oltre ad essere del tutto illecita li aveva danneggiati gravemente avendo intenzione di destinare detto appezzamento di terreno a parcheggio di autoveicoli ‘.
Inoltre, i COGNOME avevano chiesto di provare la ricezione di una concreta proposta di locazione e avevano tempestivamente reiterato tale richiesta con le note istruttorie. Inoltre, un teste escusso aveva riferito che il proprietario del ristorante RAGIONE_SOCIALE aveva richiesto, in un’occasione in cui si era recato con la moglie NOME COGNOME presso la villa, di ottenere in locazione il fondo in questione per utilizzarlo come parcheggio e che, proprio per tale ragione, era stata richiesta al COGNOME la restituzione del terreno.
Alla luce di tali elementi indiziari, poteva senz’altro ritenersi provata la concreta intenzione degli appellati di destinare il fondo ad una finalità produttiva e, quindi, l’esistenza di un effettivo pregiudizio, apprezzabile in termini di danno conseguenza, derivante dall’occupazione sine titulo ad opera di NOME COGNOME.
5.3 In ordine al quantum del pregiudizio, inoltre, era condivisibile, difformemente da quanto dedotto dall’appellante COGNOME, la stima operata dal Giudice di prime cure, in conformità COGNOMEa consulenza tecnica d’ufficio, in misura peraltro sensibilmente ridotta, rispetto al canone locativo, di £ 600.000 al mese, indicato nel capo di prova sopra indicato, articolato dagli appellati.
Il nominato CTU, infatti, nel procedere alla stima del valore locativo del fondo, aveva tenuto conto COGNOMEa sua ridotta estensione, COGNOMEa sua destinazione e COGNOMEa sua ubicazione, correttamente ritenendolo equiparabile ad ‘una pertinenza ornamentale (superficie scoperta a giardino o similare)’ di un edificio unifamiliare, valutandolo pertanto al 10% COGNOMEa sua consistenza di mq 344,00.
Evidentemente incongrua era, per converso, la stima propugnata dalla parte impugnante, volta ad assimilare il terreno in questione ad un fondo agricolo, invocando il canone previsto in tema di contratti agrari, senza tener conto COGNOMEe concrete caratteristiche del fondo, ove pure destinato ad orto, in termini di estensione ed ubicazione.
Palesemente infondato era , poi, anche l’ulteriore argomento, prospettato dall’appellante COGNOME, secondo cui per la stima l’ausiliario avrebbe fatto inammissibilmente ricorso – individuando un valore medio tra il limite minimo e massimo dei valori indicati
dalla banca dati COGNOMEe quotazioni immobiliari COGNOME‘RAGIONE_SOCIALE – a valori locativi riferibili a periodi diversi rispetto a quello dedotto in lite e segnatamente al primo semestre COGNOME‘anno 2012.
Se era vero, infatti, che l’ausiliario giudiziale a veva preso in considerazione le quotazioni relative al primo semestre COGNOME‘anno 2012, aveva poi provveduto, come emergeva dalla tabella riportata alle pagine 10 e 11 COGNOMEa relazione di consulenza tecnica, tenendo conto COGNOMEe variazioni Istat COGNOME‘indice dei prezzi al consumo, ad una devalutazione monetaria del canone di affitto mensile, risalendo così, a ritroso, ai canoni mensili che di anno in anno si sarebbero potuti ottenere affittando l’area oggetto di causa.
5.4 Del pari infondata, inoltre, era la censura, pure esposta nel secondo motivo di appello, al paragrafo 2.1, ma evidentemente autonoma, volta a denunciare la nullità COGNOMEa consulenza tecnica d’ufficio, poiché redatta in chiave suppletiva rispetto alle deficienze probatorie in cui erano incorsi gli istanti, anche in punto di prova COGNOMEa proprietà – tenendo conto di documentazione ulteriore rispetto a quella prodotta dalle parti, e cioè dei certificati catastali relativi al fondo oggetto di causa.
