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Indennità di riposo: la Cassazione conferma il danno

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un’azienda di trasporti, confermando la condanna al risarcimento del danno a favore di un autista per la sistematica violazione del diritto ai riposi giornalieri e settimanali. La Suprema Corte ha ribadito che, una volta provata la violazione, il danno da usura psicofisica si presume e spetta al datore di lavoro dimostrare di aver concesso un adeguato ristoro, che non può essere frazionato o tardivo. La mancata concessione del riposo, configurandosi come indennità di riposo non goduta, costituisce una lesione di un diritto costituzionalmente garantito.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Indennità di riposo per autotrasportatori: la Cassazione conferma il risarcimento

Il diritto al riposo è un pilastro fondamentale della tutela del lavoratore, garantito dalla Costituzione. Quando questo diritto viene violato, specialmente in settori usuranti come l’autotrasporto, le conseguenze possono essere gravi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito principi cruciali in materia di risarcimento del danno per mancata indennità di riposo, chiarendo l’onere della prova e la natura del danno da usura psicofisica.

Il caso: la battaglia di un autista per il diritto al riposo

Un autista dipendente di una società di trasporti pubblici ha citato in giudizio il proprio datore di lavoro, lamentando la sistematica violazione delle norme sui riposi minimi giornalieri (11 ore consecutive) e settimanali (45 ore) tra il luglio 2003 e l’agosto 2008. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno dato ragione al lavoratore, condannando la società a versare una somma a titolo di risarcimento per il danno derivante dal mancato recupero delle energie psicofisiche. L’azienda ha quindi presentato ricorso in Cassazione, contestando principalmente due punti: l’errata ripartizione dell’onere della prova e la mancata considerazione dei riposi compensativi concessi.

La questione giuridica e la presunzione del danno da mancata indennità di riposo

Il nodo centrale della controversia riguardava a chi spettasse provare il danno. Secondo l’azienda, il lavoratore avrebbe dovuto dimostrare concretamente il pregiudizio subito. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha rigettato questa tesi, aderendo al suo consolidato orientamento. Una volta che il lavoratore dimostra la violazione dell’obbligo di concedere i riposi, scatta una presunzione sull’esistenza del danno da usura psicofisica. Questo danno, di natura non patrimoniale, è una conseguenza diretta della lesione di un diritto fondamentale (art. 36 della Costituzione) e non richiede una prova specifica da parte del dipendente. L’onere della prova si inverte: è il datore di lavoro che deve dimostrare l’esistenza di un fatto che impedisca o estingua il diritto del lavoratore al risarcimento, come ad esempio l’aver fornito un adeguato ristoro.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso e infondato il secondo, basando la propria decisione su principi consolidati.

In primo luogo, non vi è stata alcuna inversione dell’onere probatorio. È corretto che, provata la violazione, il danno si presuma. La Corte territoriale ha correttamente accertato la violazione e, in assenza di prove contrarie da parte del datore di lavoro, ha confermato il diritto al risarcimento.

In secondo luogo, la Corte ha smontato la tesi sui riposi compensativi. La normativa comunitaria (Reg. CE 561/2006) è chiara: il recupero delle ore di mancato riposo non può essere frazionato e deve essere ‘attaccato’ a un altro periodo di riposo di almeno 9 ore. La concessione tardiva e sporadica di riposi non è sufficiente a ristorare adeguatamente il danno da usura, poiché la penosità di una prestazione lavorativa protratta incide in misura più che proporzionale sulla salute del lavoratore. La fruizione intempestiva del riposo diventa, di fatto, inutile.

La Cassazione ha ribadito che il danno da usura psicofisica è un danno non patrimoniale, distinto da quello biologico, la cui esistenza è presunta (‘nell’an’) in quanto lesione di un diritto costituzionale. La sua quantificazione (‘quantum’) deve poi tenere conto della gravosità della prestazione e della frequenza delle violazioni.

Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un’importante conferma della tutela accordata ai lavoratori, specialmente in settori ad alto rischio di stress e affaticamento. Per i datori di lavoro, emerge la necessità non solo di rispettare scrupolosamente le normative su orari e riposi, ma anche di documentare attentamente la corretta concessione di eventuali riposi compensativi, che devono essere tempestivi, continuativi e conformi alle previsioni normative. Per i lavoratori, questa decisione rafforza la consapevolezza che il diritto al riposo è indisponibile e la sua violazione sistematica fonda un diritto al risarcimento del danno, la cui esistenza è presunta dalla legge.

Quando un lavoratore non gode dei riposi giornalieri e settimanali, il danno alla salute deve essere provato nel dettaglio?
No. Secondo la Corte di Cassazione, una volta che il lavoratore ha dimostrato la mancata fruizione dei riposi previsti dalla legge, il danno da usura psicofisica si presume. Non è richiesta una prova specifica del pregiudizio alla salute, poiché la lesione del diritto al riposo, garantito dalla Costituzione, è di per sé fonte di danno non patrimoniale.

Può il datore di lavoro compensare il mancato riposo concedendo ore di recupero in un momento successivo e in modo frazionato?
No. La Corte ha stabilito che i riposi compensativi non possono essere frazionati a piacimento. La normativa europea prevede che il recupero sia continuativo e collegato a un altro periodo di riposo. Una compensazione tardiva e sporadica è considerata inefficace per ristorare adeguatamente il danno da usura psicofisica già subito dal lavoratore.

A chi spetta l’onere di provare che il mancato riposo è stato adeguatamente compensato?
L’onere della prova spetta al datore di lavoro. Dopo che il lavoratore ha provato la violazione dell’obbligo di riposo, spetta all’azienda dimostrare di aver offerto un adeguato e tempestivo ristoro, provando così un fatto che estingue il diritto al risarcimento del lavoratore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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