Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18432 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18432 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23144 R.G. anno 2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione , rappresentata e difesa dall’avvocato AVV_NOTAIO;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 1626/2020 della Corte di appello di Napoli pubblicata il 6 maggio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 maggio 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
─ Con sentenza n. 735/2015, passata in giudicato, la Corte di appello di Napoli ha respinto il gravame proposto da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale partenopeo, che aveva dichiarato la sussistenza del diritto di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione «alla riduzione delle somme risultanti dagli estratti del conto corrente n. 5210,81, nella misura dovuta, depurata degli interessi illegittimamente applicati e capitalizzati», e condannato RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE «allo storno», in favore della detta società, «della somma di euro 67.109,30, oltre interessi legali della domanda».
─ Con pronuncia del l’11 gennaio 2016 il Tribunale di Napoli ha definito altro giudizio promosso da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE: giudizio vertente sulla nullità di pattuizioni diverse da quella relativa alla capitalizzazione trimestrale, e riguardanti gli interessi debitori – asseritamente convenuti con riferimento alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza ed eccedenti il tasso soglia dell’usura -, le commissioni di massimo scoperto e i giorni valuta.
Il Tribunale ha in sintesi osservato che secondo la sentenza di appello sopra indicata la somma di euro 67.109,30 era stata determinata previo ricalcolo dell’anatocismo su base annuale e applicazione, ai fini del calcolo, del tasso di interesse legale: ne conseguiva che alcune delle domande proposte avanti al detto Tribunale (quella relativa agli interessi ultralegali, ma anche quella afferente la commissione di massimo scoperto) dovevano ritenersi improcedibili per la sopravvenienza del giudicato; quanto alle domande concernenti i giorni valuta e l’applicazione dei tassi usurari, esse, ad avviso del Giudice investito della controversia, erano da ritenere improponibili in considerazione del divieto di parcellizzazione del credito.
– La sentenza del Tribunale di Napoli è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE e al gravame ha resistito la banca.
La Corte di Napoli, con sentenza del 6 maggio 2020, ha respinto
l’appello , se pur adottando una motivazione diversa da quella spesa dal primo Giudice.
La nominata Corte ha rilevato che nel primo giudizio la società RAGIONE_SOCIALE aveva agito esclusivamente per la declaratoria di nullità della clausola anatocistica, ma al fine di determinare l’esatto dare e avere tra le parti in relazione al conto corrente. Dopo aver precisato che quella decisione non aveva interessato il ricalcolo del saldo (parziale) depurato degli interessi uso piazza e degli altri addebiti operati sulla base di altre clausole di cui era stata denunciata la nullità nel secondo giudizio, ma solo il saldo depurato degli interessi anatocistici e della capitalizzazione trimestrale della commissione di massimo scoperto, ha osservato che non era possibile rimettere in discussione l’accertamento relativo al rapporto di debito e credito delle parti alla data del 31 ottobre 2002, presa in considerazione nel primo giudizio. Ha osservato, in particolare, che la preclusione era operante anche per le questioni relative alle nullità dedotte con la seconda domanda giudiziale, le quali erano improponibili non già per il divieto di parcellizzazione del credito, che la Corte di appello ha negato potesse portare a una decadenza del diritto non prevista dall’ordinamento, ma per il principio per cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile, «nel caso in cui si tratti di questioni non sopravvenute, ma già tutte esistenti alla data di proposizione della prima domanda». Sul punto il Giudice distrettuale ha poi rilevato che, del resto, la società appellante non aveva neppure dedotto che le invalidità prospettate riguardavano condizioni applicate successivamente al 31 ottobre 2002.
– Avverso quest’ultima pronunci a ricorre per cassazione, con due motivi, RAGIONE_SOCIALE Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE s.p.a.. Sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo sono dedotte la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e 12 preleggi. Sostiene la ricorrente
che la portata del giudicato esterno formatosi sulla sentenza della Corte di appello di Napoli n. 735 del 2015 va definita «secondo gli elementi dispositivi e argomentativi di diretta emanazione giudiziale» e deduce che detta pronuncia, al pari di quella di primo grado, aveva univocamente escluso che il saldo effettivo del conto alla data del 31 ottobre 2002 costituisse oggetto di accertamento giudiziale. Il giudicato formale, quindi, non riguarderebbe l’accertamento positivo del rapporto di dare avere tra le parti alla suddetta data, ma avrebbe una portata limitata quanto a una precisa statuizione: quella per cui dal «saldo banca» doveva essere stornata la somma di euro 67.109,30, oltre interessi.
1.1. -Il motivo appare infondato.
Come è noto, il giudicato copre il dedotto e il deducibile: esso si estende, cioè, a tutte le possibili questioni che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia (per tutte: Cass. 11 gennaio 2024, n. 1259; Cass. 4 marzo 2020, n. 6091; Cass. 26 febbraio 2019, n. 5486).
Ciò non significa che il giudicato si estenda ad ogni domanda comunque connessa a quella espressamente decisa: l’avvenuta definizione, con sentenza passata in giudicato, di una domanda connessa a quella sub iudice non implica, infatti, che con la detta sentenza sia stata decisa una questione comune ad entrambi i giudizi e, a maggior ragione, che il giudicato formatosi investa un accertamento che costituisce la premessa logica indispensabile per addivenire alla seconda decisione.