Per un verso, le indagini in questione integravano attività del C.T.U. meramente acquisitive di elementi emergenti da pubblici registri accessibili a chiunque. Inoltre, ai sensi COGNOME‘art. 194 cod. proc. civ., comma 1, il consulente poteva assumere informazioni da terzi e procedere all’accertamento dei fatti costituenti presupposti necessari per rispondere ai quesiti postigli, sempreché si tratti di fatti accessori rientranti nell’ambito strettamente tecnico COGNOME‘incarico affidatogli (in termini, la recente Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 15747 del 15/06/2018).
In ogni caso era dirimente che la ricorrente non avesse tempestivamente eccepito le eventuali nullità COGNOMEa consulenza che ex art. 157 c.p.c. erano comunque sanate (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2251 del 2013; Cass. 15 aprile 2002, n. 5422; Cass. 14 agosto 1999 n. 8659; Cass. 24 giugno 1984 n. 3743). Infatti, dall’esame dei verbali di causa, successivi al deposito COGNOMEa consulenza tecnica, non risultava proposta alcuna eccezione. La doglianza pertanto non poteva che essere rigettata.
5.5 Infine non poteva affermarsi la buona fede del possesso acquisito da NOME COGNOME con conseguente dovere di restituzione solo dei frutti civili a far data dalla domanda giudiziale. La prospettazione COGNOMEa parte impugnante trascurava di considerare, infatti, che se la buona fede, consistente ‘nell’ignoranza di ledere l’altrui diritto , deve presumersi, la stessa ‘non giova se l’ignoranza dipende da colpa grave’ (art. 1147 c.c.). Inoltre, premesso che si tratta di una presunzione ” iuris tantum “, (Cass. sez. 2, Sentenza n. 21387 del 18/09/2013; Cass. 12 settembre 2003 n. 13424; Cass. 25 settembre 2002 n. 13929),) nella specie, doveva senz’altro ritenersi che la COGNOME, chiedendo e ricevendo le chiavi del fondo, nel luglio del 2000, da COGNOME NOME, che pacificamente lo aveva detenuto fino a quell’epoca, e quindi anche dopo il decesso di COGNOME NOME, sapesse o ignorasse per sua grave colpa di ledere il diritto degli eredi COGNOME, effettivi proprietari COGNOMEo stesso. Infatti, secondo quanto accertato dal consulente tecnico d’ufficio, nelle planimetrie catastali degli immobili sub 5 e sub 1, venduti con atto di compravendita per AVV_NOTAIO NOME del 17.7.1998, da COGNOME NOME a COGNOME NOME, non risultava alcun accenno alle particelle di terreno 45, 79 e 151; tali
planimetrie risultavano depositate presso gli uffici del NCEU dall’anno 1988, quando era ancora in vita COGNOME NOME, cosicché venditore ed acquirente non potevano che essere consapevoli COGNOMEa consistenza immobiliare oggetto di trasferimento. Peraltro, alla data COGNOME‘immissione in possesso COGNOMEa COGNOME, non solo risultava deceduta COGNOME NOME, ma già era sorta contestazione tra il COGNOME e gli eredi COGNOME in ordine alle modalità del rilascio del fondo in oggetto, come comprovato dal carteggio in atti e dalla deposizione del teste NOME COGNOME che aveva riferito che, nel corso COGNOMEe trattative volte alla determinazione di un indennizzo per i miglioramenti, pretesi dal COGNOME, questi comunicava di aver consegnato le chiavi del fondo alla nuova proprietaria COGNOMEa villa.
Del resto, lo stesso COGNOME, nella missiva che aveva prodotto in giudizio, affermandone la paternità – inviata a mezzo fax, in data 17.11.2000, all’AVV_NOTAIO, procuratore degli appellati -comunicava ai COGNOME di aver informato la COGNOME COGNOMEa richiesta di rilascio formulata dagli stessi, sull’assunto che i proprietari del giardino erano gli eredi di NOME COGNOME e che, successivamente, la COGNOME edotta COGNOMEe pretese vantate dagli odierni appellati, aveva ricevuto le chiavi di accesso al giardino. Tali circostanze, che non sono in alcun modo state contestate dalla COGNOME, che anche nel presente giudizio ha continuato ad opporsi alla richiesta di rilascio formulata dagli appellati, apparivano munite di significativa valenza indiziaria COGNOMEa consapevolezza, ad opera COGNOMEa COGNOME, ovvero COGNOME‘ignoranza gravemente colpevole, COGNOMEa altruità COGNOMEa res all’atto COGNOMEa sua concreta apprensione.
A ciò doveva aggiungersi che, secondo quanto riferito dai testi COGNOME e COGNOME, e difformemente da quanto dedotto dalla COGNOME, il
giardino in oggetto –COGNOME‘estensione di mq 344 ( pag.9 COGNOMEa c.t.u.) e diverso dal piccolo giardino esclusivo annesso al sub.5, trasferito alla COGNOME, COGNOME‘estensione di circa 30 mq, menzionato alla pagina 8 COGNOMEa consulenza tecnica d’ufficio – non si trovava annesso e materialmente congiunto alla consistenza immobiliare trasferita inter vivos da COGNOME NOME in favore di COGNOME NOME, circostanza che avrebbe potuto creare un affidamento in ordine ad un’unitaria consistenza immobiliare, trattandosi per converso di un suolo ‘che si trovava all’esterno del perimetro COGNOMEa villa separato da detta villa da una strada di accesso’ (così, il teste COGNOME). In particolare il teste COGNOME aveva riferito che la villa, composta da alcuni appartamenti che erano stati venduti, si trovava a destra entrando nel viale comune di accesso ed il giardino in contestazione, che era recintato da un muro, era posizionato sulla sinistra entrando nella medesima via .
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di cinque motivi.
Le altre parti sono rimaste intimate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: difetto di motivazione COGNOMEa sentenza gravata per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. e/o violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3 c.p.c., con conseguenziale error in iudicando rispetto alla prova COGNOMEa legittimazione attiva e alla titolarità del diritto, ai sensi e per gli effetti degli artt. 2697 c.c., 115 c.p.c. e 116 c.p.c.
Ric. 2020 n. 3067 sez. S2 – ad. 07/03/2024
Secondo la ricorrente nessun valore probatorio rivestirebbe la denuncia di successione COGNOMEa sig.ra COGNOME NOME. Né potrebbe sopperire a detta deficienza probatoria, il verbale di inventario redatto dal AVV_NOTAIO il 26.01.1999 ai sensi COGNOME‘art. 775 c.p.c., come erroneamente assunto sul punto dalla Corte di Appello di Napoli nella sentenza gravata. Infatti, la fede privilegiata riconosciuta al verbale rinviene la sua ratio nella presunzione che il AVV_NOTAIO incaricato abbia effettivamente eseguito un ‘ personale ‘ accertamento COGNOMEa reale consistenza COGNOME‘asse ereditario e proceduto all’interpello degli eredi soltanto dopo aver personalmente effettuato la ricognizione dei beni da inventariare.
Peraltro, nella specie sussisterebbe il carattere COGNOMEa pertinenzialità, sia sotto il profilo oggettivo del collegamento funzionale sia sotto quello soggettivo COGNOMEa volontà concreta da parte COGNOME‘avente titolo di destinare la pertinenza, ovvero il terreno, a servizio ed ornamento COGNOMEa cosa principale, ovvero del fabbricato.
La ricorrente censura poi la decisione per violazione COGNOME‘art. 116 c.p.c. per non aver tenuto conto degli elementi probatori e per aver affermato il riconoscimento di un comune dante causa da parte sua con conseguente attenuazione COGNOME‘onere probatorio in capo al rivendicante .
Infine, la ricorrente lamenta la mancanza di motivazione per avere la Corte di Appello di Napoli del tutto ingiustificatamente omesso di considerare che dall’istruttoria in prime cure (dalle dichiarazioni rese dagli altri convenuti, sig.ri COGNOME e COGNOME, in udienza e negli atti di causa) sarebbe chiaramente emerso, che le chiavi dei fondi chiesti in restituzione dai COGNOME furono consegnate
Ric. 2020 n. 3067 sez. S2 – ad. 07/03/2024
alla signora COGNOME, poiché indicata dalla signora COGNOME NOME (loro dante causa) quale unica proprietaria del fondo.
1.1 Il primo motivo di ricorso è in parte inammissibile in parte infondato.
La censura di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti è inammissibile perché ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi COGNOME‘art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità COGNOMEa censura ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., inoltre, come si è detto, non è dedotto alcuno specifico fatto decisivo che sarebbe stato omesso dalla Corte d’Appello. Infatti, in tema di giudizio di cassazione, il motivo di ricorso di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., deve riguardare un fatto storico considerato nella sua oggettiva esistenza, senza che possano considerarsi tali né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base COGNOMEe prove acquisite nel corso del relativo giudizio’. Nel caso di specie, i ricorrenti, non censurano propriamente l’omessa valutazione di un fatto storico, quanto piuttosto l’apprezzamento del compendio probatorio posto a base COGNOMEa decisione, per definizione riservato al giudice di merito.
Le censure di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c. sono inammissibili per i seguenti profili. La violazione COGNOME‘art. 2697 c.c. si configura solo allorché il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere COGNOMEa prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che
Ric. 2020 n. 3067 sez. S2 – ad. 07/03/2024
ne era onerata secondo le regole di scomposizione COGNOMEa fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni. Nella specie ciò non è avvenuto avendo la Corte ritenuto provata la proprietà del terreno in capo agli attori sulla base COGNOMEe prove fornite e COGNOME‘istruttoria espletata. La censura proposta, pertanto, è manifestamente inammissibile risolvendosi espressamente nella richiesta di rivalutazione degli elementi istruttori. Inoltre, per dedurre la violazione del paradigma COGNOME‘art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento COGNOMEa decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione COGNOMEa norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice, come nella specie, abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma COGNOME‘art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione COGNOMEe prove” (Cass. n. 11892 del 2016, Cass. S.U. n. 16598/2016). Inoltre, la doglianza circa la violazione COGNOME‘art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non
Ric. 2020 n. 3067 sez. S2 – ad. 07/03/2024
abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento COGNOMEa prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione. (Sez. U – , Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 02).
Da ultimo la censura di mancanza di prova del titolo di acquisto COGNOMEa proprietà da parte degli attori in rivendica può esaminarsi nel merito. La doglianza si rivela infondata in quanto la stessa ricorrente deduce di aver acquistato il bene in contestazione da NOME COGNOME (comune dante causa anche degli attori) quale pertinenza che segue il bene anche se non è indicata nel titolo di acquisto. Ne consegue che, in presenza del riconoscimento del comune dante causa nella persona di NOME COGNOME, il suo testamento e il successivo verbale di inventario in tali casi possono costituire prova COGNOMEa proprietà del terreno.
Infatti, si è già avuto modo di affermare che l’attore in revindica non può invocare il testamento a fondamento del diritto sulla cosa reclamata solo quando sia escluso che questa appartenesse al de cuius (Sez. 1, Sentenza n. 718 del 14/03/1973,
Rv. 362909 -01, Sez. 2, Sentenza n. 1511 del 10/03/1979, Rv. 397860 – 01).
In altri termini, nel giudizio di revindica di un immobile ai fini COGNOMEa prova COGNOMEa proprietà il titolo di acquisto può essere costituito dal testamento quando risulta pacifico e non contestato che il bene rivendicato appartenesse al de cuius.
