Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9511 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 9511 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso 16999-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO COGNOME, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE);
– intimate –
avverso la sentenza n. 716/2020 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 23/12/2020 R.G.N. 938/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/02/2024 dal AVV_NOTAIO.
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 07/02/2024
CC
RILEVATO CHE
il Tribunale di Firenze accertava l’illecita interposizione di manodopera da parte dei successivi formali datori di lavoro di NOME COGNOME, in relazione all’appalto conferito da RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto il servizio di trasporto di effetti postali e vuotatura di cassette, e dichiarava il diritto all’inquadramento nel livello E e poi D, a partire da marzo 2010 sino alle dimissioni (giugno 2018), con condanna della società al pagamento delle relative differenze retributive, oltre accessori;
la Corte d’Appello di Firenze, decidendo sui contrapposti appelli delle parti, in accoglimento di quello del lavoratore e rigettato quello della società, in parziale riforma della sentenza di primo grado dichiarava che il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra le parti era sorto dall’1.12.1987 e che il lavoratore aveva diritto dalla medesima data al pagamento delle differenze di retribuzione già oggetto di condanna, oltre accessori;
in particolare la Corte di merito, richiamata pertinente giurisprudenza di legittimità in ordine alla non genuinità di appalti endoaziendali afferenti l’affidamento a esterni di attività inerenti il ciclo produttivo qualora rimangano in capo all’appaltatore datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto senza una reale organizzazione della prestazione stessa finalizzata a un risultato produttivo autonomo, escludeva nel caso concreto margini di autonomia del formale datore di lavoro rispetto alle direttive stringenti provenienti dal committente, anche per l’assenza di referenti dell’appaltatore e per lo svolgimento da parte del lavoratore di attività non rientranti nell’oggetto dell’appalto;
per la cassazione della decisione ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sulla base di quattro motivi, cui il lavoratore ha
resistito con controricorso; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
parte ricorrente, con il primo motivo, censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5, c.p.c.); sostiene di avere articolato specifiche contestazioni in punto di inquadramento del lavoratore e di prescrizione (quinquennale o decennale) dei crediti rivendicati;
con il secondo motivo di ricorso per cassazione, la società deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.); sostiene che il lavoratore non ha fornito prove idonee a sostegno delle proprie pretese, onerando la società di prova negativa sulla continuità delle mansioni svolte;
con il terzo motivo, la sentenza impugnata viene censurata per omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5, c.p.c.); si sostiene che dalle dichiarazioni testimoniali è emersa una circostanza non esaminata, ossia che la richiesta della committente di servizi aggiuntivi si sostanziava unicamente nel chiamare telefonicamente il lavoratore al solo fine di consentirgli di recuperare effetti postali dimenticati al momento del caricamento nel furgone per il trasporto;
con il quarto motivo, la sentenza impugnata viene censurata per omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5, c.p.c.); si sostiene erronea ritenuta sussistenza in capo al datore del potere di conformare le prestazioni dei dipendenti della ditta appaltatrice in ragione dei modelli di pianificazione trasporti (MPT) allegati ai buoni consegna;
il primo motivo risulta carente sotto il profilo dell’autosufficienza;
come chiarito da questa Corte (v. Cass. n. 21566/2017), in tema di appello, la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso specifici motivi e tale specificità esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logicogiuridico delle prime, sicché non è sufficiente che l’atto di appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità da correlare, peraltro, con la motivazione della pronuncia impugnata;
in ogni caso, in ordine all’eccezione di prescrizione, osserva il Collegio, in continuità ai principi espressi con la sentenza n. 26246/2022, confermati in numerosi provvedimenti successivi, che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come modulato per effetto della legge n. 92 del 2012 e del d. lgs n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro;
il principio è stato affermato a seguito della ricostruzione del quadro normativo sviluppatosi con l’entrata in vigore della legge n. 92/2012 e del d. lgs n. 23/2015 e del rilievo che, in ragione delle predette riforme, l’individuazione del regime di stabilità sopravviene solo a seguito di una qualificazione definitiva del rapporto per attribuzione del giudice, e, quindi, solo all’esito di un accertamento in giudizio, ex post ;
invero, la varietà delle ipotesi di tutela contemplate nel rinnovato art. 18 legge n. 300/1970 e la concreta possibilità che le stesse non necessariamente garantiscano il ripristino del rapporto di lavoro in caso di illegittimo recesso, evidenzia come il regime di stabilità del rapporto, in precedenza assicurato, sia venuto meno nella sua integralità; a tale evidente rinnovata situazione deve quindi conseguire che la prescrizione dei crediti del lavoratore decorre, in assenza di un regime di stabilità reale, dalla cessazione del rapporto di lavoro (nella specie il 2018, non sussistendo stabilità reale neanche nel periodo antecedente l’entrata in vigore della legge n. 92/2012, in quanto il rapporto di lavoro è stato ritenuto sussistente con l’odierna ricorrente in forza di accertamento di interposizione fittizia di manodopera per effetto di appalti non genuini), rimanendo sospesa in costanza dello stesso;
neppure è fondato il profilo del primo motivo relativo all’inquadramento del lavoratore, da trattare, per identità di ratio decidendi , unitamente al secondo motivo relativo in generale alle mansioni svolte dal lavoratore nell’intero periodo dedotto in giudizio;
