Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20636 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20636 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16379/2022 R.G., proposto da
NOME COGNOME , NOME COGNOME ; rappresentati e difesi dagli Avvocati NOME COGNOME (pec dichiarata: EMAIL) e NOME COGNOME (pec dichiarata: EMAIL), in virtù di procura su foglio separato e congiunto al ricorso;
-ricorrenti- nei confronti di
NOME COGNOME , NOME COGNOME ; rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO (pec dichiarata: EMAIL), in virtù di procura allegata al controricorso;
-controricorrenti- nonché di
NOME COGNOME , NOME COGNOME , NOME COGNOME (gli ultimi due quali eredi di NOME COGNOME);
-intimati-
RAGIONE_SOCIALE ;
-intimata-
per la cassazione della sentenza n. 250/2022 della CORTE d’APPELLO di MESSINA, pubblicata il 14 aprile 2022, notificata il 19 aprile 2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17 maggio 2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 28-30 settembre 2009, i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Messina, NOME COGNOME e NOME COGNOME, in proprio e nella qualità, rispettivamente, di socio accomandatario e socio accomandante della società RAGIONE_SOCIALE, nonché gli ingegneri NOME COGNOME e NOME COGNOME, deducendo che:
-nell’anno 1996 avevano conferito ai due professionisti, NOME COGNOME e NOME COGNOME, l’incarico di progettazione e direzione dei lavori della ristrutturazione di due fabbricati rurali, siti in Brina Marina di Messina, ed avevano affidato all’impresa di NOME e NOME COGNOME l’esecuzione ‘in economia’ dell’appalto di tutti i lavori necessari alla ristrutturazione dei rustici e al consolidamento dei muri di contenimento del terrapieno retrostante;
con citazione del 5-20 luglio 1998, all’esito dei riscontrati gravi e non rimediabili difetti di costruzione sia delle strutture del fabbricato che delle opere di sostegno, avevano introdotto un giudizio per ottenere la risoluzione del contratto di appalto, la condanna alla restituzione degli acconti versati e il risarcimento di tutti i danni, tra cui quelli derivanti dalle spese per provvedere alla demolizione del fabbricato, stante l’inadempimento in tal senso dei costruttori, che non avevano ottemperato al provvedimento cautelare con cui il giudice aveva loro ordinato di procedere alla detta demolizione;
il giudizio era stato definito in primo grado con sentenza n. 729 del 13 aprile 2006 del Tribunale di Messina, con la quale, affermata la sussistenza di vizi tali da rendere inutilizzabile l’opera rispetto alla sua destinazione, era stata dichiarata -previa conferma della ordinanza di demolizione del fabbricato nei soli confronti dei COGNOME COGNOME -la risoluzione per grave inadempimento del contratto stipulato con i costruttori;
inoltre, il Tribunale: aveva accolto, nei confronti dei soli costruttori, la domanda di ristoro dei danni derivati dalle spese per la demolizione del fabbricato (quantificate nell’importo d i Euro 58.394,77, rivalutato in quello di Euro 62.026,83); aveva rigettato la medesima domanda nei confronti degli ingegneri; aveva rigettato i capi di domanda relativi alle altre voci risarcitorie; aveva dichiarato inammissibile, perché tardivamente introdotta in corso di causa con mutatio libelli , quella avente ad oggetto i danni da vizi di progettazione e di costruzione dei muri di contenimento del terrapieno retrostante il fabbricato demolito;
la Corte d ‘ Appello di Messina, con sentenza n. 400 del 28 maggio 2009, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale del 13 aprile 2006, aveva accertato la responsabilità anche dei due professionisti, in concorso con i costruttori, per violazione del contratto d ‘ opera sottoscritto con i coniugi COGNOME e, riconosciuta l’efficacia anche nei loro confronti dell’ordinanza cautelare, li aveva condannati al risarcimento del danno, come determinato dal Tribunale, in solido con NOME e NOME COGNOME, confermando per il resto le statuizioni di primo grado.
Sulla base di queste deduzioni -ed assumendo che, stante la declaratoria di inammissibilità per tardività, la domanda di risarcimento dei danni conseguenti agli errori di progettazione, direzione dei lavori e realizzazione dei muri di contenimento, poteva essere riproposta in un nuovo giudizio -gli attori domandarono la condanna dei convenuti, in solido tra loro, all’esecuzione dei lavori di demolizione dei muri di sostegno del terrapieno, alla redazione del progetto relativo al consolidamento dei muri per il ripristino dello status quo ante , alla costruzione dei nuovi muri, nonché al risarcimento del danno, in forma specifica e per equivalente.
Si costituirono sia gli ingegneri NOME COGNOME e NOME COGNOME -i quali chiesero l’autorizzazione alla chiamata in causa della RAGIONE_SOCIALE, oggi RAGIONE_SOCIALE e sollevarono eccezioni pregiudiziali di rito e preliminari di merito (tra cui quella di prescrizione del diritto azionato e quella di litispendenza tra la causa di merito e il giudizio di legittimità instaurato con il ricorso per cassazione avverso la precedente sentenza d’appello del 2009, che sarebbe stato definito da questa
Corte con pronuncia n. 5498 del 10 marzo 2014), oltre a resistere nel merito alla domanda -sia i costruttori NOME e NOME COGNOME, che invocarono il rigetto della domanda risarcitoria.
La società di assicurazione si costituì, eccependo l’inoperatività della polizza, la prescrizione del diritto e la litispendenza con il giudizio dinanzi alla Corte di cassazione.
Espletata una CTU e riassunto il giudizio nei confronti degli eredi di NOME COGNOME, deceduto nelle more, il Tribunale di Messina, con sentenza n. 1109 del 22 maggio 2019, rigettò la domanda e condannò gli attori al pagamento delle spese del giudizio.
NOME COGNOME e NOME COGNOME proposero appello dinanzi alla Corte territoriale di Messina.
Si costituirono NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME, e RAGIONE_SOCIALE, nonché NOME e NOME COGNOME, i quali proposero appello incidentale condizionato all’accoglimento del gravame principale, reiterando l’eccezione di prescrizione del diritto risarcitorio.
Con sentenza 14 aprile 2022, n. 250, la Corte d ‘ appello di Messina ha rigettato l’appello principale, assorbito quello incidentale, condannando gli appellanti alla rifusione delle spese del grado in favore di ciascuna parte appellata.
La Corte territoriale ha ritenuto -confermando la decisione di primo grado -che la somma di Euro 62.026,83, liquidata agli attori nel precedente giudizio, comprendesse anche il ristoro dei danni derivanti dagli errori di progettazione e di costruzione dei muri di sostegno del terrapieno e dalle spese necessarie al loro consolidamento, non ostante la relativa domanda fosse stata dichiarata inammissibile nel medesimo giudizio; pertanto, la liquidazione di somme ulteriori avrebbe comportato una duplicazione risarcitoria con conseguente indebita locupletazione dei danneggiati, stante l’insussistenza della prova di ulteriori danni patiti.
Per la cassazione della sentenza della Corte messinese ricorrono NOME COGNOME e NOME COGNOME, sulla base di otto motivi, ai quali resistono con
contro
ricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME. Non svolgono difese gli altri intimati.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ..
Il Procuratore Generale non ha depositato conclusioni scritte.
Sia i ricorrenti che i controricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo viene denunciata la ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 c.c. e degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. (art. 360 comma 1 n. 3 e n. 4 c.p.c.) ‘ , in relazione alla formazione del giudicato esterno sulla domanda di risarcimento del danno, liquidato, nel precedente giudizio, in Euro 62.026,83.
I ricorrenti sostengono che il giudicato sarebbe sceso solo sulla domanda avente ad oggetto il ristoro dei danni consistenti nelle spese sostenute per gli interventi di demolizione del fabbricato e non anche su quella avente ad oggetto il risarcimento dei pregiudizi derivanti dalla erronea progettazione e costruzione dei muri di contenimento, che, sebbene proposta nel precedente giudizio, era stata dichiarata inammissibile.
Precisamente, secondo i ricorrenti, l’importo liquidato nel giudizio precedente avrebbe riguardato soltanto il ristoro delle spese per la demolizione del fabbricato e sulla circostanza che tale importo era stato liquidato esclusivamente a tale titolo sarebbe sceso il giudicato; pertanto, per un verso, sarebbe restata impregiudicata la proponibilità, in un autonomo giudizio, della domanda risarcitoria per i diversi danni determinati dagli errori di progettazione e di costruzione del muro di contenimento del pendio retrostante il fabbricato; per altro verso, il giudice avrebbe dovuto delibare nel merito tale domanda senza poter reputare che i pregiudizi di cui con essa si invocava il risarcimento fossero già stati ristorati con una prestazione liquidata ad altro titolo.
Con il secondo motivo viene censurata la ‘ Violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116 e 132 c.p.c. e 1223 c.c., nonché degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. (art. 360 comma 1 n.3, n.4 e n. 5 c.p.c.) ‘ , per avere la Corte d ‘appello errato nel ritenere che il giudice di prime cure avesse liquidato integralmente i danni lamentati dagli attori-appellanti.
I ricorrenti osservano che i pregiudizi conseguenti agli errori di progettazione, direzione dei lavori e consolidamento dei muri non avrebbero potuto essere qualificati come mera duplicazione di quelli già risarciti nel giudizio precedente, stante la declaratoria di inammissibilità della relativa domanda.
Con il terzo motivo viene denunciata la ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 132 n. 2 e 4 c.p.c. e degli artt. 118 att. c.p.c. e 111, 6 ° comma, della Costituzione, per anomalia motivazionale, conseguente a contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, 4 e 5 c.p.c. ‘ .
La motivazione della sentenza impugnata sarebbe viziata per avere la Corte di merito omesso di indicare in base a quali elementi abbia ricavato -dall’esame della motivazione delle sentenze emesse nell’ambito del precedente giudizio che la somma liquidata fosse da intendersi integralmente satisfattiva dei danni patiti dagli attori a titolo sia di costi di demolizione dei fabbricati, sia di spese di progettazione e di esecuzione dei lavori di consolidamento dei muri.
3.1. I primi tre motivi di ricorso -da trattarsi congiuntamente per ragioni di connessione -sono fondati per quanto di ragione.
3.1.a. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, ribadito anche nel suo massimo consesso, la pronuncia di inammissibilità, quale decisione di mero rito, dà luogo ad un giudicato meramente formale, con effetti circoscritti al solo rapporto processuale nel cui ambito è emanata, talché non è idonea a produrre, né sul piano oggettivo né sul piano soggettivo, gli effetti del giudicato sostanziale ex art. 2909 cod. civ. e non preclude pertanto la riproposizione della domanda in altro giudizio ( ex multis , Cass., Sez. 3, 16/12/2014, n. 26377; Cass, Sez. lav., 16/04/2019, n. 10641; Cass., Sez. 1, 22/10/2020, n. 23130; Cass., Sez. 3, 19/05/2021, n. 13603; Cass., Sez. Un., 17/11/2021, n. 35110).
Il Collegio non ignora che, a fronte di tale tradizionale orientamento, si è posta in senso difforme una pronuncia della Sezione seconda, la quale ha statuito che la pronuncia ‘ in rito ‘ di inammissibilità della domanda proposta da una parte che non ha esercitato correttamente il proprio potere processuale, così consumandolo, preclude la riproposizione della medesima domanda in un altro giudizio (Cass., Sez. 2, 28/06/2023, n. 18439).
Al riguardo può tuttavia osservarsi che tale isolata pronuncia non scalfisce la situazione di ‘ diritto processuale vivente ‘ determinatasi sulla base dell’orientamento pr ecedente e non si pone con esso in contrasto, dal momento che si riferisce ad una fattispecie peculiare (domanda di usucapione, già dichiarata inammissibile – in quanto tardivamente avanzata – in un altro giudizio, tra le stesse parti, avente ad oggetto la pretesa attorea di restituzione di fondi, alla quale era stata contrapposta l’intervenuta usucapione), in cui veniva in gioco l’esercizio del potere processuale di far valere un diritto contrastante coll ‘avversa pretesa, il quale, in quanto malamente esercitato nella specifica sede in cui tale pretesa era stata azionata, avrebbe potuto reputarsi consumato e non più successivamente esercitabile alla stregua del cd. giudicato per implicazione discendente , il quale si estende a tutte le possibili questioni, proponibili in via di azione o eccezione, che sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia, le quali non possono dunque essere fatte valere in un successivo giudizio.
