Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21364 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 21364 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/07/2024
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Cuggiono, in persona del legale rappresentante dottAVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa per procura alle liti in calce al ricorso da ll’AVV_NOTAIO , elettivamente domiciliata presso il suo studio in Gallarate, INDIRIZZO.
Ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE , con sede in Castano Primo, in persona del legale rappresentante ing. NOME COGNOME, rappresentata e difesa per procura alle liti in calce al controricorso da ll’ AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata presso il suo studio in Busto ArsizioINDIRIZZO.
Controricorrente
avverso la sentenza n. 128/2021 della Corte di appello di Milano, pubblicata il 15. 1. 2021.
Udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del 7. 5. 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
R.G. N. 20110/2021.
Udite le conclusioni del P.M., in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Fatti di causa
RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio la società RAGIONE_SOCIALE chiedendo la risoluzione per inadempimento del contratto preliminare di vendita di un terreno edificabile stipulato, in data 29. 9. 2008, con la convenuta, oltre la sua condanna al risarcimento dei danni. Rappresentò che l’oggetto del preliminare, nella intenzione delle parti, comprendeva il terreno corredato da un progetto esecutivo e dei cementi armati per la sua edificazione, ma che, prima della stipula del definitivo, erano state riscontrate incongruenze e difformità del progetto rispetto alla situazione dei luoghi che ne rendevano necessarie delle correzioni, con riapertura della pratica edilizia e nuovi oneri e spese che la controparte si era rifiutata di considerare, tanto che l’incontro fissato per i l rogito non aveva avuto successo e, poco dopo, la promittente venditrice, che pure doveva ritenersi responsabile della mancata conclusione del contratto definitivo, aveva comunicato la volontà di recedere dal contratto.
Il Tribunale di Busto Arsizio respinse le domande della società attrice, rilevando che, sulla base del contratto, la società RAGIONE_SOCIALE non si era assunta alcun obbligo circa la eseguibilità del progetto edilizio e che comunque le irregolarità dello stesso non erano così gravi da impedire il trasferimento del terreno compromesso, sicché il rifiuto di stipulare l’atto definitivo opposto dalla promissaria acquirente in occasione dell’appuntamento fisato per il rogito non poteva ritenersi giustificato.
Proposto gravame, con sentenza n. 128 del 15. 1. 2021 la Corte di appello di Milano riformò integralmente la decisione di primo grado e, in accoglimento della domanda formulata da RAGIONE_SOCIALE, dichiarò risolto il contratto preliminare di vendita per colpa della società RAGIONE_SOCIALE, promittente venditrice, con condanna della stessa alla restituzione della caparra ricevuta. Rigettò invece la domanda dell’appellante diretta ad ottenere il risarcimento del danno.
La Corte territoriale motivò tale conclusione affermando che, dalla lettura del l’atto contrattuale , risultava che le parti avevano inteso procedere al
trasferimento del terreno al fine di realizzarvi un edificio avvalendosi degli elaborati tecnici predisposti dalla promittente venditrice e delle pratiche amministrative da essa espletate, sicché gli stessi rientravano a pieno titolo nell’oggetto del contratto, che non era quindi limitato al mero terreno. La presenza, pacifica, di incongruenze ed errori del progetto esecutivo, tali da renderlo non realizzabile, come attestato anche dai tecnici comunali, obbligava pertanto la promittente venditrice a porvi le necessarie correzioni e rettifiche, sopportandone i costi, quantificati in euro 14.287,33, al fine di preservare l’interesse della controparte al risultato che dal contratto si prefiggeva. La mancata disponibilità della promittente venditrice a farsi carico delle correzioni e della relativa spesa giustificavano pertanto il rifiuto della RAGIONE_SOCIALE di stipulare il contratto definivo alle condizioni previste nel preliminare e rendevano nel contempo illegittimo il successivo recesso dal contratto manifestato dalla società RAGIONE_SOCIALE.
Per la cassazione di questa sentenza, con atto notificato il 12. 7. 2021, ha proposto ricorso la società RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a quattro motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha notificato controricorso.
Fissata per la trattazione la camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., all’epoca in vigore, con ordinanza interlocutoria n. 13420 del 2022 la causa è stata rimessa per la decisione alla pubblica udienza.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO e le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
Il primo motivo di ricorso denuncia nullità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dalla lettera inviata il 12. 12. 2008 da RAGIONE_SOCIALE, con cui essa aveva contestato che il fondo avesse una superficie inferiore a quella indicata nel preliminare, chiedendo, per tale ragione, una correzione del prezzo. Si assume che, se tale documento fosse stato considerato, il giudice di merito avrebbe potuto rendersi conto che i dissidi insorti tra le parti riguardavano esclusivamente la dimensione del terreno e non le altre circostanze poi dedotte dalla controparte in giudizio.
Il motivo è manifestamente infondato.
Dalla lettura della sentenza impugnata emerge il dato testuale che la Corte di appello ha esaminato la missiva del 12. 12. 2008 inviata da RAGIONE_SOCIALE, precisando che essa era diretta ad ottenere che la promittente venditrice si facesse carico, prima della stipulazione del contratto definitivo, delle necessarie modifiche progettuali ( pag. 15 della sentenza ).
La considerazione che la ricorrente sembra attribuire a tale lettera un contenuto o significato ulteriore e diverso da quello riconosciutole dal giudice di merito porta d’altra parte a ritenere, sotto tale profilo, la censura inammissibile, dal moment o che in tal caso la critica finisce con l’investire un giudiz io valutativo sulla dichiarazione contenuta nella missiva, di esclusiva competenza del giudice di merito e non censurabile, come tale, in sede di giudizio di legittimità.
Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., censurando la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto che l’oggetto del contratto preliminare non si esaurisse nella mera previsione del trasferimento del terreno, ma si estendesse anche al progetto esecutivo, agli elaborati grafici ed alle pratiche amministrative predisposte per la costruzione del l’edificio . Sostiene al riguardo la ricorrente che il convincimento sul punto della Corte di merito è il risultato di un’erronea interpretazione del contratto, che si è discostata dal criterio testuale , che era chiaro nell’indicare il bene compromesso nel solo terreno, tenendo distinta la documentazione urbanistico -edilizia, che rivestiva un ruolo solo secondario. La Corte ha così svolto affermazioni arbitrarie, prive di riferimenti al testo contrattuale, tali da rendere oscuro lo stesso canone interpretativo in concreto impiegato. Si aggiunge che la sentenza ha giustificato la soluzione accolta affermando che il prezzo indicato comprendeva anche la documentazione in oggetto, ma ciò ha fatto, ancora una volta, operando al di fuori del testo negoziale, mediante richiamo indebito al le valutazioni del consulente tecnico d’ufficio .
Il motivo è inammissibile.
Il passo della sentenza investito da l motivo è il seguente: ‘ è vero che il principale oggetto del contratto preliminare era il terreno, senza un’esplicita assunzione di garanzia in ordine alla realizzabilità del progetto allegato alla DIA. Tuttavia, leggendo le clausole negoziali l’una in relazione alle altre, emerge con
chiarezza che l’interesse perseguito da RAGIONE_SOCIALE era quello di realizzare un complesso immobiliare avvalendosi degli elaborati tecnici predisposti dalla promittente venditrice e delle pratiche amministrative dalla stessa espletate, tanto che di tali attività le parti hanno tenuto conto nella determinazione del prezzo ( si veda la relazione peritale a pag. 81 che indica il prezzo di mercato del terreno in sé considerato in euro 180.288,65 e riferisce la differenza di prezzo agli oneri di costruzione ed alle spese tecniche ), n ell’ovvia prospettiva che si trattasse di attività utili allo scopo. E dunque evidente che anche gli elaborati tecnici rientravano nell’oggetto del contratto , indipendentemente da una espressa e formale garanzia di realizzabilità del progetto contenuta nel contratto preliminare ‘.
Tanto premesso, la conclusione fatta propria dalla sentenza impugnata si sottrae alle censure sollevate in quanto dalla stessa emerge chiaramente che la Corte di appello ha seguito nell’interpretare il contratto il criterio della interpretazione letterale posto dal comma 1 dell’art. 1362 c.c. e la regola, dettata dall’articolo successivo, secondo cui ‘ Le clausole del contratto si interpretano le une a mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna di esse il senso che risulta dal complesso dell’atto ‘.
E’ pacifico poi, nella giurisprudenza di questa Corte, che il risultato della interpretazione dell’atto negoziale integra un giudizio di fatto e non di diritto, con conseguente sua insindacabilità in sede di giudizio di legittimità, essendo il controllo svolto da questa Corte circoscritto al riscontro dell’osservanza de lle regole di interpretazione del contratto, che sono criteri legali trovando la loro definizione negli artt. 1362 e seguenti c.c..
Sulla base di tali precisazioni deve allora osservarsi che le censure svolte dal motivo sono in gran parte generiche, non illustrando, mediante il puntuale richiamo ad elementi letterali del testo contrattuale, in che modo l’operazio ne interpretativa svolta dalla Corte di appello si sia discostata dalle regole dell’ermeneutica contrattuale. In proposito va ribadito il principio che la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’ interpretazione del contratto, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di
specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l ‘interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni ( Cass. n. 9461 del 2021; Cass. n. 28319 del 2017; Cass. n. 25728 del 2013 ).
Infondata appare infine la critica rivolta al richiamo fatto dalla Corte di appello, quanto alla rilevanza della documentazione edilizia nella determinazione del prezzo, agli accertamenti del consulente tecnico, riferimento che, a ben vedere, non si risolve affatto nell’utilizzo di un dat o extratestuale, ma soltanto nella conferma di una presunzione logica secondo cui, avendo le parti compreso nelle previsioni contrattuali non il solo terreno ma questo corredato da una documentazione edilizia idonea alla sua edificazione ( progetto esecutivo, quello del cemento armato e pratiche amministrative ), dell’esistenza di tale documentazione esse hanno tenuto ai fini della determinazione del prezzo di vendita.
Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 1455 c.c. ed illogicità e contraddittorietà della motivazione, lamentando che la Corte di merito non abbia compiuto una accurata valutazione dell’inadempimento imputato alla promittente venditrice sotto il profilo della gravità, anzi in contrasto con tale criterio, avendo ritenuto giustificata la risoluzione del contratto a fronte di incongruenze del progetto e di riduzioni della volumetria realizzabile del tutto trascurabili e tali da rendere il rifiuto della controparte alla stipulazione del rogito contrario a buona fede.
Il motivo è in parte inammissibile e per il resto infondato.
Occorre premettere che la valuta zione della gravità dell’inadempim ento ai fini della dichiarazione di risoluzione del contratto costituisce un apprezzamento demandato dalla legge alla esclusiva competenza del giudice di merito, se congruamente motivato in relazione alla incidenza negativa del comportamento della parte inadempiente sul sinallagma contrattuale, essendo tenuto il giudice a verificare se l’inadempimento o l’inesatta esecuzione della prestazione , tenuto
conto dell’interesse dell’altra parte all’esatto e tempestivo adempimento, abbia di fatto compromesso l’utilità che dal contratto essa intendeva conseguire ( Cass. n. 7187 del 2022; Cass. n. 8220 del 2021; Cass. n. 12182 del 2020; Cass. n. 15052 del 2018; Cass. n. 6401 del 2015 ).
Nel caso di specie la Corte di appello ha motivato sul punto affermando, da un lato, che era fondata la pretesa della promissaria acquirente che l’altra parte si facesse carico, prima della stipulazione del contratto definitivo, delle necessarie modifiche al progetto esecutivo originario e delle relative spese, risultato di fatto irrealizzabile, dall’altro, che la promittente venditrice non si era resa disponibile ad impegnarsi in tal senso, proponendo un mero deposito fiduciario di euro 6.000,00, a fronte di maggiori esborsi pari ad almeno euro 14.287,33, e quindi comunicando il recesso dal contratto a distanza di soli tre giorni dall’incontro davanti al AVV_NOTAIO. Ha quindi ritenuto la sussistenza della gravità dell’inadempimento, per non essersi la società RAGIONE_SOCIALE adoperata per ripristinare il sinallagma contrattuale, risultato alterato dalle incongruenze ed errori del progetto esecutivo. La conclusione della Corte di appello si sottrae a censura, risolvendosi in un apprezzamento di fatto condotto in conformità ai criteri che, secondo la giurisprudenza di legittimità, debbono essere seguiti nella valutazione della gravità dell’inadempimento contrattuale.
Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 91, comma 2, e 92 c.p.c., lamentando che la Corte di appello, nel regolare le spese del giudizio di primo grado e di quello di appello, ne abbia disposto la compensazione per un quarto, condannando la convenuta al pagamento dei restanti tre quarti. Si deduce al riguardo che tale statuizione è errata, non avendo la Corte di merito preso in considerazione la proposta conciliativa formulata dalla convenuta in giudizio né il maggior grado di soccombenza della parte attrice, che ha visto respinta la sua domanda di risarcimento del danno.
Il motivo è infondato.
La Corte di appello, tenuto conto dell’esito finale della lite, che ha visto l’accoglimento del la domanda di risoluzione del contratto proposta da RAGIONE_SOCIALE ed il rigetto della sua richiesta di condanna della convenuta al risarcimento del danno, ha compensato per un quarto le spese di giudizio e posto
R.G. N. 20110/2021.
i restanti tre quarti a carico della società RAGIONE_SOCIALE, ritenuta prevalentemente soccombente.
Ora, la censura di violazione dell’art. 91 c.p.c. è manifestamente infondata, tenuto conto che, per giurisprudenza costante di questa Corte, la violazione del principio della soccombenza, posto dall’art. 91 cod. proc. civ., può dirsi violato nel solo caso in cui il giudice ponga le spese del processo a carico della parte totalmente vittoriosa ( Cass. n. 8421 del 2017; Cass. n. 15317 del 2013; Cass. n. 5386 del 2003 ). Né ha rilievo la proposta conciliativa menzionata dalla ricorrente, che risulta formulata nel giudizio di primo grado ma non anche riproposta in appello.
La denunziata violazione dell’art. 92 c.p.c. è invece inammissibile, in quanto, in tema di compensazione tra le parti delle spese di giudizio in ipotesi di reciproca soccombenza, la valutazione delle proporzioni della soccombenza di ciascuna parte e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi, ai sensi dell’art. 92, secondo comma, c.p.c. , rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente ( Cass. n. 14459 del 2021; Cass. n. 30592 del 2017; Cass. n. 2149 del 2014 ).
Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la società ricorrente alle spese del giudizio in favore della controricorrente, che liquida in euro 6.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
R.G. N. 20110/2021.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 maggio 2024.