Inoltre, quanto all’individuazione del bene rientrante tra quelli oggetto del testamento di NOME COGNOME, l a Corte d’Appello ha richiamato correttamente anche la giurisprudenza di legittimità in relazione al verbale di inventario.
Deve darsi continuità al seguente principio di diritto: il verbale di inventario redatto dal AVV_NOTAIO ex art. 775 c.p.c., in quanto atto rogato nell’esercizio COGNOMEe funzioni, è assistito da pubblica fede e rappresenta, fino a prova contraria, fonte privilegiata di convincimento circa la ricostruzione e l’ammontare COGNOME‘asse ereditario al momento di apertura COGNOMEa successione, COGNOMEa cui reale consistenza il AVV_NOTAIO incaricato è personalmente tenuto ad accertarsi, potendo logicamente procedere all’interpello degli eredi presenti solo dopo una personale ricognizione dei beni da inventariare (Nella specie, la RAGIONE_SOCIALE ha cassato la decisione di merito, che aveva ritenuto l’inidoneità del verbale di inventario redatto dal AVV_NOTAIO a provare l’effettiva titolarità dei beni ivi elencati in capo al de cuius , siccome considerato meramente riproduttivo COGNOMEe dichiarazioni rese dagli eredi) (Sez. 2 – , Sentenza n. 6551 del 16/03/2018, Rv. 647853 – 01).
Il giudizio sulla natura non pertinenziale del bene, in quanto attiene ad una valutazione di fatto non è sindacabile da questa Corte fondandosi la decisione sulla valutazione degli elementi
Ric. 2020 n. 3067 sez. S2 – ad. 07/03/2024
emersi nel corso COGNOME‘istruttoria supportati da ampia e congrua motivazione.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., con conseguenziale error in iudicando rispetto al risarcimento del presunto danno richiesto e liquidato per occupazione illegittima e, segnatamente, la violazione e falsa applicazione COGNOME‘art. 1223 c.c., COGNOME‘art. 2056 c.c., COGNOME‘art. 2697 c.c. e COGNOME‘art. 2721 c.c., nonché 116 c.p.c.
Secondo parte ricorrente la Corte di Appello di Napoli nella sentenza impugnata avrebbe ritenuto ingiustamente provata la pretesa risarcitoria azionata dai COGNOME.
Gli attori in prime cure avrebbero del tutto omesso anche solo di allegare e, men che meno, di provare rigorosamente i presunti e non riscontrati danni che avrebbero subito a causa ed in conseguenza COGNOMEa riferita illegittima occupazione dei fondi di cui hanno chiesto la restituzione.
Nell’ipotesi di specie, gli attori in prime cure non avrebbero fatto alcun riferimento alla effettiva destinazione d’uso dei fondi in lite, né a possibili modi di loro impiego e/o sfruttamento alternativo, così da poter fornire validi elementi per l’individuazione COGNOMEa natura del danno asseritamente sofferto e ciò sia in punto di an che in punto di quantum debeatur .
In caso di spossessamento illecito del bene immobile il riconoscimento del risarcimento del danno subito dal proprietario, discendendo dalla perdita COGNOMEa disponibilità del bene e dall’impossibilità di conseguire l’utilità ricavabile dal bene medesimo in relazione alla sua natura normalmente fruttifera,
presuppone il positivo raggiungimento COGNOMEa prova presuntiva COGNOMEa conseguenza patrimoniale pregiudizievole.
Dalle evidenze istruttorie emerse in prime cure, sarebbe chiaramente emerso l’impossibilità COGNOMEo scopo remunerativo strumentalmente indicato dai presunti danneggiati: l’utilizzo remunerativo da loro allegato a sostegno del presunto pregiudizio subito si è rivelato del tutto irrealizzabile per la concreta inutilizzabilità a tale fine del fondo in lite, tenuto concretamente conto COGNOMEa sua concreta destinazione, COGNOMEa sua estensione e COGNOMEa sua ubicazione.
