Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9925 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 9925 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13022/2019 R.G. proposto
da
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME , elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che li rappresenta e difende
– ricorrenti –
contro
ISTITUTO DI RICOVERO E CURA A CARATTERE SCIENTIFICO PEDIATRICO COGNOME , in persona del Commissario Straordinario ad interim , domicilio digitale presso le PEC
Oggetto: Indennità di rischio radiologico – Personale diverso da medici e tecnici di radiologia – Riconoscimento Presupposti
R.G.N. 13022/2019
Ud. 08/03/2024 CC
EMAIL e EMAIL, rappresentato e difeso degli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello depositata il 15/10/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/03/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Trieste n. 125/2018 giorno
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 125/2018, depositata in data 15 ottobre 2018, la Corte d’appello di Trieste, decidendo nella regolare costituzione dell’appellato RAGIONE_SOCIALE ha respinto il gravame proposto da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME, avverso la sentenza del Tribunale di Trieste del giorno 11 febbraio 2016, la quale, a propria volta, aveva respinto la domanda degli appellanti volta a conseguire, tra l’altro, la domanda di condanna di RAGIONE_SOCIALE COGNOME alla corresponsione della indennità di rischio radiologico, che lo stesso datore aveva in precedenza riconosciuto e, a seguito di un monitoraggio del personale, revocato.
La Corte territoriale, richiamata la disciplina progressivamente dettata dal legislatore in materia e gli orientamenti espressi da questa Corte, ha ribadito la distinzione tra la posizione del personale di radiologia -per il quale sussiste una presunzione assoluta di rischio radiologico -dalla posizione del restante personale, per il quale invece il riconoscimento dell’indennità postula l’accertamento della sussistenza di un rischio effettivo.
La Corte territoriale, poi, ha fatto propri gli esiti dell’indagine peritale svolta nel giudizio di primo grado – ed oggetto in appello di un ulteriore approfondimento – rilevando che dalla medesima era emerso che gli appellanti non erano esposti ad un rischio analogo a quello del personale di radiologia, operando peraltro in aree che dovevano definirsi, non ‘controllate’, bensì ‘sorvegliate’, secondo le definizioni di legge.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Trieste ricorrono NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380 bis.1, c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione, degli artt. 2967 c.c.; 416 c.p.c.; 8, d.P.R. n. 270/1987; 1, Legge n. 460/1988; 54, d.P.R. n.384/1990; 120, Legge n. 537/1993; 5, Legge n. 724/1994; 29, CCNL 10 febbraio 2004 integrativo del CCNL 8 giugno 2000; D. Lgs. 230/1995.
I ricorrenti impugnano la decisione della Corte triestina, nella parte in cui quest’ultima ha escluso la sussistenza di un rischio di esposizion e, argomentando di avere fornito piena prova di detta esposizione e della sussistenza dei presupposti per la loro equiparazione al personale di radiologia.
Deducono che l’indennità di rischio radiologico presuppone la sussistenza del rischio effettivo di un’esposizione abituale e professionale, presupposti che sarebbero stati tutti dimostrati.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., ‘omesso ed errato esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, non avendo il Giudice di Appello esaminato e confutato le critiche dettagliate mosse dal CTP alla CTU di natura deducente svolta in sede di app ello’ .
Il primo motivo è infondato.
La censura dei ricorrenti, infatti, ben lungi dall’evidenziare un inadeguato governo, da parte della Corte territoriale, delle previsioni di legge in materia, si appunta su profili che concernono esclusivamente il fatto, ed in particolare valutazione delle prove operate dalla Corte medesima.
La decisione impugnata, infatti, si è conformata al costante orientamento espresso da questa Corte in una nutrita serie di pronunce, nelle quali è stata affermata la necessità di operare una distinzione tra il personale medico e tecnico di radiologia – per il quale opera la presunzione assoluta di rischio ex art. 1, Legge n. 460/1988 -ed il restante personale, per il quale la spettanza dell’indennità presuppone la sussistenza di un rischio effettivo, e non soltanto ipotetico, di esposizione non occasionale, né temporanea, analoga all’esposizione del personale di radiologia (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4795 del 26/03/2012; Cass. Sez. L, Sentenza n. 19819 del 28/08/2013; Cass. Sez. L, Sentenza n. 17116 del 24/08/2015; Cass. Sez. L – Sentenza n. 12432 del 21/05/2018), sussistenza il cui onere probatorio grava sul lavoratore che chieda l’indennità stessa (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 14836 del 07/06/2018; Cass. Sez. L, Sentenza n. 17116 del 24/08/2015).
