Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12789 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12789 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11813/2021 R.G. proposto da:
NOME, quale legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE), domicilio digitale: EMAIL
-ricorrente-
contro
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE
-intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MESSINA n. 460/2020 depositata il 09/11/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
-Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE ha rigettato il reclamo proposto da NOME COGNOME, nella sua qualità di ex legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, contro la dichiarazione di fallimento della società medesima.
-Avverso detta decisione NOME COGNOME propone ricorso per cassazione in quattro motivi. L’intimato RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non svolge difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. -Con il primo motivo si lamenta, testualmente, « Violazione degli artt. 360 e 395 c.p.c. in relazione agli artt. 1 legge 267/42 », sul presupposto che la corte d’appello « incorreva nell’errore di ritenere fallita la società amministrata dalla deducente per inesistenza di bilanci fermi al 2015. Neppure si domandava se l’unico debito della società oggetto della istanza di fallimento la rendeva fallenda », seguito da una serie di osservazioni alquanto generiche ed eccentriche (« Il Giudice fallimentare non era chiamato ad esaminare la cronaca dei debiti, ma la storia che avrebbe portato l’RAGIONE_SOCIALE al fallimento ed avrebbe dovuto confrontarla con i requisiti minimi voluti dalla legge (…) I debiti della fallita sarebbero solo due ed il secondo era quello nei confronti dell’erario comparso come un fungo nel 2018 »).
2.2. -Il secondo mezzo denunzia, sempre testualmente, « Nullità dell’impugnata sentenza per violazione dell’art. 360 c.p.c. trattandosi di fallimento fondato su di un unico credito portato da un D.I. che a norma dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 doveva essere preceduto dalla mediazione obbligatoria (…) a pena di improcedibilità ».
2.3. -Il terzo, che lamenta « Violazione dell’art. 360 c.p.c. in relazione all’art. 5 legge n. 267/42 », esordisce con l’affermazione per cui « Se la storia di un’impresa economica non sono in grado di descriverla i numeri dei bilanci che nella specie erano ferme al 2015, si doveva fare ricorso alla lettura delle sentenze che ne avevano descritto il vissuto e come abbiamo visto nel precedente motivo, ne escludevano lo stato di decozione altrimenti definito dal relatore ‘ failure zone ‘ » e prosegue con la non perspicua narrazione di vicende originate dalla « estromissione in autotutela », per presunte infiltrazioni mafiose, della RAGIONE_SOCIALE, già aggiudicataria de ll’appalto per le pulizie del RAGIONE_SOCIALE, del valore di circa 10 miliardi di lire.
2.4. -Nel quarto motivo, rubricato (ancora testualmente) « Violazione degli artt. 360 c.p.c., 25 Cost., 7 RD 30 gennaio 1941 n. 12 in relazione all’art. 43 della legge 267/42 ed art. 323 c.p.c. » il ricorrente muove da una premessa non chiara (« Nessun
risarcimento doveva essere riconosciuto alla RAGIONE_SOCIALE e per lo stesso motivo le era stato sottratto l’ aggiudicato appalto, per evitare che in futuro si dovesse riproporre il problema doveva essere dichiarata fallita. Con i superiori motivi si faceva solo cenno a parallele vicende giudiziarie, basti considerare che il presidente della procedura concorsuale prefallimentare è stato ricusato perché rifiutava di astenersi » e prosegue dando atto, tra l’altro, c he la ricusazione del Presidente del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE è stata respinta, che la sua successiva denuncia in sede penale è stata archiviata, e che la COGNOME è stata indagata per il reato di bancarotta fraudolenta.
3. -Il ricorso è inammissibile.
-In primo luogo occorre rilevare che, a fronte di una sentenza d’appello pubblicata il 09/11/2020, i l ricorso per cassazione è stato notificato al RAGIONE_SOCIALE (che, come visto, non si è costituito) a mezzo PEC del 24/05/2021, senza che sia stata prodotta copia autentica della sentenza impugnata munita di relazione di notificazione (ovvero dei messaggi di spedizione e ricezione previsti in caso di notifica a mezzo PEC), come prescritto dall’art. 369, comma 2, n. 2 c.p.c., a pena di improcedibilità del ricorso.