2.1 Il secondo motivo di ricorso è infondato.
La sentenza è conforme alla giurisprudenza di legittimità. Le Sezioni Unite Civili di questa Corte di recente si sono pronunciate sulla questione COGNOMEa configurabilità del danno da occupazione illegittima di immobili alla stregua di danno in re ipsa . Dunque, per il rigetto del motivo di ricorso è sufficiente richiamare i principi di diritto ivi enunciati:
-‘In caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità, andata perduta, di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto, mediante concessione a terzi dietro corrispettivo, restando, invece, non risarcibile il venir meno COGNOMEa mera facoltà di non uso, quale manifestazione del contenuto del diritto sul piano astratto, suscettibile di reintegrazione attraverso la sola tutela reale’;
-‘In caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, se il danno da perdita subita di cui il proprietario
chiede il risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato’ ;
-‘In caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da mancato guadagno è lo specifico pregiudizio subito, rappresentato dall’impossibilità di concedere il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o di venderlo ad un prezzo più conveniente di quello di mercato’;
-‘In tema di risarcimento del danno da occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il proprietario è tenuto ad allegare, quanto al danno emergente, la concreta possibilità di godimento perduta e, quanto al lucro cessante, lo specifico pregiudizio subito (sotto il profilo COGNOMEa perdita di occasioni di vendere o locare il bene a un prezzo o a un canone superiore a quello di mercato), di cui, a fronte COGNOMEa specifica contestazione del convenuto, è chiamato a fornire la prova anche mediante presunzioni o il richiamo alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza; poiché l’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti, l’onere probatorio sorge comunque per i fatti ignoti al danneggiante, ma il criterio di normalità che generalmente presiede, salvo casi specifici, alle ipotesi di mancato esercizio del diritto di godimento, comporta che l’evenienza di tali fatti sia tendenzialmente più ricorrente nelle ipotesi di mancato guadagno ‘. (Sez. U – , Sentenza n. 33645 del 15/11/2022, Rv. 666193 – 02).
Richiamati i suddetti principi, nessuna violazione di legge è possibile riscontrare nella sentenza impugnata sia quanto alla prova del danno che alla sua quantificazione, mentre sono sottratte al sindacato di questa Corte le valutazioni in fatto degli elementi istruttori, così come COGNOMEa prova presuntiva del danno adeguatamente motivata.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: omessa motivazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., con conseguenziale error in iudicando per il riconoscimento di un danno non provato per l’occupazione illegittima con conseguente violazione e falsa applicazione COGNOME‘art. 1223 c.c., COGNOME‘art. 2056 c.c., COGNOME‘art. 2697 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché COGNOME‘art. 2721 c.c.
La decisione COGNOMEa Corte territoriale contrasterebbe con quanto stabilito in tema di danno risarcibile dall’art. 1223 c.c., con la disposizione COGNOME‘art. 2056 c.c. in ordine ai criteri di valutazione del danno, nonché con quanto stabilito dagli articoli 2697 c.c. e 2721 c.c. in tema di onere e limiti COGNOMEa prova, soprattutto in riferimento agli articoli 115 e 116 c.p.c. in tema di contestazione specifica dei fatti sottoposti all’esame del Giudice e valutazione COGNOMEe risposte date dalle parti in giudizio.
La menzionata prova presuntiva, secondo il pacifico insegnamento COGNOMEa giurisprudenza di legittimità, deve necessariamente fondarsi su ‘ una ragionevole certezza, la cui rispondenza logica deve essere verificata alla stregua del criterio probabilistico COGNOME”id quod plerumque accidit, che ‘quel tipo di bene immobile’ sarebbe stato destinato ad un impiego fruttifero ‘ .
In base alle allegazioni degli istanti in prime cure, i fondi avrebbero dovuto essere destinati ‘ a parcheggio di autoveicoli ‘: tuttavia, nell’atto introduttivo del giudizio di prime cure non sarebbe indicato alcunché in ordine a trattative condotte per l’utilizzo a tale scopo dei fondi né, tantomeno, a eventuali importi concordati per la locazione a tale fine.