Si deve, del resto, rammentare che la Corte costituzionale, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, secondo e terzo comma, Legge n. 460/1988, in riferimento agli art. 3, 32 e 97 Cost. (Corte cost. 20/07/1992, n. 343), ha rilevato che la presunzione assoluta di rischio prevista dalla legge nei confronti dei medici e tecnici di radiologia non è tale da escludere la presenza di altri lavoratori cui si può applicare la stessa disciplina in relazione alla loro esposizione al rischio radiologico in misura continua e permanente, puntualizzando che ‘(…) Si tratta di posizioni del tutto peculiari proprie di lavoratori che, pur non appartenendo al settore radiologico, possono in via eccezionale usufruire della disciplina dettata a protezione dei medici e dei tecnici di radiologia, in ragione di una accertata esposizione ad un rischio non minore, per continuità ed intensità, di quello normalmente sostenuto dal personale di radiologia’ .
La censura dei ricorrenti appare, in realtà, infondata, in quanto omette di tenere conto del fatto che la Corte territoriale ha accertato in fatto che gli odierni ricorrenti, non solo operavano in aree che dovevano definirsi, non ‘controllate’, bensì ‘sorvegliate’, secondo le definizioni di legge, ma anche erano esposti a livelli radiazioni assolutamente non equiparabili a quelli cui è esposto il personale di radiologia.
Detto accertamento di fatto risulta congruamente motivato e, pertanto, non è sindacabile in sede di legittimità (cfr. la già citata Cass. Sez. L, Sentenza n. 17116 del 24/08/2015 nonché Cass. Sez. L, Sentenza n. 17757 del 07/08/2014; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4525 del 24/02/2011).
3. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Ritiene, infatti, questa Corte che nell ‘ambito dell’attuale formulazione de ll’art. 360, n. 5), c.p.c. non possa essere ricondotta la
doglianza con la quale una parte censuri la decisione del giudice di merito semplicemente per il fatto che quest’ultima abbia fatto proprie le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, senza invece scendere nell’esame dettagliato de i rilievi mossi dal consulente di parte.
Questa Corte non ignora l’esistenza di un risalente e robusto orientamento che ha ritenuto che, in caso di omesso esame da parte del giudice di merito di critiche specifiche e circostanziate avanzate avverso la consulenza tecnica d’ufficio , venisse ad integrarsi il vizio di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 15147 del 11/06/2018; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 23637 del 21/11/2016; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 25862 del 02/12/2011; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10688 del 24/04/2008).
Si deve tuttavia osservare che l’orientamento in questione risulta essersi formato in epoca anteriore alla riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., disposta dall’art. 54, D.L. n. 83/2012 (conv., con modif., con Legge n. 134/2012), la quale, come è noto, ha determinato il venir meno del vizio di motivazione insufficiente, se non nei casi in cui l’anomalia motivazionale si sia tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante, esaurendosi detta anomalia nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, e risultando invece esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022).
Tale orientamento, peraltro, risulta essere stato confermato anche in epoca successiva a detta modifica (Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 15733 del 17/05/2022 Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 11917 del
06/05/2021; Cass. Sez. 5 – Sentenza n. 30364 del 21/11/2019; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11482 del 03/06/2016; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 19427 del 03/08/2017) -peraltro in gran parte dei casi escludendo la sussistenza del vizio – ma sulla scorta di un semplice richiamo del principio precedentemente consolidatosi, senza tuttavia valutare l’impatto che la riformulazione dell’art. 360, n. 5), c.p.c. poteva avere avuto sulla questione.
Il tema -va chiarito -deve essere tenuto adeguatamente distinto dalla diversa ipotesi -di cui non ci si deve occupare in questa sede in cui nel corso del giudizio di merito vengano espletate più consulenze tecniche in tempi diversi con risultati difformi, essendosi affermato in tal caso che il giudice può seguire il parere che ritiene più congruo o discostarsene, dando adeguata e specifica giustificazione del suo convincimento, ed in particolare, quando intenda uniformarsi alla seconda consulenza, non può limitarsi ad una adesione acritica ma deve giustificare la propria preferenza indicando le ragioni per cui ritiene di disattendere le conclusioni del primo consulente, salvo che queste risultino criticamente esaminate dalla nuova relazione (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 31511 del 25/10/2022; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 19372 del 07/07/2021; Cass. Sez. L, Sentenza n. 19572 del 26/08/2013).
Delimitato in tal modo il problema, appare inevitabile evidenziare che l’alquanto ristretto ambito di operatività dell’attuale form ulazione dell’art. 360, n. 5), c.p.c. ben difficilmente può essere esteso alla mancata valutazione di rilievi che -non va dimenticato -costituiscono comunque mere argomentazioni difensive, peraltro sterilizzate della possibilità di addurre fatti nuovi (Cass. Sez. U – Sentenza n. 5624 del 21/02/2022; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 33742 del 16/11/2022; Cass.
Sez. 3 – Sentenza n. 20829 del 21/08/2018; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15418 del 26/07/2016).