per quanto riguarda il giudizio di fatto, la Corte di Appello ha effettuato la tipica valutazione di merito che le compete, affermando che nel caso in esame l’istruttoria svolta aveva dimostrato come fosse RAGIONE_SOCIALE ad organizzare e dirigere l’attività del lavoratore impiegato nell’esecuzione dell’appalto; anzitutto le attività dovevano svolgersi in conformità a quanto specificamente indicato nei modelli di pianificazione trasporti (MPT) che descrivono orari e luoghi di partenza e arrivo, punti intermedi del percorso, tipologia dei veicoli; emergeva, inoltre, un’attività di controllo circa il rispetto di tali modelli e che il lavoratore riceveva quasi quotidianamente indicazioni su cosa fare da parte dei dipendenti di RAGIONE_SOCIALE; nemmeno risultava in alcun modo la
presenza di personale della ditta appaltatrice sul luogo di lavoro (cfr., in fattispecie analoga, Cass. n. 2238/2023, n. 17627/2023, le cui motivazioni in parte qua si richiamano);
si tratta di una valutazione scevra da vizi logici e giuridici che, nella complessiva valutazione del materiale istruttorio, corrisponde ad una plausibile conclusione e che resiste alle censure formulate in ricorso con le quali parte ricorrente pretende in realtà di sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito, laddove invece la direzione quotidiana del personale da parte di RAGIONE_SOCIALE, la vincolatività delle direttive, il controllo, la pianificazione dei percorsi, l’uso di mezzi materiali appartenenti tutte a RAGIONE_SOCIALE (a parte il furgone), la mancanza in loco di un referente organizzativo da parte del committente, sono tutti elementi che unitariamente considerati sono più che sufficienti a sostenere la conclusione assunta dalla Corte di merito;
pertanto, quella presa dalla Corte di Appello appare una decisione congrua che rientra nei poteri del giudice di merito effettuare, posto che non viola alcuna norma di legge in ordine alla qualificazione ed alla sussunzione del fatto accertato, atteso che gli elementi evidenziati configurano indici sintomatici della carenza dell’appalto regolare e confermano la presenza dei requisiti tipici del lavoro subordinato attraverso cui la persona si mette a disposizione del datore per essere assoggettato al suo potere di eterodirezione, secondo lo schema unanimemente utilizzato dalla giurisprudenza in merito alla sovrapponibilità delle tematiche della interposizione e di quelle della individuazione della subordinazione;
la decisione cui è pervenuta la Corte territoriale rappresenta quindi una legittima e logica opzione valutativa del materiale probatorio, e si sottrae alle censure articolate nel ricorso con le quali la parte ricorrente si limita a richiedere una diversa valutazione dei fatti già esaminati dal giudice di merito (Cass.
8758/2017), in conformità, peraltro, ad analogo esercizio ricostruttivo operato dal Tribunale in merito all’esistenza della fattispecie di appalto vietata;
non ricorre la lamentata inversione della prova, in quanto i giudici del merito, al contrario, hanno ritenuto idonei gli elementi probatori allegati e dimostrati dal lavoratore, in assenza di puntuali contestazioni, anche per il principio di vicinanza della prova;
questo principio (di vicinanza della prova) non deroga alla regola di cui all’art. 2697 c.c. (che impone all’attore di provare i fatti costitutivi del proprio diritto e al convenuto la prova dei fatti estintivi, impeditivi o modificativi del diritto vantato dalla controparte), ma opera allorquando le disposizioni attributive delle situazioni attive non offrono indicazioni univoche per distinguere le suddette due categorie di fatti, fungendo da criterio ermeneutico alla cui stregua i primi vanno identificati in quelli più prossimi all’attore e dunque nella sua disponibilità, mentre gli altri in quelli meno prossimi e quindi più facilmente suffragabili dal convenuto, di modo che la vicinanza riguarda la possibilità di conoscere in via diretta o indiretta il fatto, e non già la possibilità concreta di acquisire la relativa prova (Cass. n. 12910/2022);
specularmente, il principio di non contestazione di cui agli artt. 115 e 416, comma 2, c.p.c., riguarda solo i fatti cd. primari, costitutivi, modificativi od estintivi del diritto azionato, e non si applica alle mere difese (Cass. n. 17966/2016); una volta operata la netta distinzione tra eccezioni e difese, la contestazione da parte del convenuto dei fatti già affermati o già negati nell’atto introduttivo del giudizio non ribalta sull’attore l’onere di “contestare l’altrui contestazione”, dal momento che egli ha già esposto la propria posizione a riguardo (Cass. n. 6183/2018); l’onere di contestazione riguarda le allegazioni delle parti e non le prove assunte, la cui valutazione opera in un momento successivo
alla definizione dei fatti controversi ed è rimessa all’apprezzamento del giudice (Cass. n. 3126/2019);
18. il terzo e quarto motivo non sono ammissibili, in presenza di cd. doppia conforme rilevante ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c. (ora 360, comma 4, c.p.c.) e dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., nel senso che, quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti posti a base della decisone impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, primo comma, nn. 1), 2), 3), 4), c.p.c.; il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo riformulato applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012), deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 26774/2016; conf. Cass. n. 20994/2019, n. 8320/2021, n. 5947/2023), tenendo conto che ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (v. Cass. n. 29715/2018, n. 7724/2022, n. 5934/2023, n. 26934/2023); rispetto a tali oneri parte ricorrente è rimasta inadempiente;
il ricorso deve, pertanto, essere respinto;
le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, da distrarsi in favore della procuratrice di parte controricorrente, dichiaratasi antistataria, seguono la
soccombenza; al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.000 per compensi professionali, € 200 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15%, accessori di legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P .R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 7 febbraio 2024.