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Leasing traslativo: oneri del creditore nel fallimento

La Corte di Cassazione ha stabilito che, in caso di fallimento dell’utilizzatore di un leasing traslativo già risolto, la società concedente che si insinua al passivo deve fornire una stima del valore del bene recuperato. Questa allegazione è indispensabile per permettere al giudice di calcolare l’equo compenso e l’eventuale risarcimento, evitando un’ingiusta locupletazione del creditore. La mancata indicazione del valore del bene rende la domanda di ammissione al passivo inammissibile.

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Leasing Traslativo: L’Obbligo di Stimare il Bene nel Fallimento dell’Utilizzatore

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce gli oneri a carico della società concedente in caso di risoluzione di un contratto di leasing traslativo seguita dal fallimento dell’utilizzatore. La decisione sottolinea un principio fondamentale: per evitare un ingiusto arricchimento, il creditore deve fornire gli elementi necessari a quantificare il suo effettivo danno, inclusa la stima del valore del bene recuperato. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti di Causa

Una società finanziaria aveva concesso in leasing un immobile a un’altra società. A seguito dell’inadempimento di quest’ultima nel pagamento dei canoni, il contratto veniva risolto. Successivamente, la società utilizzatrice veniva dichiarata fallita. La società concedente, rientrata in possesso dell’immobile, presentava domanda di insinuazione al passivo del fallimento, chiedendo il pagamento sia dei canoni scaduti e non pagati, sia dei canoni futuri previsti dal contratto.

Sia il giudice delegato che il Tribunale in sede di opposizione respingevano la domanda. La motivazione del rigetto si basava sul fatto che la società concedente non aveva né chiarito se l’immobile fosse stato rivenduto, né allegato una stima del suo valore di mercato. Secondo il Tribunale, ammettere l’intera pretesa creditoria senza tener conto del valore del bene, ormai tornato nella disponibilità del concedente, avrebbe comportato un’illegittima locupletazione (arricchimento ingiustificato).

La Decisione della Cassazione sul leasing traslativo

La società finanziaria ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che il Tribunale avrebbe dovuto sollecitare il contraddittorio su questo punto e che, in ogni caso, la normativa applicabile consentirebbe di portare in detrazione il ricavato della vendita del bene solo in un momento successivo. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione del Tribunale e fornendo importanti chiarimenti sull’applicazione della disciplina del leasing traslativo in ambito fallimentare.

Le Motivazioni

La Corte ha innanzitutto ribadito che ai contratti di leasing traslativo risolti prima dell’entrata in vigore della Legge n. 124 del 2017 si applica, in via analogica, la disciplina dell’art. 1526 del codice civile, relativa alla vendita con riserva di proprietà.

Il punto centrale della motivazione risiede nell’interpretazione di questa norma alla luce dei principi che governano l’insinuazione al passivo fallimentare. Quando una società di leasing, a seguito della risoluzione del contratto, chiede il pagamento di tutti i canoni (scaduti e a scadere), sta di fatto facendo valere una pretesa che ha la natura di una clausola penale. L’art. 1526 c.c. conferisce al giudice il potere di ridurre tale penale se manifestamente eccessiva, al fine di garantire un equo contemperamento degli interessi delle parti.

Per esercitare questo potere, il giudice deve essere messo in condizione di valutare l’effettivo squilibrio tra le prestazioni. Nel contesto del fallimento, questo si traduce in un onere preciso per il creditore che si insinua al passivo: non solo deve indicare il suo credito, ma deve anche allegare tutti gli elementi che consentano di quantificarlo correttamente, evitando di trarre un vantaggio ingiusto dalla risoluzione.

L’elemento cruciale, in questo caso, è il valore del bene che è tornato nella sua disponibilità. La Corte, richiamando un consolidato orientamento delle Sezioni Unite, ha specificato che il concedente deve:
1. Indicare la somma ricavata dalla diversa allocazione del bene, se già avvenuta.
2. In mancanza, allegare una stima attendibile del valore di mercato attuale del bene.

Questa allegazione è un presupposto necessario della domanda. Non è sufficiente, come sostenuto dalla ricorrente, una generica disponibilità a “detrarre l’importo che eventualmente verrà ricavato dalla vendita del bene”. Tale prospettazione renderebbe il credito incerto e illiquido al momento della verifica del passivo, e scaricherebbe sul curatore o sul giudice un onere probatorio che spetta invece al creditore. La mancata allegazione della stima del bene impedisce al giudice di valutare l’eventuale eccessività della penale e, di conseguenza, rende la domanda di ammissione al passivo inammissibile.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un principio di equità e trasparenza nelle procedure fallimentari che coinvolgono contratti di leasing traslativo. La società concedente non può limitarsi a chiedere il pagamento integrale dei canoni previsti, ma deve agire in modo proattivo per definire il proprio credito in maniera equa. Ha l’onere di quantificare e allegare il valore del bene che ha recuperato, fornendo al giudice fallimentare gli strumenti per determinare il giusto risarcimento e tutelare la parità di trattamento tra tutti i creditori (la cosiddetta par condicio creditorum). In assenza di tale prova, la sua pretesa non può trovare accoglimento nel passivo fallimentare.

Cosa deve fare una società di leasing quando chiede di essere ammessa al passivo del fallimento dell’utilizzatore per un contratto di leasing traslativo risolto?
Deve indicare nella domanda di insinuazione la somma ricavata dalla vendita del bene recuperato oppure, se non ancora venduto, deve allegare una stima attendibile del suo attuale valore di mercato. Questo onere è necessario per consentire al giudice di valutare l’equità della pretesa ed evitare un ingiusto arricchimento.

È sufficiente che la società di leasing dichiari che detrarrà dal suo credito l’importo che ricaverà in futuro dalla vendita del bene?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione ha chiarito che il creditore deve fornire una quantificazione del valore del bene al momento della presentazione della domanda di ammissione al passivo, tramite il prezzo di vendita già realizzato o una stima. Una promessa generica di detrazione futura rende il credito incerto e inesigibile nell’ambito della procedura fallimentare.

Quale normativa si applica ai contratti di leasing traslativo risolti prima dell’entrata in vigore della Legge n. 124 del 2017?
Per i contratti risolti prima del 29 agosto 2017, data di entrata in vigore della legge, la giurisprudenza consolidata applica in via analogica la disciplina dell’articolo 1526 del codice civile, che regola la risoluzione della vendita con riserva di proprietà.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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