L’istruttoria espletata in prime cure ha evidenziato che concretamente i fondi sono sempre stati destinati solo ed esclusivamente ad attività eminentemente agricola e non produttiva: la circostanza è stata pacificamente ammessa dagli istanti e da loro confermata personalmente in udienza, in sede di libero interrogatorio.
3.1 Il terzo motivo di ricorso è infondato.
La censura è in larga parte ripetitiva di quella proposta con il secondo motivo ed è sufficiente aggiungere alla motivazione già esposta circa la non sindacabilità COGNOME‘accertamento fondato su elementi di fatto del danno ritenuto provato dall a Corte d’Appello essendo emerso che il terreno poteva essere destinato a parcheggio di un vicino ristorante.
Anche quanto alla dedotta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è sufficiente richiamare i principi affermati dalle Sezioni Unite e già esposti in riferimento al primo motivo di ricorso.
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., con conseguenziale error in procedendo e in iudicando per il riconoscimento di una fattispecie di danno diversa da quella richiesta, conseguente all’occupazione illegittima dei fondi, con conseguente violazione e falsa applicazione COGNOME‘art. 1223 c.c.,
COGNOME‘art. 2056 c.c., COGNOME‘art. 2697 c.c., in riferimento all’art. 112 c.p.c.
La Corte di Appello di Napoli si sarebbe pronunciata in merito ad un bene diverso da quello richiesto, non compreso (nemmeno implicitamente) nella domanda originariamente formulata dagli istanti in prime cure ed avrebbe, comunque, posto a fondamento COGNOMEa decisione assunta fatti o situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo una causa petendi nuova e diversa rispetto a quella contenuta nella domanda originaria.
In prime cure , infatti, gli eredi COGNOME avevano lamentato di aver subito un danno patrimoniale in termini di mancato guadagno, per non aver potuto destinare a parcheggio di autovettura i fondi di cui dichiaravano di essere proprietari, nonostante ne avessero richiesto la restituzione a mezzo raccomandata A.R. del 02.06.2000 ai sig.ri COGNOME e COGNOME che li detenevano, a loro dire, ‘ abusivamente ‘ sin dal 26.11.1995, data di decesso del loro dante causa, sig. COGNOME NOME.
La Corte di Appello di Napoli ha, invece, rilevato che dalla complessiva documentazione in atti e dalle dichiarazioni rese dalle stesse parti in causa, il fondo in questione era stato legittimamente posseduto dal sig. COGNOME NOME e, alla sua morte, dal figlio COGNOME NOME, fin dal 19.04.1981 a titolo di grazioso.
La domanda ritenuta accoglibile dalla Corte territoriale sarebbe dunque diversa da quella originariamente formulata dagli istanti in prime cure quanto al l’abusiva occupazione originaria dei sig.ri COGNOME e COGNOME, che la Corte territoriale avrebbe completamente ed ingiustificatamente omesso di rilevare, ritenendo che nella
fattispecie l’abusività COGNOME‘occupazione dei COGNOME fosse soltanto sopravvenuta.
4.1 Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
La censura è proposta in modo poco chiaro in quanto deduce la violazione COGNOME‘art. 112 c.p.c. derivante dalla violazione COGNOMEe norme indicate in rubrica che attengono al risarcimento del danno e non si pongono in modo consequenziale rispetto al vizio di ultrapetizione. In ogni caso deve affermarsi che l’interpretazione COGNOMEa domanda spetta al giudice del merito e che non vi è stata alcuna violazione COGNOME‘art. 112 c.p.c.
Sembrerebbe che i ricorrenti si lamentino del fatto che non sarebbe stata accolta la domanda di originaria abusiva occupazione ma quella di occupazione sopravvenuta.
