Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18508 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18508 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/07/2024
ordinanza
sul ricorso n. 21720/2022 proposto da:
COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE, difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
-ricorrenti-
contro
NOME, COGNOME NOME, difesi da ll’ avvocato NOME COGNOME;
-controricorrenti- avverso la sentenza della Corte di appello di Torino n. 567/2022 depositata il 24/5/2022.
Udita la relazione del consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
Nel 2017 i compratori NOME COGNOME e NOME COGNOME convengono dinanzi al Tribunale Asti il venditore NOME COGNOME (in proprio e in qualità di socio accomandatario della RAGIONE_SOCIALE) per la dichiarazione di nullità del contratto di compravendita immobiliare dell’11/1/2006, assumendo la violazione dell’art. 40 co. 2 l. 47/1985 , oltre che per la restituzione dell’importo corrisposto come prezzo e il risarcimento del danno. Gli attori allegano il difetto di concessione edilizia ovvero il carattere abusivo della
costruzione (costoro assumono che, nell’atto , sia falsa la dichiarazione contenuta nel contratto di compravendita, per atto pubblico, del gennaio 2006 – che l’immobile è stato costruito prima dell’1/9/1967). In primo grado le domande degli attori sono rigettate. La Corte di appello ha riformato, accogliendo la domanda di nullità.
Ricorre in cassazione la parte venditrice convenuta con un motivo. Resiste la parte compratrice attrice con controricorso. Il consigliere delegato ha proposto la definizione per manifesta infondatezza del ricorso. La ricorrente ne ha chiesto la decisione ed ha depositato memoria a sostegno di questa determinazione.
Ragioni della decisione
1. L’unico motivo (p. 8) dei venditori denuncia la violazione degli artt. 40 co. 2 l. 47/1985 e 1418 co. 3 c.c., nonché la motivazione omessa, oppure insufficiente o contraddittoria circa un fatto decisivo, poiché la Corte di appello ha ritenuto mendace la dichiarazione nel contratto (p. 6, rigo 3), in quanto non si riferisce all’immobile alienato. Si fa valere in sintesi che: (a) è smentita dagli atti l’affermazione che l’opera è stata iniziata dopo il 1967; (b) è censurabile accreditare l’idea che siano diversi l’immobile originario e quello venduto; (c) in ogni caso, variazioni anche essenziali del bene non determinano la nullità dell’atto; (d) il testo del contratto face riferimento alla domanda di sanatoria e alla pendenza attuale del correlativo procedimento.
Il motivo non è fondato.
La Corte di appello premette che la nullità ex art. 40 co. 2 l. 47/1985 è testuale ex art. 1418 co. 3 c.c. (in linea con Cass. SU 8230/2019, p. 21 ss.), applica tale qualificazione al caso attuale, desumendone la necessità che il titolo esista e sia oggetto di una informazione veritiera (qui: nel profilo in cui si richiede al venditore di un’opera iniziata anteriormente al 1/9/1967, di dichiarare tale anteriorità in luogo degli estremi della licenza edilizia). La Corte di appello accerta poi il carattere mendace della dichiarazione del
venditore che l’inizio della costruzione del fabbricato risale a prima del 1/9/1967. Infatti, a fronte del complesso rurale di oltre mq. 3.000, costruito nel secolo XIX, non destinato ad abitazione, è stato edificato successivamente (non prima degli anni ’90 del secolo XX) – senza alcun permesso edilizio – un immobile radicalmente diverso (di circa mq. 150), dopo demolizione parziale e riadattamento completo di una porzione del complesso rurale, in origine adibito presumibilmente a stalla. L ‘immobile oggett o della compravendita è quello così riadattato completamente. La Corte di appello aggiunge che la nullità originata dalla dichiarazione non veritiera non si è sanata con la domanda di condono edilizio, tanto più che quest’ultima: (a) ha ad oggetto soltanto alcune fra le opere di ristrutturazione, quelle più recenti, non quelle realizzate negli anni ’90; (b) non è stata accolta, poiché vi è un vincolo idrogeologico.
Dinanzi a una motivazione così articolata, la censura di violazione di legge mira effettivamente a sovrapporre l’apprezzamento di parte al diverso apprezzamento ricostruttivo della situazione di fatto rilevante che la Corte di appello ha espresso in una motivazione che non si espone a censure proponibili in sede di giudizio di legittimità.
Quanto alla censura di omessa motivazione su un fatto decisivo, essa profila il proprio esito di insuccesso già nel modo in cui essa è formulata, poiché individua come parametro di giudizio la precedente dizione dell’art. 360, n. 5 c.p.c., mentre l’attuale (secondo i canoni concretizzati da Cass. SU 8053/2014) limita la sindacabilità in sede di legittimità (oltre che all’omissione) alla contraddittorietà non risolvibile in via interpretativa. Situazioni che non si danno nel caso attuale.
Né a conclusione diversa inducono i rilievi contenuti nella memoria depositata in prossimità dell’ud ienza, ove, accanto alla citazione di passi giurisprudenziali di carattere generale sulla necessità che il giudice di merito indichi gli elementi su cui egli fonda il proprio convincimento, si sostiene in
modo non condivisibile che nel caso attuale la sentenza sia priva di tale indicazione.
– Il ricorso è rigettato. Le spese si liquidano in dispositivo, anche ex art. 96 co. 3 e 4 c.p.c.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo uni ficato a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore della parte controricorrente, che liquida in € 5.000 , oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi e agli accessori di legge. Inoltre, condanna la parte ricorrente al pagamento ex art. 96 co. 3 c.p.c. di € 4.000 in favore della parte controricorrente, nonché al pagamento ex art. 96 co. 4 c.p.c. di € 2.500 in favore della cassa delle ammende.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso a Roma, il 17/6/2024.