Poiché una consimile ipotesi non si integra nel caso in esame, non vi sono ragioni per escludere, nella fattispecie , l’applicabilità del tradizionale principio di diritto che esclude ogni effetto preclusivo al giudicato formale determinato dalla pronuncia di mero rito.
3.1.b. In base a tale principio, deve dunque ritenersi che, poiché la domanda risarcitoria per gli errori di progettazione e di costruzione dei muri di contenimento proposta da NOME COGNOME e NOME COGNOME nel giudizio definito con la sentenza n. 400/2009 della Corte d’appello di Messina, aveva formato oggetto di una statuizione di mera inammissibilità, essa ben poteva essere riproposta in un successivo processo.
Pertanto, nel presente giudizio, sia il Tribunale (in primo grado) che la Corte d’ appello (in secondo grado), investiti nuovamente della cognizione su tale domanda, ove non avessero ritenuto sussistere ulteriori ragioni di rito ostative alla delibazione del merito, avevano il potere-dovere di procedere a tale delibazione, accogliendo o rigettando la domanda medesima, ma non potevano considerarne precluso l’esame sulla base di una non richiesta (e non consentita) interpretazione estensiva del dictum della sentenza (la decisione n. 400 del 2009
della st essa Corte d’appello) emessa nel giudizio precedente e passata in giudicato, diretta indebitamente ad allargare la liquidazione con essa operata anche ai danni derivanti dagli errori di progettazione e di costruzione dei muri di sostegno del terrapieno e dalle spese necessarie al loro consolidamento, atteso che tale liquidazione era conseguita all’accoglimento della ( diversa) domanda di risarcimento dei danni derivanti dai costi sostenuti per la demolizione del fabbricato e all’ accertamento delle specifiche conseguenze dannose di tali spese, quantificate mediante apposita CTU.
La statuizione di condanna contenuta nella sentenza del 2009, passata in giudicato, concerneva, in altre parole, un importo liquidato ad altro titolo, in accoglimento di una diversa domanda risarcitoria e con riferimento a danni diversi da quelli derivanti dagli errori di progettazione e di costruzione dei muri di sostegno del terrapieno e dalle spese necessarie al loro consolidamento.
Con la sentenza attualmente impugnata, la Corte territoriale, nel procedere ad una non richiesta (e non permessa) interpretazione del dictum del precedente giudizio, ha sostanzialmente esercitato su di esso i poteri del giudice dell’impugnazione, poiché, in violazione del giudicato, ha di fatto riformato la statuizione di condanna (estendendone la portata anche alla domanda dichiarata inammissibile), sia con riferimento al capo (di accertamento) relativo all’ an debeatur (facendo rientrare tra le conseguenze dannose accertate, oltre quelle derivanti dalle spese di demolizione del fabbricato, quelle conseguenti alla progettazione e alla realizzazione delle opere di contenimento del terrapieno), sia con riferimento al capo (di condanna in senso stretto) relativo al quantum debeatur (indebitamente ritenendo che nella liquidazione operata dal CTU -Euro 62.026,83 -fossero ricompresi entrambi gli ordini di conseguenze pregiudizievoli).
Le censure dei ricorrenti colgono dunque nel segno in quanto, all’esito del giudizio definito con la sentenza del 2009, mentre sulla domanda di ristoro dei danni derivanti dall ‘erronea progettazione e realizzazione delle opere di contenimento del terrapieno era sceso un giudicato meramente formale, su quella di risarcimento dei danni conseguenti al costo della demolizione del fabbricato, stimato nella somma rivalutata di Euro 62.026,83, si era formato il
giudicato sostanziale, sicché era inibìto, nel successivo giudizio, il riesame di tale domanda (e dei limiti della pronuncia definitiva emessa su di essa), dovendosi soltanto provvedere alla delibazione, nel merito, della distinta domanda risarcitoria dichiarata inammissibile nel giudizio precedente.