Va, del resto, evidenziata, l’esistenza di un altro orientamento, antagonista rispetto a quello sin qui ricostruito, il quale è pervenuto al diametralmente opposto principio per cui il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione (Cass. Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 33742 del 16/11/2022; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 9483 del 09/04/2021), non senza evidenziare che tale orientamento ha comunque anch’esso origini anteriori alla riformulazione dell’art. 360, n. 5), c.p.c. (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1815 del 02/02/2015; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1815 del 02/02/2015).
Ritiene, tuttavia, questa Corte che un simile approdo presenti il limite di privare la parte di qualunque strumento di censura nell’ipotesi in cui con la consulenza di parte, o con l’atto difensivo che ne ha assunto il contenuto, vengano mossi concreti rilievi di ‘merito’ tecnico – dovendosi rammentare la distinzione richiamata da Cass. Sez. U Sentenza n. 5624 del 21/02/2022 tra censure che attengono a violazioni procedurali e censure inerenti, appunto, al “merito”, cioè a contestazioni “valutative” delle indagini peritali -senza che di essi il giudice di merito faccia neppure menzione, limitandosi a richiamare le conclusioni della consulenza d’ufficio .
L’esigenza di non limitare le possibilità difensive di ultima istanza della parte non sembra, tuttavia, poter trovare un rimedio nel disposto di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c. se non nella ben diversa ipotesi in cui con la censura, non già denunci genericamente l’omessa menzione della consulenza di parte, bensì miri ad ‘ evidenziare un preciso fatto storico (o più precisi fatti storici), sottoposto alla dialettica del contraddittorio dalla difesa, legale o tecnica, di natura decisiva, tale cioè da ribaltare o modificare significativamente l’esito della lite, che il giudice del merito abbia omesso di considerare ‘ (Cass. Sez. 1 Sentenza n. 8584 del 16/03/2022 e le successive Cass. Sez. 3 Ordinanza n. 6322 del 02/03/2023; Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 18886 del 04/07/2023, le quali comunque dichiaratamente superano il pregresso orientamento di questa Corte) -e neppure pare riconducibile all’ipotesi di travisamento concernente ‘la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 5792 del 2024).
Essa, invece, sembra poter essere ricondotta all ‘ambito delle violazioni di ordine processuale, e quindi all’art. 360, n. 4), c.p.c. ed anzi, sussistendone i presupposti, all’ipotesi più radicale di error in procedendo , costituita dalla violazione dell’art. 132, n. 4), c.p.c.
La già richiamata limitazione del vizio di motivazione alla violazione del ‘minimo costituzionale’, tuttavia, comporta che il vizio in questione non potrà configurarsi allorquando il giudice di merito, richiamata l’esistenza dei rilievi di parte, dichiari tuttavia di optare per le conclusioni rassegnate dal CTU -e ciò a maggior ragione qualora, come nel caso in esame, si dia atto del fatto che il CTU ha replicato adeguatamente a detti rilievi dopo averli esaminati -ma potrà integrarsi, appunto, solo nell’ ipotesi in cui financo l’esistenza di tali rilievi risulti radicalmente obliterata dal percorso motivazionale, di fatto
privando la motivazione di una imprescindibile frazione, costituita dall ‘attestazione delle comparazione tra valutazioni del CTU e valutazioni di parte e dalla dichiarata opzione preferenziale per le conclusioni del CTU rispetto alle conclusioni suggerite dalla parte.
In conclusione, è da ritenere che la parte che intenda censurare a decisione del merito per aver quest’ultima omesso di valutare i rilievi tecnici mossi dalla parte stessa, anche tramite il CTP, alla consulenza tecnica d’ufficio, possa farlo solo nei limiti in cui la decisione del merito, lungi dal richiamare l’esistenza dei rilievi di parte pur optando comunque per le conclusioni rassegnate dal CTU (a maggior ragione qualora, come nel caso in esame, si dia atto del fatto che il CTU ha replicato adeguatamente a detti rilievi dopo averli esaminati), di tali rilievi ometta invece di fare menzione alcuna nella motivazione, così integrando il vizio di cui all’art. 360, n. 4), e 132, n. 4), c.p.c.
Sulla scorta di dette premesse si evidenza l’inammissibilità de l motivo di ricorso, il quale non solo continua a ricondurre al disposto di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c. la mera ipotesi di mancata analisi del contenuto delle critiche contenute nella consulenza di parte ma viene anche a censurare la decisione impugnata sebbene la stessa abbia dato pienamente atto dell’esistenza dei rilievi di parte, tuttavia affermando la persistente affidabilità delle conclusioni del consulente d’ufficio, in virtù delle repliche in quest’ultima contenute alle osservazioni del consulente di parte, e richiamando i contenuti principali di tali repliche.
Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di
un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 4.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale in data 8 marzo 2024.