In particolare, il giudicato non si estende, oltre che ai fatti ad esso successivi, a quelli che, sebbene riferiti agli stessi soggetti, comportino un mutamento del petitum e della causa petendi (Cass. 9 novembre 2022, n. 33201; Cass. 11 maggio 2010, n. 11360; Cass. 19 luglio 2006, n. 16540; Cass. 24 marzo 2006, n. 6628). Esso è correlato all’oggetto del processo e colpisce, perciò, tutto quanto rientri nel suo perimetro,
incidendo, da un punto di vista sostanziale, non soltanto sull’esistenza del diritto azionato, ma anche sull’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi, ancorché non dedotti, pur senza coinvolgere i fatti ad esso successivi e quelli comportanti un mutamento del petitum e della causa petendi , fermo restando il requisito dell’identità delle persone (Cass. 11 gennaio 2024, n. 1259, cit.).
Ora, l’accertamento del dare e avere del rapporto di conto corrente era stato domandato nel primo giudizio, come si ricava dalle conclusioni ivi rassegnate in primo grado, riassunte nella sentenza della Corte di appello n. 735 del 2015, che la ricorrente ha riprodotto nel proprio ricorso per cassazione. Il saldo del conto corrente alla data del 31 ottobre 2002 risulta essere stato poi accertato dalla Corte di appello nella sentenza testé indicata: questa ha infatti confermato la decisione di primo grado che aveva dichiarato la sussistenza del diritto dell’attrice alla riduzione dell’importo di euro 67.109,30 dal saldo risultante dagli estratti del conto corrente bancario n. 52103.81 (saldo che era pari a euro 282.271,46, a debito del correntista, come si legge nelle due pronunce, di primo e di secondo grado).
Una rideterminazione del saldo del conto corrente è stata parimenti richiesta nel secondo giudizio, se pure con riferimento al luglio 2007 (epoca in cui quest’ultima controversia è stata introdotta).
Si delineano quindi due domande di accertamento aventi un petitum parzialmente coincidente: come è evidente, la rideterminazione del saldo al luglio 2007 implica l’accertamento del saldo parziale precedente, maturato all’ottobre 2002 , oggetto d ell’ accertamento coperto dal giudicato. E’ corretto ritenere, quindi, che quest’ultimo accertamento vincoli il giudice investito del secondo giudizio.
Non è possibile credere che nel secondo giudizio si possa accertare il saldo al luglio 2007 prescindendo da quello all’ottobre del 2002. Q uest’ultimo saldo è evidentemente influenzato dalle nullità, dedotte nel secondo giudizio, che, in base a quanto allegato dall’attrice
SICO, affliggerebbero le pattuizioni contrattuali: nullità che avrebbero quindi inciso ab initio sul rapporto, privando di giustificazione gli addebiti operati dalla banca per le poste corrispondenti. Ciò significa che il riscontro delle denunciate nullità si tradurrebbe nella necessità di operare una rettifica del saldo all’ottobre 2002 ; ma tale rettifica è appunto impraticabile in ragione del fatto che sul saldo a quest’ultima data si è formato il giudicato; giudicato che, come si è detto, copre anche i fatti impeditivi, modificativi e estintivi non dedotti.
Il secondo motivo oppone la violazione o falsa applicazione degli artt. 113, 115 c.p.c., 2727 e 2729 c.c.. Ci si duole che la Corte di merito abbia negato la rideterminazione del saldo del conto corrente al luglio 2007 considerando come saldo di partenza il nuovo saldo del conto al 31 ottobre 2002, per come ricalcolato attraverso la decurtazione della somma di euro 67.103,80.
2.1. Il motivo è inammissibile.
La ricorrente sembrerebbe dolersi di ciò: la Corte di appello avrebbe impropriamente ritenuto che la banca avesse proceduto alla rideterminazione delle competenze per il periodo ricompreso tra il 31 ottobre 2002 e il luglio 2007 sulla scorta dei numeri debitori e creditori che sarebbero emersi a seguito dello storno di euro 67.109,30.
Nella sentenza manca tuttavia alcuna presa di posizione su di una tale questione che, del resto, nemmeno emerge sia stata prospettata nel giudizio di merito. Al punto 9) delle richiamate conclusioni, riprodotte nel ricorso per cassazione e nella sentenza di appello, l’odierna istante ha domandato la rideterminazione del saldo; ma tale domanda pare fondata sulle nullità fatte valere in giudizio: e infatti si fa ivi menzione degli interessi ultralegali e della commissione di massimo scoperto, mentre non risulta richiesto il mero aggiornamento del saldo del 31 ottobre 2002 muovendo dallo scorporo di quanto indebitamente applicato a quella data per anatocismo. E’ da credere , dunque, che sulla detta domanda di rideterminazione del saldo la Corte
di appello non abbia pronunciato in considerazione dell’irretrattabilità dell’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato: accertamento che precludeva alcuna ulteriore rettifica del rapporto di dare e avere del conto corrente in contestazione e che determinava l’assorbimento d elle altre questioni proposte. Ove si escludesse l’assorbimento si configurerebbe, del resto, un’omessa pronuncia della sentenza impugnata: ma una censura in tal senso non è stata sollevata.
Il ricorso è respinto.
– Le spese del giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione