Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 9148 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 9148 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30197/2022 R.G. proposto da:
NOME TRAFFICANTE NOME, elettivamente domiciliato in Palermo, INDIRIZZO , presso lo studio dell’ AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende, unitamente all’AVV_NOTAIO, giusta procura speciale in calce al ricorso
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO di RAGIONE_SOCIALE
– intimato – avverso la sentenza di Corte d’appello di Palermo n. 758/2022 depositata il 9/5/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/3/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il fallimento della società cooperativa RAGIONE_SOCIALE domandava la revoca, ex art. 67, comma 2, l. fall., del pagamento eseguito dalla società nel periodo sospetto in favore del suo dipendente NOME COGNOME dopo che la Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 23 novembre 2006, aveva dichiarato
l’inefficacia del licenziamento intimato a quest’ultimo dai commissari liquidatori della compagine.
Il Tribunale di Sciacca, con sentenza in data 12 marzo 2013, in parziale accoglimento dell’azione proposta dichiarava inefficace il pagamento ricevuto dal COGNOME limitatamente alla somma di € 39.223,05; riteneva, invece, che la domanda non potesse essere accolta né per la somma di € 25.647,08, corrispondente alle retribuzioni che sarebbero maturate dalla costituzione in mora della società datrice di lavoro, avvenuta il 15 luglio 2007, fino al 25 dicembre 2008, data della sua effettiva riassunzione, né per l’importo di € 35.129,87, riferibile alle prestazioni lavorative che sarebbero maturate ove il rapporto fosse fisiologicamente proseguito.
La Corte d’appello di Palermo, a seguito dell’impugnazione del COGNOME, rilevava che il licenziamento intimato oralmente all’appellante era stato dichiarato inefficace con sentenza passata in giudicato, senza alcuna altra pronuncia di natura ripristinatoria o economica.
Osservava che la statuizione del primo giudice era in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui il licenziamento affetto dai vizi formali di cui all’art. 2 l. 604/1966, pur non producendo effetti sulla continuità del rapporto di lavoro, non comporta il diritto del lavoratore alla corresponsione delle retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento inefficace, bensì solo al risarcimento del danno, da determinarsi secondo le regole in materia di inadempimento delle obbligazioni, anche avendo riguardo, come parametro di riferimento, alle retribuzioni perdute, ma sempre considerando che la natura sinallagmatica del rapporto richiede, ai fini dell’adempimento dell’obbligazione retributiva, che il lavoratore offra la propria prestazione.
Constatava che il COGNOME aveva messo in mora la società datrice di lavoro, manifestando la propria volontà di proseguire il rapporto e
mettere a disposizione le proprie prestazioni lavorative, soltanto il 15 luglio 2007, cosicché il tribunale aveva correttamente computato da tale data, e fino al 25 dicembre 2008, momento della sua effettiva riassunzione, il danno subito, tenuto conto delle retribuzioni che sarebbero maturate in tale periodo, condannando il COGNOME a restituire al fallimento la restante parte del pagamento ricevuto.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, pubblicata in data 22 maggio 2022, prospettando un unico motivo di doglianza.
L’intimato fallimento della società cooperativa RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il motivo di ricorso proposto denuncia la falsa applicazione dell’art. 6 l. 604/1966, in relazione all’art. 1219, comma 1, cod. civ., perché la Corte d’appello non ha ritenuto che l’impugnazione d el licenziamento effettuata con lettera del 9 maggio 2003 fosse sufficiente per ravvisare una costituzione e messa in mora, malgrado la stessa ponesse a disposizione della società datrice di lavoro le energie lavorative del dipendente.
Occorreva considerare, pertanto, il permanere dell’obbligo retributivo del datore di lavoro nei confronti del COGNOME, o in ogni caso il diritto di quest’ultimo al risarcimento del danno, in ragione della declaratoria giudiziale di nullità del licenziamento e della precedente messa in mora.
Di conseguenza il pagamento della complessiva somma di € 100.000, riguardando il corrispettivo di una prestazione di lavoro, non poteva essere assoggettato a revocatoria, dato che operava l’esenzione prevista dall’art. 67, comma 3, lett. f), l. fall..
5. Il motivo è inammissibile.
Invero, la sentenza impugnata non fa il minimo cenno al fatto che la lettera di contestazione del licenziamento già contenesse l’offerta della prestazione lavorativa, questione che dalla lettura della
decisione non risulta fosse stata posta dall’appellante; né dalla narrativa del ricorso per cassazione, come pure dallo svolgimento dei motivi, risulta che il COGNOME, nel corso del giudizio di merito, avesse allegato che con l’impugnazione del licenziamento aveva anche offerto le proprie prestazioni lavorative.
Sicché trova applicazione il principio secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni comportanti accertamenti in fatto di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (si vedano in questo senso, per tutte, Cass. 6089/2018, Cass. 23675/2013).
6. In forza delle ragioni sopra illustrate il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
La mancata costituzione in questa sede della procedura intimata esime il Collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 13 marzo 2024.