A fronte COGNOMEa domanda di risarcimento del danno per l’occupazione abusiva del fondo, spetta al giudice del merito determinare i l momento in cui l’occupazione è divenuta illegittima e la sua posticipazione rispetto a quello individuato dagli attori con la domanda non comporta alcuna violazione del l’art. 112 c.p.c. per ultrapetizione così come la conseguente attribuzione COGNOMEa responsabilità solo ad alcuni dei convenuti che si sono succeduti nel possesso.
5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. e/o il difetto di motivazione COGNOMEa sentenza, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. con conseguenziale error in procedendo e iudicando rispetto al possesso in buona fede, ex artt. 1147, comma 2, c.c., 1148 c.c., 2697 c.c. e 2721 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c.
La Corte partenopea avrebbe applicato erroneamente e/o male interpretato le disposizioni di legge di cui agli artt. 1147 c.c. e 1148 c.c., in combinato disposto con le disposizioni di cui agli artt. 2697 c.c. e 115 e 116 c.p.c., in tema di prova e onere COGNOMEa prova, approdando ad una sentenza gravemente errata, ritenendo di liquidare agli eredi COGNOME importi assolutamente non dovuti.
Soltanto laddove gli eredi COGNOME avessero compiutamente allegato e provato la mala fede del possesso COGNOMEa sig.ra COGNOME NOME, avrebbero potuto seriamente vantare il diritto al risarcimento ex art. 2043 c.c.
Invece la signora NOME COGNOME era in assoluta buona fede al momento COGNOME‘immissione nel possesso e, successivamente, per tutto il corso del giudizio in cui è stata convenuta (visti i vizi di notifiche del libello introduttivo) nel 2003. La circostanza, dedotta nella sentenza impugnata, che il COGNOME nella missiva inviata a mezzo fax, in data 17.11.2000, all’AVV_NOTAIO, procuratore degli appellati, comunicava ai COGNOME di aver informato la COGNOME COGNOMEa richiesta di rilascio formulata dagli stessi, nulla toglierebbe rispetto alla buona fede COGNOMEa COGNOME al momento COGNOME‘immissione nel possesso laddove per pacifico e consolidato orientamento, la medesima buona fede non viene esclusa dalla mera resistenza alla domanda di rilascio. Allo stesso modo per il fatto che anche in appello la signora COGNOME ha continuato ad opporsi alla richiesta di rilascio formulata dai COGNOME.
5.1 Il quinto motivo di ricorso è inammissibile.
Si richiede una rivalutazione in fatto COGNOMEa prova COGNOMEa sussistenza COGNOMEa buona fede in capo alla COGNOME che, secondo quanto accertato dalla Corte d’Appello, al momento COGNOME‘acquisto
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del possesso del terreno già conosceva (o era in grado di conoscere con l’ordinaria diligenza) che il bene era di proprietà dei COGNOME essendo già sorta controversia con i COGNOME, suoi dante causa (pag. 16 COGNOMEa sentenza). Peraltro, la Corte ha espressamente ritenuto che la presunzione di buona fede nella specie sia stata anche superata. Deve ribadirsi che: In materia di possesso, la buona fede costituisce oggetto di presunzione “iuris tantum”, che può essere superata anche attraverso presunzioni contrarie e semplici indizi. (Nella specie, in applicazione COGNOME‘enunciato principio, la RAGIONE_SOCIALE ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto che la presunzione iniziale di buona fede fosse venuta meno dal momento in cui i possessori di un fondo, non compreso nel titolo di acquisto da loro vantato, avevano ricevuto una lettera di intimazione al rilascio del bene) (Sez. 2, Sentenza n. 21387 del 18/09/2013, Rv. 627909 – 01).
6. Il ricorso è rigettato.
Nulla sulle spese non avendo le altre parti svolto difese.
Ai sensi COGNOME‘art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto COGNOMEa sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte COGNOMEa ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis COGNOMEo stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
ai sensi COGNOME‘art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte COGNOMEa ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
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previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis COGNOMEo stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio COGNOMEa 2^ Sezione