Al riguardo, parte ricorrente si limita a dichiarare in modo ellittico che la sentenza impugnata è stata «emessa in data 20.10.2020 e pubblicata il 09.11.2020», senza indicare quando essa sia stata comunicata o notificata a cura della cancelleria (o di altri), né allegare in alcun modo, anche nel corpo del ricorso, che detta comunicazione o notificazione non sia stata effettuata. Nulla è dato evincere al riguardo nemmeno dalla procura speciale e dagli atti di causa, stante anche l’assenza di difese del RAGIONE_SOCIALE intimato.
Vi è in atti istanza ex art. 369, comma 3, c.p.c., ma il fascicolo di merito non risulta acquisito, sicché non è stato possibile acquisire aliunde la documentazione necessaria per il doveroso riscontro della tempestività del ricorso, prescritta dall’art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c. (cfr. Cass. Sez. U, 10648/2017; Cass. Sez. U, 21349/2022, che esclude la corrispondente dichiarazione di improcedibilità ove, tra l’altro, detta documentazione sia stata «acquisita -nei casi in cui la legge dispone che la cancelleria
provveda alla comunicazione o alla notificazione del provvedimento impugnato, da cui decorre il termine breve per impugnare ex art. 325 c.p.c. -mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio»; v. anche Cass. 671/2024, nel senso che, «nel caso in cui una tale assenza non sia altrimenti surrogabile nei termini di cui sopra si è detto, la sanzione dell’improcedibilità è inevitabile »).
Né appare seriamente ipotizzabile una ulteriore ed irragionevole dilatazione dei tempi processuali per una carenza comunque imputabile alla parte (cfr. Cass. 35559/2022).
4.1. -In analoghe condizioni, questa Corte ha ritenuto che «il ricorrente per cassazione contro la sentenza di rigetto del reclamo avverso la dichiarazione di fallimento è tenuto a produrre, a pena di improcedibilità, ai sensi dell’art. 369, comma 2, n. 2 c.p.c., copia autentica della sentenza impugnata unitamente alla relazione di notificazione od alla equipollente comunicazione integrale, ovvero ad allegare la mancata esecuzione di tali adempimenti, salvo che il ricorso sia notificato entro trenta giorni dalla pubblicazione della sentenza impugnata od altresì che la copia notificata o comunicata della sentenza medesima sia comunque nella disponibilità della Corte di Cassazione, alla quale non spetta attivarsi per supplire all’inosservanza della parte al precetto posto dalla citata norma» (Cass. 24023/2023; cfr. Cass. 14839/2020, 22324/2020, 33798/2022; v. anche Cass. Sez. U, 10648/2017).
Tale orientamento si fonda sul rilievo che il combinato disposto dei commi 12, 13 e 14 dell’art. 18 l.fall. disegna un congegno processuale speciale in cui la sentenza della corte d’appello non è soggetta, come di regola, ad eventuale notificazione a cura di parte, ma deve essere necessariamente e immancabilmente «notificata a cura della cancelleria», e il termine per proporre ricorso per cassazione -ridotto a 30 giorni per ragioni pubblicistiche di celerità -decorre proprio da quella ‘ notificazione ‘ (art. 18, comma 14, l.fall.). Diversamente, il termine lungo ex art. 327 c.p.c. (cui si fa espresso richiamo solo nel comma 4 del l’art. 18 l.fall. in relazione al reclamo) può trovare applicazione nella sola ipotesi in cui, per un accidentale sviluppo patologico del procedimento -che va perciò diligentemente dedotto -si sia
verificata l’inosservanza, da parte della cancelleria, del dovere imposto dalla legge di effettuare tempestivamente la notificazione del testo integrale della sentenza; dovere che, vale la pena di aggiungere, nella prassi viene normalmente assolto il giorno stesso della sua pubblicazione.