I primi tre motivi vanno, pertanto, accolti, nei sensi di cui in motivazione.
Con il quarto motivo viene censurata la ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2909 c.p.c. (art. 360 comma 1 n. 3 e n.4) ‘ , per avere la Corte d ‘a ppello omesso la decisione sulla domanda risarcitoria, sia con riguardo ai danni da errata progettazione e direzione dei lavori, sia con riguardo a quelli conseguenti agli errori di costruzione dei muri di contenimento.
4.1. Il quarto motivo rimane assorbito dall’accoglimento dei primi tre motivi, in quanto, nella sostanza, censura il mancato accertamento dei danni determinati dagli errori di progettazione e di costruzione dei muri di contenimento del terrapieno, ritenuti erroneamente compresi nella liquidazione riconosciuta nel precedente giudizio, da reputarsi invece limitata al costo della demolizione dei fabbricati.
Con il quinto motivo viene denunciata la ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 comma 1 n. 3 e n.4) ‘ per omessa pronuncia in ordine alla domanda di condanna dei convenuti al pagamento di una somma ai sensi dell’ art. 614bis cod. proc. civ., per la mancata ottemperanza all’esecuzione del provvedimento , in violazione del principio di necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
5.1. Il quinto motivo è inammissibile per difetto di specificità, non essendo specificato quale sia il provvedimento di condanna all’ adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di danaro in cui era stata fissata, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dagli obbligati per ogni violazione o inosservanza successiva (arg. ex art. 614bis cod. proc. civ.).
Con il sesto motivo viene denunciata la ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 D.M. 08.03.2018 n. 37 (art. 360 comma 1 n. 3) ‘ , per avere il giudice del merito errato nella determinazione del valore della causa e nella conseguente individuazione dello scaglione di riferimento, ai fini della liquidazione delle spese, risultata eccessiva, con particolare riguardo a quelle del primo grado del giudizio.
Con il settimo motivo viene denunciata la ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 comma 1 n.4) ‘ , per essersi la Corte d ‘a ppello « limitata esclusivamente ad affermare la correttezza della condanna dei ricorrenti in relazione allo scaglione di valore di riferimento », senza pronunciare sul « vizio sostanziale dagli stessi dedotto in ordine al corretto scaglione tariffario da applicare al caso di specie ».
Con l’ottavo motivo viene denunciata la ‘ Violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. (art. 360 comma 1 n. 3) ‘ , per avere la Corte d’appello dichiarato non fondata la doglianza concernente la liquidazione delle spese del primo grado, liquidate dal Tribunale nella complessiva somma di Euro 17.092,00; i ricorrenti sostengono che, ove la Corte territoriale avesse debitamente rilevato la fondatezza dell’appello, avrebbe coerentemente anche riformato la statuizione accessoria sulle spese del primo grado di giudizio, ponendole a carico dei convenuti appellati, che avrebbero dovuto essere condannati al pagamento anche delle spese del grado d’appello.
8.1. I motivi dal sesto all’ottavo devono dichiararsi assorbiti per effetto dell’accoglimento dei primi tre motivi; invero, all’esito della cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e del nuovo esame della domanda risarcitoria proposta dagli attori-appellanti, il giudice del rinvio provvederà anche alla rinnovata regolazione delle spese del giudizio.
In definitiva, vanno accolti i primi tre motivi di ricorso, vanno dichiarati assorbiti il quarto, il sesto, il settimo e l’ottavo, va dichiarato inammissibile il quinto.
La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di Appello di Messina, in diversa composizione, la quale svolgerà l’accertamento di merito sulla domanda risarcitoria ritualmente proposta dai ricorrenti nel presente giudizio -avente ad oggetto il ristoro dei danni asseritamente determinati dagli errori di progettazione e di costruzione dei muri di sostegno del terrapieno e dalle spese necessarie al loro consolidamento -nonché sui motivi di appello incidentale, ove riproposti.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità (art. 385, terzo comma, cod. proc. civ.).
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, dichiara assorbiti il quarto, il sesto, il settimo e l’ottavo e dichiara inammissibile il quinto.
Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in