4.2. -In proposito si precisa che, ai fini del decorso del termine in questione, è irrilevante stabilire se quella effettuata dalla cancelleria fallimentare sia propriamente una notificazione o una comunicazione, trattandosi di distinzione che non rileva più nell’attuale contesto normativo, in cui, proprio per le esigenze di celerità che caratterizzano il procedimento fallimentare, la conoscenza legale del provvedimento suscettibile di impugnazione viene assicurata dalla trasmissione del testo integrale, anche a mezzo EMAIL, a cura della cancelleria, ora imposta dall’art. 45 disp. att. c.p.c., dopo la sua modifica ad opera dell’art. 16, comma 6, d.l. 179/12, convertito con modifiche dalla l. 221/12 (v., da ultimo, Cass. 35090/2023, 13845/2023, 31457/2022).
Né rileva il nuovo testo dell’art. 133, comma 2, c.p.c. (come novellato dal d.l. 90/14, convertito con modifiche dalla l. 114/14) -secondo cui la comunicazione del testo integrale della sentenza da parte del cancelliere non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 c.p.c. -poiché tale norma riguarda soltanto le notificazioni effettuate su impulso di parte, mentre non incide sulle norme processuali, di carattere derogatorio e speciale, che impongono la notificazione alla cancelleria, tra le quali si colloca, appunto, l’art. 18 l.fall. (Cass. 10525/2016, 23575/2017, 26872/2018, 27685/2018, 23443/2019, 31593/2022, 6278/2022, 3725/2023, 7535/2023).
4.3. -Di qui la necessità che, con la proposizione del ricorso per cassazione ai sensi dell’ art. 18, comma 14, l.fall., la parte ricorrente produca, ai sensi dell’art. 369, comma 2, n. 2) c.p.c., la copia notificata/comunicata della sentenza resa sul reclamo, ovvero -e in alternativa -alleghi che la cancelleria non vi ha provveduto, poiché il mero silenzio al riguardo non vale a superare la naturale presunzione che , quand’anche con ritardo, l’ufficio fallimentare abbia ottemperato a quello specifico adempimento ex lege .
Difatti, se è vero che l’art. 369, comma 2, n. 2) c.p.c., impone a pena di improcedibilità (ed entro il termine perentorio di venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso per cassazione) il deposito di «copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione» solo «se questa è avvenuta», è pur vero che ad integrare la fattispecie processuale concorrono due requisiti, il primo dei quali (il deposito) può venir meno solo nel caso in cui non si sia realizzato il secondo (la notificazione), accadimento di cui il ricorrente ha pertanto l’onere di dare atto, secondo canoni di minima diligenza.
4.4. -L’orientamento che in caso di mancato assolvimento di detto onere predica l’improcedibilità del ricorso non risulta in contrasto con l’art. 6, § 1, CEDU, alla luce di quanto affermato dalla stessa Corte europea dei diritti dell’uomo circa la legittimità delle «limitazioni del diritto di accesso a una giurisdizione superiore», purché non trasmodino in u n ‘formalismo eccessivo’ , essendo invece fondamentale che i requisiti formali richiesti per la presentazione della domanda a una corte suprema -i quali ben possono essere più rigorosi che per un appello -siano chiari, prevedibili e proporzionali all’obiettivo di garantire la corretta amministrazione della giustizia (Corte Edu, sentenza 28 ottobre 2021, COGNOME ed altri c. Italia ; v. anche sentenze 5 aprile 2018, COGNOME c. Croazia ; 27 giugno 2017, RAGIONE_SOCIALE c. Lussemburgo ; 18 ottobre 2016, COGNOME c. Belgio ; 15 settembre 2016, COGNOME c. Italia ; 2 giugno 2016, COGNOME c. Grecia ).
La Corte di Strasburgo ha infatti ritenuto che le condizioni imposte per la corretta redazione del ricorso per cassazione perseguano uno scopo legittimo, e cioè consentire ad una Corte suprema di svolgere la sua funzione -che consiste nel garantire «la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia» -valorizzando anche la condotta dei difensori, che a quella funzione sono chiamati a concorrere attraverso adempimenti rientranti nel loro dovere di diligenza e leale collaborazione; come, appunto, l’indicazione dell’avvenuta comunicazione o meno della sentenza da parte della cancelleria, ai fini di un immediato ed agevole scrutinio
della tempestività del ricorso per cassazione, trattandosi di requisito di ammissibilità rilevabile d’ufficio .
4.5. -Invero, il riscontro, da parte della Corte di cassazione, della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione tutela l’esigenza pubblicistica (quindi non disponibile dalle parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale, la cui formazione è programmaticamente favorita dal legislatore nazionale proprio attraverso l’adozione di apposito congegno per cui, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, l’impugnazione è esercitabile soltanto con l’osservanza del cosiddetto termine breve (Cass. Sez. U, 9005/2009).
-Peraltro, di fronte al silenzio serbato sul punto dal ricorrente e alla mancata costituzione di controparte, il Collegio ha comunque acquisito informalmente, per il tramite della cancelleria, il messaggio PEC che risulta inviato dalla cancelleria della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE al difensore dell’odierno ricorrente proprio in data 09/11/2020, contenente la comunicazione della sentenza impugnata; da ciò risulterebbe confermata la tardività del ricorso.
-In ogni caso, va rimarcata l’inammissibilità di tutti i motivi in cui esso si articola, anche ai sensi dell’art. 360 -bis c.p.c.
6.1. -Invero, le censure risultano affette da un ‘estrema genericità, che li rende a tratti incomprensibili (come emerge anche dalla sintesi sopra riportata), ma soprattutto rivelano, sotto l’apparente deduzione di vizi di violazione di legge (che peraltro non emergono dalla decisione impugnata, ove tutte le questioni risultano congruamente motivate: v. pagg. 6-14 della sentenza), l’intento di ottenere in questa sede una diversa valutazione delle circostanze di fatto e degli elementi di prova scrutinati dai giudici di primo e secondo grado, finendo per trasformare surrettiziamente il giudizio di legittimit à̀ in un ulteriore grado di merito (Cass. Sez. U, 34476/2019; Cass. 7119/2020, 40495/2021, 6866/2022).
6.2. -E’ quasi superfluo ricordare che la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale, dovendo limitarsi ad esercitare un controllo sulla correttezza giuridica e sulla coerenza logico-formale delle argomentazioni spese dal giudice
n ella decisione; d’altronde, ammettere in sede di legittimità un sindacato in ordine alle quaestiones facti significherebbe consentire un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere espresse nel provvedimento impugnato e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice di merito (Cass. Sez. U, 28220/2018; Cass. 2001/2023, 28643/2020, 33858/2019, 32064/2018, 8758/2017).
Né il ricorrente per cassazione può pretendere di contrapporre le proprie valutazioni a quelle del giudicante (Cass. 9097/2017, 30516/2018, 205/2022), poiché non rientra nei compiti di questa Corte procedere alla rilettura delle risultanze processuali, per assecondare l’aspirazione della parte ad una diversa decisione, più consona alle sue aspettative (Cass. 12052/2007, 3267/2008).
6.3. -I rilevati profili di inammissibilità valgono sia per l’accertamento incidentale del credito del creditore istante (primo motivo), sul quale vengono sollevate anche questioni apparentemente nuove (come quella del mancato svolgimento della mediazione obbligatoria sollevata nel secondo motivo), sia per l’accertamento dello stato di insolvenza (terzo motivo), sia per le lamentate irregolarità della trattazione del procedimento prefallimentare (quarto motivo).
-Segue la declaratoria di inammissibilità del ricorso senza statuizione sulle spese, in assenza di difese del fallimento intimato.
-Sussistono i presupposti di cui all’ art. 13, comma 1quater, d.P.R. 115/02 (cfr. Cass. Sez. U, 23535/2019, 4315/2020).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25/03/2024.